Chi di noi potendo, non sarebbe felice di esporre a casa sua un’opera d’arte attingendo a uno dei capolavori di tutti i tempi? E chissà perché tutti quelli che mi vengono in mente sono da sindrome di Stendhal, al solo pensiero.
E il Tondo Doni di Michelangelo è certamente uno dei miei favoriti...
Quando Michelangelo lo dipinse tra il 1506 e il 1507, la città di Firenze ospitava tre fra i più geniali e immensi artisti di tutti i tempi: Leonardo, Raffaello e lo stesso Michelangelo. E Firenze era la città più stimolante al mondo, la più desiderabile nella quale vivere, per chiunque intendesse la vita non solo come un temporaneo passaggio terreno, ma piuttosto come un’occasione per elevare la propria anima ispirandosi a valori superiori di bellezza, spiritualità…e filosofia.
A Firenze, che viveva già quasi da un secolo la sua età dell’oro, grazie alle grandi innovazioni che i Medici, amministratori illuminati avevano contribuito a creare, si esprimevano filosofi pensatori come Nicolò Cusano, Marsilio Ficino e Giovanni Pico Della Mirandola, fondamentalmente uniti dalla visione del mondo concepito secondo le “idee” del Neoplatonismo. E il Neoplatonismo che si rifaceva ai concetti platonici, aveva il suo focus sul simbolo, sull’idea, da cui tutto scaturisce, privilegiando l’Universale a scapito del Particolare. E di Michelangelo possiamo dire che fu l’artista che più di chiunque altro abbracciò con piena consapevolezza i principi della filosofia neoplatonica, che incise pertanto in maniera significativa sulla sua opera.
La Sacra Famiglia, più nota come “Tondo Doni” fu realizzata da Michelangelo in occasione del matrimonio di Agnolo Doni con Maddalena Strozzi, appartenenti a due importanti famiglie fiorentine, e terminata nel 1507, anno della nascita della loro figlia Marta Doni, dettaglio che ci aiuta a inquadrare il dipinto come il primo dipinto sicuro attribuibile al geniale Michelangelo.
L’originalità dell’opera parte dalla forma della tela scelta, un tondo appunto, la cui cornice intarsiata e scolpita, è anch’essa frutto della capacità di un artista artigiano e ricca di significati simbolici. Ma proprio per via della forma tonda del supporto, i protagonisti del dipinto tendono a lambire quasi la circonferenza, faticando a rimanere contenuti in essa, ma la loro posizione è certamente molto innovativa. Perché?
In quegli anni, diversi scavi archeologici riportavano alla luce sculture marmoree del periodo ellenistico, caratterizzate da torsioni esasperate, e pose che nulla avevano mantenuto delle rigide regole di equilibrio e proporzione tipiche dell’età classica; e all’ideale di perfezione del Doriforo di Policleto si era sostituito il pathos, il dinamismo e l’umanità del Laocoonte. E fu proprio Il gruppo del Laocoonte, riportato alla luce in occasione di una fervente attività di scavi nella Roma dell’epoca, che colpì particolarmente Michelangelo e lo ispirò.
Ed è per questo forse che il gruppo della Sacra Famiglia, più che inscriversi banalmente in un triangolo, con tutti i riferimenti evocativi della Trinità che possiamo ipotizzare, esprime piuttosto una composizione molto inconsueta nella quale la Madonna è ritratta in primo piano in ginocchio, mentre in una torsione molto accentuata è nell’atto di prendere Gesù Bambino che Giuseppe, posizionato alle sue spalle, le porge.
In secondo piano, Gesù Bambino è ritratto con il braccio destro in posizione speculare e simmetrica a quello della Madonna, e il suo piccolo corpo compie una torsione a sua volta, tanto che mentre ce lo saremmo aspettato forse più nell’atto di sporgersi con le braccia tese verso la mamma, consente a Michelangelo di realizzare tecnicamente la più manifesta rappresentazione del concetto manieristico del “contrapposto”.
La figura di Giuseppe conclude infine la sintesi compositiva della triade con un accenno di torsione nello stesso verso della Madonna.
Non è forse una scena insolita? Non siamo forse abituati ad esempi di Sacra Famiglia più “composti”, nei quali le tre Persone sono rappresentate come nel Presepe, con Gesù al centro della scena contemplato dalla Madonna e San Giuseppe, o tutt’al più in braccio a Maria? Ma se fosse così scontato non sarebbe geniale, e se non fosse geniale non saremmo di fronte ad un capolavoro michelangiolesco.
Sotto il piano contenutistico, compositivo e simbolico potremmo suddividere la scena in cinque sezioni longitudinali o piani verticali dello spazio, nel quale i primi tre piani sono definiti e occupati dalla Sacra Famiglia (secondo l’ordine già detto, Madonna in primo piano, dietro Gesù Bambino e dietro ancora Giuseppe); alle spalle della Triade Sacra, una nuova sezione è definita concretamente da un muretto basso che tiene separata dalla Famiglia la piccola figura di Giovanni Battista bambino, che guarda con il cuore colmo di fede la scena ma ne rimane inevitabilmente escluso perché - volendo attingere con un po’ di presunzione ad espressioni care a Dante – San Giovanni Battista appartiene alla schiera di coloro che sono nati prima di Cristo ma saldi nella fede della sua venuta, che appartengono al Vecchio Testamento e sono dunque sub lege. Nello stesso tempo il Santo bambino rappresenta il trait d’union, il passaggio dal mondo ebraico-giudaico a quello cristiano, ovvero al Nuovo Testamento e coloro che vi appartengono sono sub gratia.
Più indietro ancora, a definire l’ultimo piano di tutto il dipinto, una schiera di uomini seduti o poggiati su un muretto o roccia appena sbozzata, ritratti in pose e con dettagli che evocano il mondo pagano (ad esempio le corone di alloro) sono nudi poiché non in-vestiti né della fede in Dio, né della salvezza ad opera di suo Figlio, e dunque non sono né sub lege, né sub gratia. Non è azzardato perciò ipotizzare in questo schema, un richiamo a strutture dantesche della Commedia con particolare riferimento all’Inferno, seppure totalmente rivisitate e fuori dal rispetto formale dell’impianto dantesco, ma con un richiamo semantico oggettivamente molto evidente.
Nel mondo neo-platonico delle idee, non era importante la rappresentazione della realtà o di fatti naturali come accadeva per Leonardo, nell’opera del quale non solo le figure sono spesso ritratte immerse in uno scenario naturale, ma quest’ultimo risulta essere un coprotagonista dal momento che Leonardo si sofferma con convinzione sugli effetti della natura, che non funge solo da sfondo ma quasi “geolocalizza” la figura ritratta, compenetrata in paesaggi di nebbie dense, di rocce fumose, di aria umida e lontani specchi d’acqua, con cui il genio di Vinci sottolineava appunto il carattere di realtà dell’opera e naturalità del mondo.
In Michelangelo al contrario, la natura è assente, tutto è concetto, tutto è simbolo. Ad onor del vero c’è un accenno di paesaggio in lontananza, funzionale solo a fornire uno scenario di appoggio alle figure che altrimenti sembrerebbero fluttuare nel vuoto, dovuto probabilmente ad un avvicinamento dell’artista ad alcuni assiomi di Leonardo col quale si confrontò a lungo.
Dunque Michelangelo non dipinge la Sacra Famiglia immaginando come potesse essere stata realmente, dipinge piuttosto la migliore idea possibile di essa. Dobbiamo ricordare che per Michelangelo la scultura era l’arte più nobile, pertanto la pittura, nella necessità di raggiungere pari livello di prestigio e dignità, non poteva far altro che imitarla e ricordarla. Le sculture di Michelangelo sembrano scene di teatro, i suoi personaggi non sono quasi mai statici, ma sempre dinamici e ricchi di pathos, pur tuttavia il loro gesto rimane spesso ingabbiato come in un filmato stoppato troppo presto e fissato in un fotogramma un attimo prima della conclusione della scena stessa, per cui la tensione non riesce a consumarsi fino in fondo.
Come esprime dunque Michelangelo la sua adesione totale alle idee neoplatoniche, nella pittura? Lo fa attraverso l’uso di colori puri, non mescolati, per non “contaminare” o “sporcare” o “confondere” il concetto, l’idea, il simbolo con una banale rappresentazione della realtà. I colori però sono sbiaditi, non brillanti, per lo stesso motivo: devono contribuire a “rendere l’idea”, non a rappresentare la realtà.
E le forme? Nella necessità di dover mantenere fede all’anelito di perfezione della pittura nei confronti della scultura, i suoi modelli non sono uomini ma statue. Cosa è la figura della Madonna dal braccio “definito”, muscoloso, e dal colore della pelle tendente al grigio, dai toni freddi e bluastri anziché caldi e rosati, se non una scultura in tempera? Che cosa è il suo volto se non la riproduzione in pittura del busto del I secolo a.C. conservato agli Uffizi denominato Alessandro morente? E cosa è la figura precristiana accanto al braccio destro della Madonna se non la riproduzione in pittura dell’Apollo del Belvedere?
Michelangelo è una di quelle figure talmente incisive nella storia dell’arte di tutti i tempi, la cui grandezza venne riconosciuta ai suoi tempi come ora e del quale Benedetto Varchi, l’umanista toscano che si premurò di recitare l’orazione funebre per l’artista, arrivò ad affermare che il valore artistico del David era più alto di tutte le statue antiche di Roma messe assieme.
A conclusione della mia personale interpretazione del Tondo Doni vorrei lasciare il lettore con un piccolo trick.
Scrive Giorgio Vasari, artista egli stesso e grande storico e biografo dei più grandi artisti dell’epoca, nella sua opera Vite:
Venne volontà ad Agnolo Doni, cittadino fiorentino amico suo, sì come quello che molto si dilettava aver cose belle, d’avere alcuna cosa di mano di Michele Agnolo, perché gli cominciò un tondo di pittura ch’è dentrovi una Nostra Donna, la quale, inginocchiata con amendua le gambe, alza in su le braccia un putto e porgelo a Giuseppo che lo riceve.
Ebbene dunque: la Madonna riceve o porge il Bambino a Giuseppe?