La donna sana assomiglia molto al lupo: robusta, piena di energia, di grande forza vitale, capace di dare la vita, pronta a difendere il territorio, inventiva, leale, errante (...) I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell’arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi. Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate, tormentate e falsamente accusate di essere voraci ed erratiche, tremendamente aggressive, di valore ben inferiore a quello dei loro detrattori. Sono state il bersaglio di coloro che vorrebbero ripulire non soltanto i territori selvaggi ma anche i luoghi selvaggi della psiche.

(Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi)

Si dice che esista un luogo in cui lo spirito delle donne e quello dei lupi si incontrano: è un territorio della psiche profonda, dove la forza indomita dello spirito femminino è più vitale. La donna lupa è una creatura integra, che intona una rapsodia dell’anima; la sua è una voce mitologica e antichissima.

Certi animali incutono un timore ancestrale: nel loro sguardo l’uomo intuisce il mistero di una sensibilità innata per il mondo invisibile. Molte culture attribuiscono al lupo natura di demone e ne temono lo spirito notturno, che abita la vastità delle foreste. Il lupo richiama il pericolo del gelo dell’inverno e la minaccia per la sopravvivenza che dilaga nei mesi in cui la terra è dura e sterile: nelle memorie mitiche, questo animale appartiene alla dimensione ctonia e si accompagna agli dèi degli inferi. I greci ritraevano il dio Ade con un mantello di pelle di lupo e un cappuccio con le fauci spalancate che gli avvolgeva il cranio; identiche erano le sembianze del suo doppio etrusco, Aita, che come altri demoni inferi vestiva le spoglie di questo animale, come appare anche nei celebri affreschi della Tomba dell’Orco di Tarquinia, che mostrano il dio accanto a una Persefone dalla chioma anguiforme. Nelle fantasie della fiaba, che sono frutto delle capriole e dei volteggi dell’immaginario collettivo, anche il ventre del lupo di Cappuccetto Rosso diventa un baratro infero; il predatore qui è un novello Ade divorante, nelle viscere del quale una nuova Persefone consumerà la propria iniziazione di donna. L’inghiottimento, che sia reale o simbolico, da sempre è parte di ogni rituale iniziatico.

Eppure, assai spesso il demone è un lupo femmina. Femmina era infatti Mormolyke, spettro con sembianze lupesche che accompagnava la potente dea Ecate e che nella tradizione popolare era il “lupo cattivo” che i genitori evocavano per terrorizzare i bambini troppo vivaci; così come Lykaina, oppure Lyka, era chiamata la stessa Ecate. Lupi montani facevano da guardiani alla casa di Circe, la maga, mostrandosi al suo cospetto mansueti come cani domestici, e perfino Afrodite usava circondarsi di lupi grigi, che insieme a leoni e pantere si sottomettevano alla sua sovranità.

I miti narrano inoltre che Leto, quando era gravida dei piccoli Apollo e Artemide, errò a lungo in sembianze di lupa alla ricerca di un luogo in cui partorire. Gli effetti di questo parto, ibridato dall’esperienza licantropica, avrebbero lasciato traccia negli appellativi attribuiti ai gemelli divini: Artemide infatti era venerata a Trezene con il nome di Lykeia, e lupi e lupacchiotti le venivano sacrificati nella città di Patrasso.

Aristotele, in un suo scritto sugli animali, riferiva la caratteristica delle lupe di partorire tutte insieme nell’arco di dodici giorni all’anno, gli stessi nei quali Leto aveva vagato fra le terre del mondo sopportando quel travaglio eccezionale. Questo episodio presenta interessanti intrecci simbolici con quello italico della nascita dei gemelli Romolo e Remo. Nella versione comune è noto che i due neonati vennero salvati e allattati da una lupa, e solo in seguito allevati da un pastore, Faustolo, e da sua moglie Acca Larenzia, che fece loro da nutrice; in altre varianti, tuttavia, è la stessa Acca a essere chiamata “lupa”. Si tratta di un appellativo che veniva attribuito alle prostitute: forse, in origine, scevro da allusioni negative o moraleggianti, ma semplicemente riferito alla sessualità femminile posta in relazione alla funzione riproduttiva. Acca Larenzia, dunque, che era già madre di dodici figli (ed ecco che si ripresenta la suggestione simbolica del numero dodici, con i suoi rimandi alla figura di Leto), sarebbe la “lupa” che offrì nutrimento, garantendone la sopravvivenza, ai gemelli.

Da allora, la lupa non ha mai smesso di abitare i miti di fondazione, di personificare lo spirito degli antenati ed essere celebrata come capostipite ancestrale di popoli. Nelle fantasie del medioevo, i lupi hanno fatto da cavalcatura alle streghe, quando queste si recavano ai sabba per celebrare le loro liturgie pagane; il legame magico della donna sapiente con questo potente animale totemico è simile a quello della Loba, la saggia sciamana della tradizione sudamericana, che vive nel deserto raccogliendo e conservando ossa di lupo. Ogni volta che ricostruisce uno scheletro, la Loba siede accanto al fuoco e canta sulle ossa, e a quel canto sacro tutto il deserto risuona e vibra. È allora che la vita torna ad animare quelle reliquie e la creatura può finalmente tornare a correre libera, e correndo si trasforma in donna, integra e indomita. La sciamana-lupa ha costruito una casa per l’anima smembrata, risvegliando lo spirito del femminino e riportandone in vita la forza indistruttibile.