Le leggende legate alle martiri del primo cristianesimo consentono di gettare uno sguardo sulla genesi del modello ideale dell’eroina cristiana, attraverso una lettura mitica e letteraria. Ne emerge un femminile inedito, indipendente, a tratti rivoluzionario ed eversivo. Queste giovani donne si rivelano figure scomode, insubordinate, trasgressive, lontane dai cliché della santità tradizionale: sfidano le regole sociali che le vorrebbero spose e madri, si tagliano i capelli o indossano abiti maschili per condurre un’esistenza libera, trasformando se stesse in mulieres viriles e rinnegando una bellezza che le oggettivizza alle attenzioni maschili. Le loro vicende hanno ispirato ardite interpretazioni femministe, forse non sempre rigorose, ma certamente dettate dall’entusiasmo per una possibile narrazione alternativa della storia femminile.

Tra le molte figure, spicca quella di Tecla di Iconio, eroina popolare amica e discepola di Paolo di Tarso, la cui biografia compare per la prima volta nel testo apocrifo intitolato Atti di Paolo e Tecla, risalente al II secolo. Tecla è una bellissima giovane, fidanzata a un uomo molto in vista. Un giorno Paolo giunge in città e la ragazza rimane catturata dalla forza della sua predicazione, che ascolta restando affacciata alla finestra della sua camera per ben tre giorni e tre notti: ignora le proibizioni dei famigliari, che la richiamano alla discrezione richiesta a una fanciulla del suo stato, mostrando il primo segno di quell’audacia che avrebbe costellato il suo discepolato eversivo. Il promesso sposo, adirato per il comportamento sconveniente della ragazza, denuncia allora Paolo, che viene incarcerato con l’accusa di sedurre le fanciulle della città diffondendo dottrine amorali. Ma mentre si trova in carcere, nottetempo Tecla gli fa visita di nascosto, dopo aver corrotto il guardiano con alcuni gioielli e uno specchio d’argento; simbolicamente, la giovane si sta spogliando degli oggetti della vanità femminile, per abbracciare un nuovo progetto di vita. Viene però scoperta e, al termine di un interrogatorio infruttuoso, messa al rogo, dal quale tuttavia riesce miracolosamente a salvarsi raggiungendo il suo mentore, che nel frattempo ha lasciato la città, per recarsi con lui ad Antiochia.

Qui, per avere reagito a un tentativo di seduzione da parte di un personaggio influente, Tecla viene nuovamente imprigionata e condannata, questa volta, ad affrontare le belve nell’arena. Ma ecco che, mentre già si trova nell’agone, una leonessa, invece di aggredirla, le si avvicina mansueta, proteggendola dall’assalto degli altri animali: e di fronte a tutti i presenti, Tecla appare splendida come un’Artemide nelle vesti di “Signora delle Fiere”. Poi, inaspettatamente, compie un atto straordinario: temendo di essere vicina al momento del martirio e presa dal timore di morire senza avere ricevuto il battesimo, si getta in una grande vasca che circondava l’arena, impartendosi da sola il sacramento. Il governatore si convince finalmente a liberarla e la giovane, indossati abiti maschili, raggiunge Paolo a Mira e da lui riceve l’investitura a diffondere la parola di Cristo. Un mandato, questo, che in verità la tradizione manoscritta successiva cercò di oscurare, nel tentativo, forse, di passare sotto silenzio l’ipotesi che una missione evangelica fosse stata affidata a una donna. Tecla, infatti, possiede la statura di una vera e propria donna apostolo.

Il successo popolare e la diffusione della sua leggenda portarono ad arricchirne l’intreccio di nuovi particolari, producendo versioni multiple, spesso fantasiose: in una di queste, la santa era accusata di avere ereditato i poteri di guarigione da Artemide, essendo vergine come le sacerdotesse di quella dea. L’accostamento fra Tecla e Artemide rappresenta un singolare elemento di raccordo culturale, rispetto al precedente culto pagano. Indubbiamente, nella figura di Tecla emergono tratti fortemente artemidei: il taglio dei capelli e il travestimento maschile, l’epiteto di parthénos, ricorrente nelle fonti, il potere di ammansire le belve, evidente nell’episodio dell’arena. In particolare, il ricorso ad abiti maschili, che gli studiosi riconducono al cosiddetto “complesso di Diana”, sarebbe diventato un topos dei racconti legati alla nascita degli ordini monastici femminili, riproponendo un’aneddotica di successo già in epoca classica, quella del travestimento come espediente per accedere a ruoli o professioni maschili.

Tecla è la discepola che infrange ripetutamente le regole imposte alle donne: predica in pubblico, osa autobattezzarsi! Queste caratteristiche hanno creato particolare interesse intorno a questi Atti apocrifi, e non manca chi abbia addirittura ipotizzato che essi siano stati scritti da una mano femminile. Ben presto, questa giovane eroina diventò un’icona di perfezione cristiana e il suo esempio fu di ispirazione per molte fanciulle, certamente attratte, oltre che dall’invincibile modello di santità, dalla venatura romantica e avventurosa della sua storia.