… Niccolò fa il dottore … strano, non indossa il camice come i dottori degli animali. … Come ogni buon giardiniere sa quando offrire acque e sole alle diverse vegetazioni e quando innestare o potarle per favorire il loro sviluppo, Niccolò predispone al meglio il rapporto per la crescita autonoma degli ospiti.

Questi i pensieri profondamente intuitivi di Miao, gatto randagio, chiamato ostinatamente “Il Rosso” da Niccolò, uomo dall’animo semplice, che lo accoglie nel suo studio, ma che non capisce il vero nome del gatto, nonostante glielo abbia miagolato più volte, né percepisce il suo vero colore perché daltonico, nonostante questo “avvertita la mia presenza ai suoi piedi, volse lo sguardo in basso e sorrise, si chinò e, quando mi accarezzò con delicatezza, non mancai di rispondere con un miagolio al gesto di benvenuto, inarcando la schiena mentre mi strusciavo con la coda ritta contro il pantalone … so che mi disse qualcosa di carino ma non rammento le parole che accompagnarono la carezza. Mi sono sempre gloriato all’evidenza del piacere … che lui provava al contatto morbido della mia presenza”.

Il gatto si trova in una clinica veterinaria quando ricorda il suo amico Niccolò che di mestiere fa lo psicoterapeuta e sentendosi vicino alla morte ripercorre tutta la sua vita rappresentandola come in un film, annusando e significando in maniera molto acuta e minuziosa le sue esperienze, rivivendo gli incontri felici, pacificanti e gli incontri spaventosi, dolorosi.

La sua mente, resa più limpida dalla sofferenza: “Che sia il delirio del moribondo, segno di morte imminente?” Riesce a ricordare gli eventi passati in modo raffinato, dando rilievo alle emozioni, con anche la sensazione inquietante di essere più vicina e quasi capace di funzionare come quella degli umani.

La storia della vita di Miao/Il Rosso si impernia, però, su quella storia speciale che è stato l’incontro con Niccolò, “quel giorno illuminato”, in cui si videro e si scelsero, un’annusata reciproca di intesa, di complicità, di mutuo piacere nel comunicarsi e con la curiosità benevola di scoprirsi.

E le traversie della vita del gatto con la sua esperienza di psicoanalisi vissuta in diretta diventano trama del bel romanzo di Giorgio Meneguz Le straordinarie cognizioni di un gatto morente ma, allo stesso tempo, si rivelano una narrazione incarnata della psicoanalisi come metodo terapeutico e come teoria della mente.

Si tratta dunque della storia di un gatto che ha vissuto un’esperienza straordinaria così come straordinari sono diventati i suoi pensieri alla fine della vita, e il romanzo, che si può leggere anche come la storia di una psicoterapia, ci fa entrare nella stanza d’analisi e partecipare alla relazione terapeutica in maniera vibrante e partecipata.

In questo senso, il libro di Meneguz, ricorda tanto Memoria del futuro, la trilogia di Bion in cui il noto psicoanalista, convinto che la maggior parte dei testi psicoanalitici siano pesanti e noiosi, aveva scelto di non usare il linguaggio specialistico da lui definito “gergo satanico” per parlare di psicoanalisi, ma di raccontarla con un linguaggio letterario: un po’ romanzo, un po’ fiction e un po’ testo teatrale, in modo da suscitare nel lettore emozioni e riconoscerle invece che limitarsi a descriverle.

“…l’analista deve essere capace di costruire una storia” suggerisce Bion.

E così una psicoanalisi viva, vissuta, sentita dentro come emotivamente vera, una psicoanalisi incarnata e raccontata come in un sogno la ritroviamo nel leggere di Miao, del suo rapporto con Niccolò e della sua esperienza nell’abitare la stanza d’analisi.

Ma “che cosa succede nella stanza col lettino lo capii più avanti … ogni ospite racconta la sua realtà, ma è fatta apposta per Niccolò. Un gatto le capisce queste cose. … Niccolò ascolta con pazienza e senza giudicare. Accetta tutto quello che sente, con l’udito e col cuore. Le parole fanno eco dentro di lui, che rizza le orecchie e a quella risonanza cerca di dare un senso che riguardi l’ospite … L’ospite si sente voluto bene, ma è evidente … che quasi per istinto, soprattutto all’inizio, fiuti Niccolò con una certa diffidenza e curiosità. Io lo avverto istintivamente, Niccolò lo sa e aspetta ...Prima o poi, accade qualcosa di strano…. gli ospiti imparano a guardarsi dentro. … imparano a capire … E io li vedo quando capiscono e guardo gli occhi di Niccolò che brillano di commozione.”

E anche i nostri occhi brillano di commozione nel partecipare così da dentro a quella sorta di mistery play che succede nella misteriosa stanza dove regolarmente si incontrano “gli ospiti”, come genialmente li chiama Miao, e il loro psicoterapeuta.

Miao con grande intuito li definisce ospiti e non pazienti, cogliendo un significato molto profondo della relazione terapeutica, dove le persone cercano appunto un luogo di accoglienza, di ospitalità, una sorta di grembo mentale che li contenga, li nutra, li protegga come per accompagnarli ad una nuova nascita. E annusa con grande intuito che “ascoltare con l’udito e col cuore, senza giudicare” è l’assetto mentale che caratterizza il mestiere dello psicoterapeuta.

Intanto Miao/Il Rosso trova alloggio nella stanza di Niccolò e ne diventa l’ospite per eccellenza, e nonostante i limiti mentali e percettivi del dottore, d’altra parte è un umano, il gatto si sente felice quando è con lui per l’affetto e l’accoglimento che sente nei suoi gesti e nei suoi sguardi: l’aspettarlo, facendogli cenni per invitarlo nello studio, il raccontargli i suoi pensieri e le sue stravaganti fantasie, e soprattutto il prenderlo in grembo e massaggiargli la pancia lo manda in visibilio. Ed è un benessere che pervade entrambi, si prendono cura l’uno dell’altro in un ineffabile sentirsi all’unisono.

In quello spazio ospitale il Rosso si permette esperienze mai vissute prima. “Accadde là, in quella stanza meravigliosa, il miracolo; è là che con mio grande disorientamento fui in grado di vedere e di capire per la prima volta le stesse cose come non le avevo mai viste né capite”.

Al nostro gatto capita anche di fare sogni complessi, stravaganti, a volte incubi dove prova sensazioni talmente forti da procurargli uno stato simil febbrile: “Dormivo, ma come se fossi cosciente del mio corpo … mi prese una sonnolenza irresistibile e sprofondai di nuovo in un intimo e beato torpore, questa volta privo di sogni.”

E Miao, col passare del tempo, frequentando la stanza di Niccolò inizia a ricordare tanti episodi della sua vita, tanti incontri felici e anche disavventure e maltrattamenti. Bagliori di innamoramenti corrisposti e cupezze di separazioni molto dolorose.

Oltre alle trame dei ricordi, il pensiero emotivo di Miao/Il Rosso è catturato da questa nuova esperienza di vita che è l’incontro con Niccolò: “Significo qualcosa per il mio amico, un fantasma buono nel mondo del suo cuore … lui mi accoglie, non ho alcun dubbio, che siamo entrambi, l’uno per l’altro, qualcosa di misteriosamente decisivo … Capisco le sue parole e comprendo il suo animo. Tutto di lui suscita in me profonde riflessioni. … solo chi sa ascoltare la lingua degli affetti riesce a comprendere il mio linguaggio e le mie emozioni, e lui, lui mi capisce. E io gli sono devoto.”

Man mano che proseguiamo nel seguire i gatto-pensieri, ci rendiamo sempre più conto di essere senza volerlo scivolati dentro una storia terapeutica, ci troviamo coinvolti nelle emozioni che abitano quella “strana coppia” e sentiamo profondamente, tanto da commuoverci, la bellezza della relazione che lega un terapeuta e il suo paziente.

Cogliamo, come se fossimo entrati nella stanza e l’avessimo vissuto realmente, quel “qualcosa di misteriosamente decisivo” che accade, quel “something more” che sostanzia la relazione psicoanalitica e che va al di là delle parole. “Benché non capissi sempre il significato di tutto ciò che il mio nuovo amico mi raccontava, io ascoltavo la sua voce e mi viziavo beato su quell’onda sonora dolce e suadente”.

È dunque “the music behind the words” che cattura il cuore e la pancia del gatto: comprendiamo così in cosa consiste fondamentalmente il fattore di cura e cosa serve al paziente per trasformarsi e per sentirsi bene.

Questo romanzo parla, difatti, dell’incontro ineffabile tra la mente-grembo del terapeuta e le parti selvatiche, gattesche, spaventate del paziente, che reclamano di essere comprese pur parlando un linguaggio diverso, che solo “chi sa ascoltare la lingua degli affetti riesce a capire”. Assistiamo, come se fosse una rappresentazione sacra, a quello che succede in “quella” stanza, a quello strano, straordinario, unico, misterioso rapporto che si accende tra ogni psicoterapeuta col suo paziente, e che è così difficilmente comunicabile con parole che riverberino anche a livello sensoriale ed emotivo, ma che diventa così efficace e semplice da comprendere per come ce lo racconta il gatto.

È un parlare che tocca.

È, come ogni psicoterapia che si rispetti, la storia di una trasformazione: il gatto o corpo del paziente o inconscio non rimosso o comunque quelle parti indicibili di sé cercano un rifugio per essere accolte, comprese e rispettate per poi trovare un nome, una pensabilità, necessitano di trovare delle parole per dirlo e per potersi dire, cercano di trovare la via, durante quell’esperienza condivisa, per una seconda nascita.

È anche la narrazione di cosa si anima nella mente emotiva del terapeuta, del suo sentire, del suo “vaneggiare” per sintonizzarsi col paziente e sognare per lui e con lui: che sia quello strano fenomeno mentale che viene chiamato dagli umani dottori della mente: “rêverie”?

Dentro la stanza Miao ha pure modo di rivisitare quel lungo periodo della sua vita quando si era sentito molto triste: “Ovunque andassi ero un intruso …covavo una forte sensazione di precarietà che nascondeva il timore di ammalarmi di un male oscuro …nella consapevolezza che mi mancasse ancora moltissimo il complemento umano a contenermi l’anima; quel complemento che proprio quegli esseri avevano reso in me indispensabile”.

Ad un certo punto della loro relazione, compare nel Rosso una terribile consapevolezza dei suoi bisogni insieme al riconoscimento del legame con l’umano: “Mi sembra incredibile che io mi sia affezionato tanto ad un essere umano. Sto pensando a Niccolò…Niccolò, sempre lui! L’ho visto, mi ha colpito, forse per la sua goffaggine… e col passare del tempo mi sono legato sempre più … ci siamo coccolati e viziati. Lui mi teneva in grembo con disinvoltura… alla fine dei conti ero per lui un estraneo. Era bello rincontrarlo ogni giorno…

Ecco la nascita del legame, ecco la bellezza della ritualità dell’incontro, ecco la sicurezza dell’esserci l’uno per l’altro e la percezione del piacere condiviso nella relazione.

E poi il piacere del contatto, e il giocare assieme, rotolarsi a terra, e trasformare il gioco in lotta, essere entrambi appagati della felicità reciproca dello stare assieme.

E intanto Miao familiarizza con gli ospiti, percepisce il sudore di chi ha paura, riconosce l’odore della sofferenza, di ognuno conosce il nome e di ognuno si crea una storia così come, per la lunga frequentazione, viene a conoscere i pensieri più intimi di Niccolò, i suoi ricordi, il suo sapere, il suo gioire, ma anche il suo soffrire. “A volte Niccolò esce frastornato dal colloquio, e il suo viso tradisce un’emozione simile a quella che provo quando mi capita di precipitare… e atterrato sulle quattro zampe sano e salvo, mi guardo attorno, intontito, impaurito e stupito assieme”.

Miaooo … che sintonizzazione ... che preziose immagini sensoriali Miao ci regala per immedesimarci con i frastornanti stati d’animo di Niccolò … in psicoanalese si potrebbe chiamare “controtransfert” … poco tempo fa, proprio mentre facevo conoscenza con la straordinaria esperienza di Miao, con mio grande sbalordimento, una giovane collega mi ha chiesto di essere aiutata a “massaggiare il suo controtransfert”. Rimango a bocca aperta: il miagolio è arrivato fin là? Ma allora il controtransfert è come il pancino del Rosso? Uhmmm che pensieri arruffati…

Un lungo percorso condiviso, quello del Rosso con Niccolò, tante emozioni, tante esperienze ricordate e raccontate, tante sensazioni hanno attraversato la loro storia.

Ma non è questo in realtà il senso di una vera storia psicoterapeutica?

D’altra parte secondo “un maestro della stirpe di precettori di bottega” da cui Niccolò ha imparato il suo mestiere, la specificità degli elementi della psicoanalisi risiedono nell’estensione del campo del senso (gatto-sensorialità), del mito (la storia giocosa di Miao e Niccolò) e della passione (l’accensione del loro legame)

La nuova esperienza del “sentirsi con” Niccolò aveva indotto Miao ad osare di avere fiducia, a potersi lasciare andare, a permettersi di depositare i pensieri randagi, pesanti, difficili da tollerare in quello che è diventato per lui un luogo sicuro, per poi percorrere insieme col dottore la sua strada, anche faticosa, arrancando, per arrivare alla fine ad una sorta di seconda nascita, come ricorda Nina Coltart attingendo da una bellissima poesia di Yeats “…quale mai rozza bestia, giunta alla fine la sua ora/arranca verso Betlemme per venire alla luce?

Non a caso la poesia, che ha per titolo Il secondo avvento, celebra l’attesa, la comparsa di un lieto evento, di una seconda nascita e, parlando di relazione terapeutica, possiamo immaginare una nascita che ha a che fare con un nuovo modo di essere, di stare con se stessi e nel mondo.

Una storia psicoterapeutica, ci dice lo psicoanalista Giuseppe Di Chiara, è fatta di un incontro, di un racconto e del commiato… “…e col passare del tempo mi sono legato sempre di più, e questa è la maledizione dei desideri realizzati”; proprio così, caro Miao, questo è il prezzo del legame: quando ci si separa il dolore è lancinante. Ma è in quella speciale relazione che si impara un po’ di più a viverlo e a tollerarlo, perché tocca tutti e due, si è in due ad affrontarlo, assomiglia davvero al dolore della separazione della nascita che riguarda la madre e il suo bambino, dolore che è indispensabile attraversare per venire alla luce, come recita la “rozza bestia” di Yeats.

Perciò, come in ogni viaggio psicoterapeutico, ad un certo punto arriva il momento del congedo anche per Miao.

Ora è solo nella clinica veterinaria, tormentato da atroci dolori e da aghi che lo trafiggono, e si fa compagnia con questi pensieri illuminati/allucinati, vaneggiamenti, pensieri quasi da umano, tanto da spaventarsi: Cosa mi succede? Che razza di cambiamento catastrofico sarà? Che trasformazione sta avvenendo? Davvero un terrore senza nome: una morte? Una nuova nascita? “Grande è il timore di riconoscere a me stesso la sensazione di essere in procinto di una straordinaria trasformazione dal felino in umano.” Che pauraaa… ma in questo passaggio spaventoso dentro di lui sa di non essere solo, certo che “presto Niccolò arriverà”.

Niccolò però non comparirà sullo scenario, per lo meno noi non lo vediamo più e ci è straziante questa assenza … ma la fede di Miao è salda: “Presto Niccolò arriverà. … e mi libererà dalla gabbia e da questo maledetto ago conficcato nella zampa e mi porterà con sé … e mi chiederà di rimanere al caldo e al pulito fino a primavera, finché recupererò le forze … per giocare con lucertole e orbettini, per filare leggero nei prati e rincorrere locuste, farfalle, libellule e merli camminatori”.

Ogni ora con ogni paziente è anche, a suo modo, un atto di fede: fede in noi stessi, nel processo, e fede negli aspetti segreti, sconosciuti, impensabili nel nostro paziente che, in quello spazio che è l’analisi, arrancano aspettando il momento in cui sarà giunta infine la loro ora.

(Nina Coltart)