C’è stato un tempo in cui ci si divideva tra chi credeva nella politica e chi nel destino.

Oggi, la grande distinzione sembra essere tra chi legge libri e chi legge il tema natale. L’astrologia è tornata di moda, e non con la grazia dell’antico sapere esoterico: è tornata come trend da feed, come contenuto da postare, condividere, memare. Un sistema millenario ridotto a filtro Instagram. Una simbologia profonda, diventata una scusa per spiegare perché oggi siamo lunatici, stanchi o insopportabili.

I segni zodiacali sono ormai diventati categorie sociologiche, diagnosi psicologiche, giustificazioni comportamentali. Ti tradisce? È uno Scorpione, sai com’è. È egocentrica? Classico Leone. Ansioso, confuso, imprevedibile? Gemelli ascendente caos.

Siamo passati da una società in cui ci si chiedeva “che libro stai leggendo?” a una in cui si chiede “che luna hai?” con la serietà di un interrogatorio spirituale.

E se osi dubitare, se azzardi un “ma non sarà una stupidaggine?”, vieni guardato con lo stesso sdegno riservato a chi dice che l’acqua frizzante fa male. In certi contesti, la critica all’astrologia è diventata una forma di eresia sociale. Sei cinica, chiusa, arida. Una che “non si apre al sentire”.

La nuova lingua sacra

La verità è che l’astrologia non è più una curiosità marginale: è diventata un linguaggio. Sui social, nei podcast, nei talk da divano e persino nelle chat di Tinder. Le persone si presentano con il proprio segno zodiacale come un badge identitario, come se contenesse tutto: carattere, storia, relazioni fallite e traumi irrisolti.

“Sono Bilancia, quindi sono un casino.” Oppure: “Lo sapevo che eri Cancro, lo sentivo dalla tua energia.” È una scorciatoia narrativa che pretende di essere profonda ma non scava mai davvero. È un’identità precotta, comoda, perfetta per generare contenuti. Nulla da spiegare: tutto è già scritto negli astri.

La Donna Astral

Nasce così lei: la Donna Astrale. Vestita sempre con un certo stile radical chic – essenziale, curato, vagamente alternativo. Ha un’aria consapevole e distratta, come se stesse sempre ascoltando qualcosa di più alto. Ma al di là dell’estetica, la conversazione si ferma presto: oltre all’astrologia, i suoi argomenti si esauriscono nelle dinamiche sentimentali, nei “percorsi interiori” sempre legati a qualche relazione, nei soliti “problemi emotivi” che sembrano più accessori identitari che reali momenti di crisi. La sua vita ruota intorno al telefono, che non abbandona mai. Scorre storie, invia vocali, si analizza e si racconta senza sosta – purché sia in forma condivisibile. La profondità, ammesso che ci sia, è selettiva: non legge quasi nulla, non approfondisce, non cerca confronto su nulla che esca dal recinto emotivo-astrale-relazionale.

La cultura è sostituita da intuizioni. I pensieri da “sensazioni”. Una collezione di riflessioni autoreferenziali con al centro sempre e solo una cosa: sé stessa. Ovviamente non ti ascolta mai. Non ti fa una domanda, non ti chiede niente di te. Ma sa leggere la tua energia.

Dietro questa figura, c’è un enorme vuoto pieno di parole: emozioni, ferite, connessioni cosmiche. Ma tutto resta in superficie. Una spiritualità da scaffale pop, che non cura, non sfida, non cambia. Solo consola, ma senza verità.

L’ignoranza chic

In un tempo dove tutto è fragile, cercare un senso non è sbagliato.

Anzi, è necessario. Ma ridurre ogni sfumatura dell’esistenza a dodici archetipi astrali – ben vestiti, truccati e monetizzati – è un’operazione che ha più a che fare con il marketing che con la mistica. L’astrologia social non spiega il mondo: lo semplifica fino a svuotarlo. Non ci invita a conoscerci meglio: ci offre una maschera già pronta, una narrazione preconfezionata che esonera da ogni reale introspezione. Ironia della sorte, chi si definisce “acquariana rivoluzionaria” spesso non rivoluziona nulla, a parte il proprio feed, che alterna una foto in discoteca a una citazione sulla luna nuova trovata su Pinterest.

E l’unico vero viaggio interiore che fa è quello da Amazon al carrello dell’acquisto.

Non c’è pensiero, non c’è ricerca, non c’è fame di sapere. Solo una spiritualità comoda, fatta di storie da 15 secondi, glitter, e una cultura emotiva che non va oltre la parola “vibrazione”.

Parlare con queste persone, spesso, è come girare in tondo su una pista da ballo con la musica bassa: nessun contenuto, nessuna domanda, solo il rumore delle stesse frasi ripetute. I temi sono sempre gli stessi: l’uscita del weekend, il tizio che non risponde, l’energia di una stanza. La parola “introspezione” viene usata, ma non praticata. La parola “energia” viene nominata, ma non capita. E soprattutto, la parola “conoscenza” non viene mai pronunciata. C’è qualcosa di profondamente inquietante in questa estetica dell’ignoranza travestita da profondità. È una nuova forma di leggerezza pericolosa: non quella di chi sa volare, ma quella di chi galleggia sopra tutto senza mai toccare davvero nulla.

Guardare in alto per non guardarsi dentro

Tutti abbiamo bisogno di senso, questo è certo.

Ma forse, invece di cercarlo nelle stelle, dovremmo ricominciare a cercarlo nelle parole vere, nelle domande scomode, nella complessità. Non è sbagliato parlare di emozioni.

È che farlo male, con leggerezza finta, le trasforma in una moda. L’astrologia poteva essere uno strumento per esplorare, oggi è diventata una scusa per non affrontare.

E se dobbiamo convivere con l’idea che Mercurio sia sempre retrogrado, almeno facciamolo con qualche pensiero in più e qualche frase fatta in meno.