La mitologia, come la testa recisa di Orfeo, continua a cantare anche dopo la sua morte.

(K. Kerenyi)

Ci sono storie destinate a riprodursi in infinite metamorfosi, a rigenerarsi nell’onda sonora della loro stessa eco; la risemantizzazione cristiana dei culti pagani ha consentito la sopravvivenza di relitti culturali profondamente sentiti a livello popolare. Nella leggenda di Margherita di Antiochia, giovanissima martire cristiana vissuta ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano, confluisce una simbologia complessa e antichissima che lega il femminino sacro al serpente, riproposta nella manifestazione superlativa del drago. Margherita, che rifiutava di rinnegare il credo cristiano, dopo essere stata processata e sottoposta a molteplici torture venne gettata in una cella, dove il demonio si materializzò in sembianze di drago e la inghiottì. Ma la fanciulla, sorretta da fede incrollabile, riuscì eroicamente a riemergere dal ventre della bestia squarciandone le viscere con la croce che teneva fra le mani. In alcune versioni della leggenda, il diavolo veniva letteralmente malmenato dall’intrepida fanciulla, che lo schiacciava sotto il calcagno, imitando il gesto che sarebbe diventato un topos dell’iconografia mariana e decretando la vittoria definitiva.

Siamo in presenza della rivisitazione di un mitologema molto antico, quello dell'inghiottimento dell'eroe o dell'eroina da parte del mostro e della sua successiva liberazione; un motivo in seguito confluito in numerosissime fiabe moderne. La figura di questa martire si affianca a quella di più celebri santi draghicidi, quali san Giorgio o san Michele, paladini evangelizzatori protagonisti di un processo di conversione dei simboli precristiani; ma quando a questo schema mitico si associano le gesta di eroine femminili, entrano in gioco ulteriori riferimenti. Nella leggenda di Margherita, infatti, è possibile rintracciare un substrato rituale ricorrente nei culti della Madre Terra, che prevedevano che una vergine si inoltrasse nelle profondità di una caverna o altro luogo sotterraneo recando offerte agli dèi inferi. E se già questa catabasi si configurava come una sorta di divoramento simbolico, nelle viscere della terra avveniva anche l’incontro con il serpente sacro, animale totemico al quale la sacerdotessa porgeva il cibo che, se accettato dalla creatura, avrebbe propiziato la fertilità del suolo. Le vicende mitiche o fiabesche di tante fanciulle sacrificate a draghi o ad altri mostri per essere divorate sarebbero riconducibili a questo paradigma narrativo, così come le leggendarie figure femminili ibridate con il serpente o con il drago, quali Sirene e Melusine, che in Margherita trovano un’interessante formulazione iconografica.

Nella dialettica fra la donna il serpente, dunque, la teologia cristiana rielaborava, sovvertendola profondamente, una vetusta alleanza. Nelle mitologie mediterranee troviamo ovunque dee che brandiscono rettili, divinità guerriere che sfoggiano serpi nelle decorazioni dei loro scudi, sacerdotesse che li addomesticano nei recessi dei loro templi; la forza primitiva del serpente vive nella chioma di Medusa, si nasconde fra gli oggetti rituali di Pizie e Pitonesse. Tante dee che la storia avrebbe esiliato e distrutto non sono che proiezioni della potente Potnia Ophion, la primitiva Signora dei Serpenti.

Nel contesto cristiano, Margherita propone un’immagine di grande potenza femminile; non solo sconfigge il drago, ovvero il male nella sua personificazione più superba, ma lo annienta sventrandolo dall’interno, dopo averne intimamente conosciuto e attraversato il corpo. Allo stesso tempo, la memoria dell’antica Dea Serpente risulta specularmente invertita, stravolta dalla necessità narrativa di riprogrammare una mitologia ormai incompresa e rifiutata, capovolgendone il significato. L’eroina cristiana rinnega a tal punto l’alleanza con il serpente da armarsi contro di lui al pari di un virile guerriero civilizzatore. Il legame segreto con l’energia tellurica, con la dote della profezia, con il potere di guarigione, di cui il serpente era stato un tempo rivelatore, è definitivamente spezzato, squarciato, calpestato.

Eppure, l’immaginario riesce sempre a ricomporre la tela lacerata dalla storia. E così, per un processo di assimilazione simbolica, nel medioevo Margherita divenne la protettrice delle partorienti, che nelle doglie del travaglio la invocavano per auspicare una risoluzione fortunata del parto. Quando la donna versava in pericolo di vita, la levatrice leggeva ad alta voce stralci della biografia della santa, oppure, con gesti rituali e propiziatori, appoggiava sul suo ventre un libro aperto su un passo significativo della leggenda. Attraverso l’evocazione della sua eroica “rinascita”, Margherita ritrovava la peculiarità di taumaturga ereditata dalle antenate.

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