Vent'anni per i giornalisti sono un'era geologica; per gli storici, lo schioccare delle dita nel silenzio di una foresta. Vent'anni nella vita di un uomo costituiscono una parte importante della sua esistenza perché, con le dovute cautele, possono essere oggetto di una riflessione che poggi sull'esperienza, propria o altrui.

Dico questo non solo perché vent'anni fa moriva in Tunisia, nell'ormai mitica Hammamet, Bettino Craxi, quanto per il fatto che oggi, piuttosto che del suo lascito politico, si parli molto di retroscena della sua vita privata, che possono pure costituire elementi per esprimere un giudizio sull'uomo, ma che certo non contribuiscono alla necessaria serenità per un’analisi, magari anche critica, del suo operato.

Oggi, rivelazioni che tali non sono (perché Craxi, in fondo, non era tipo da nascondere i suoi atti) sembrano avere spostato il focus del giudizio su di lui sul contributo che egli diede all'Italia, quale che ne sia stato dopo il risultato, per così dire, in sede giudiziaria.

La ricorrenza dei vent'anni della sua morte ha dato la stura ad una serie di interventi, spesso da parte di chi non l'ha mai frequentato o soltanto conosciuto. Che è certamente legittimo fare, ma premettendo che, nel trinciare giudizi, lo si fa grazie a letture ed analisi anche filologiche del suo percorso, ma mai con il conforto di un contatto diretto con lui. Mi sembra invece che oggi (grazie ad una televisione e ad una stampa che sopravvivono grazie alla ricerca della spettacolarità, con un occhio particolare al lato morboso che può nascondersi dietro la parabola umana di un personaggio famoso) di Bettino Craxi si parli solo scavandone negli aspetti più personali.

All'uomo comune può, di sicuro interessare, solo per ipocrita pruderie, con chi Craxi dividesse le sue giornate (sia in Italia che dopo, in Tunisia, dove morì e oggi è sepolto) e in esse i suoi piaceri. Ma certamente questa visuale non serve a costituire le basi per un giudizio non inquinato sui suoi atti politici.

Ed invece le rivelazioni (che tali, credetemi, non sono affatto) di questa o quell'amante, ufficiale o meno, occupano pagine e pagine, ore ed ore davanti ad una telecamera. Si dirà che forse è il destino dei potenti essere giudicati per quel che fanno sopra e sotto le lenzuola, anche se magari le avventure delle quali sono accreditati non sono vere o, piuttosto, un passaggio della tenzone politica, dove, credo lo sappiano tutti, non si fanno prigionieri.

Io Bettino Craxi l'ho conosciuto e, questo almeno spero, ho anche goduto della sua stima e della sua amicizia. Era uomo di profondissima cultura e di un senso della democrazia totale, nel senso che mai, anche quando guidava il Paese, ha mostrato di volere usare il suo potere per annientare un avversario.

Craxi, se ti avesse incrociato in un corridoio, forse non sarebbe stato il primo a salutare. Di certo, nonostante il suo potere ed il suo carisma (facile oggi dire che non ne avesse e che, invece, nei rapporti personali facesse leva sulle sue cariche, politiche ed istituzionali), al tuo saluto rispondeva e, se magari avesse avuto da perdere qualche istante, si sarebbe fermato a stringerti la mano o solo a chiederti come stavi.

Intendiamoci: con questo non voglio dire che il mio ricordo abbia una funzione salvifica rispetto alle accuse che gli sono state mosse in sede giudiziaria di cui ho sempre avuto e ancora ho tante critiche da muovere verso quella magistratura. Vorrei soltanto consentire, a chi non l'ha conosciuto, di farsi un'idea del Craxi uomo che non necessariamente era lo stesso che vedevi in tv o di cui leggevi i taglienti interventi in Parlamento.

La giustizia ha ritenuto che Bettino Craxi abbia infranto delle leggi, e quindi viva la giustizia, anche se, ancora oggi, il giudizio su quegli anni tormentati non può essere univoco. Talune distorsioni, come l'uso della carcerazione preventiva, non come garanzia del non inquinamento delle prove o per impedire fughe, sono state ammesse da alcuni magistrati come un crudele piede di porco infilato nella debolezza di coloro che venivano convocati per essere sentiti come testimoni per poi finire l'interrogatorio da denunciati e, quindi, incarcerati in attesa che crollassero psicologicamente.

Forse occorreranno ancora anni per potere emettere un giudizio equilibrato sul Craxi uomo politico e non è detto che tale esso sia assolutorio.

Mi si consenta un'ultima considerazione, che non vuole assolutamente mettersi in posizione di contrasto con quello che persone molto vicine a Craxi sostengono ora, come lo sostenevano dopo che scelse la Tunisia per evitare, giustamente costretto come è stato, le conseguenze pratiche dei procedimenti contro di lui.

Davanti alla scelta di lasciare l'Italia io pensai che fosse comprensibile, guardare Bettino Craxi come un indagato che respingeva tutte le accuse mosse contro di lui e che, nella fuga, vedeva il solo modo per continuare a difendersi senza patire una carcerazione preventiva che sarebbe durata chissà quanto. Ma, allora come oggi, non sono d'accordo con chi parla di esilio, che è cosa ben diversa. Craxi fuggì per apprestare una linea di difesa da uomo libero. Forse si sentiva un perseguitato politico, e questo fa comprendere le sue scelte, ma andare in Tunisia fu la scelta di un uomo che amava la libertà, considerandola come uno dei pilastri della democrazia.