Per dirla come Erich Maria Remarque, niente di nuovo sul fronte occidentale. E per fronte occidentale intendo quello che c'è al di là delle Alpi e che riguarda il sempiterno conflitto ideologico e politico con la Francia. Non è cosa da poco, se solo si guarda a quanto importante sia il rapporto con i nostri vicini, con i quali ci uniscono mille cose, ma ci separano anche mille controversie, che non sempre sono spiegabili, se non alla luce della spasmodica ricerca della rissa. Due paesi fratelli che però da secoli non perdono occasione per combattersi e non solo con le parole. Dal massacro dei francesi per mano del popolo siciliano (i famosi Vespri Siciliani) che pose fine alla crudele occupazione dell'isola al tentativo di De Gaulle di capitalizzare il ruolo di potenza vincitrice del Secondo conflitto mondiale con l'annessione della Valle d'Aosta, al drammatico capitolo delle violenze dei soldati franco-marocchini che risalirono l'Italia a partire dal 1943, seminando il terrore, sino ad arrivare ai raid dei grandi finanzieri francesi che si sono accaparrati molti dei più prestigiosi brand italiani.

È come se, quando ci troviamo a confrontarci con la Francia, ci cominciano a prudere le mani, andando alla ricerca di qualcosa cui appigliarsi per fare scattare la rissa.

Bene inteso, è un ragionamento tutto figurato, ma a ben guardare nemmeno tanto lontano dalla realtà.

Di questi rapporti molto si è scritto, anche in tempi recenti, andando alla ricerca di qualcosa che possa avere la patente della ragionevolezza per capire i motivi di questo astio che, parlando per immagini e figure, è come un foruncolo che cresce, cresce, cresce sino ad esplodere. Ma non un foruncolo qualunque. Un proverbio, credo scandinavo, dice che: “La verginità di una giovane è come un orzaiolo nell'occhio del diavolo” e Ingmar Bergman lo ha perfidamente citato in un suo libro (L'occhio del diavolo, del 1960).

Ecco, noi ci prendiamo l'occhio del diavolo, ai francesi lasciamo volentieri il ruolo di “orzaiolo”. Perché, confessiamolo, i successi dei francesi (sport, arte, finanza, politica) hanno il potere di scatenare in noi una reazione che avremmo voluto fosse proazione. Ovvero, prendiamo atto e non invece precediamo o neutralizziamo.

Quanti esempi...

La Storia, anche quella non ufficiale, ne è piena e, ancora ai giorni nostri (quando di Storia non possiamo parlare, lasciandone la narrazione ad altri, tra qualche decennio), “noi” e “loro” ci accapigliamo, prendendo spunto anche da vicende che non meriterebbero attenzione alcuna, al di fuori di un condominio.

Prendete Sandro Gozi, uomo politico italiano che, nella sua relativamente breve carriera, non ha avuto alcuna remora nel passare da un partito ad un altro (destra o sinistra, poco importa), sempre comunque sulla base di convincimenti ed elaborazioni. E, per essere coerente con questo modo di rapportarsi con la politica, oggi figura come appartenente a due partiti, Pd in Italia ed En marche in Francia. Scelta personale, forse non immune da critiche di carattere politico, ma che in Italia ha scatenato reazioni fortissime, forse esagerate, ma forse no.

Il perché non è nelle stelle o nei fondi di caffè, ma solo nel fatto che Gozi, cui l'Italia stava andando stretta, è passato armi e bagagli in Francia, dove ora è consulente per gli Affari europei del governo. Apriti cielo. La Francia di Macron che accoglie Gozi viene vista e giudicata come quella di Mitterand che apriva le braccia ai terroristi rossi.

Esagerazioni, come sempre quando Italia e Francia si ritrovano su barricate opposte.

E vogliamo parlare di Fincantieri, eccellenza italiana di altissimo livello peraltro riconosciuto a livello planetario, il cui arrivo in Francia è stato ostacolato, avversato, temuto, odiato?

E tutto accade in un'Europa che vive la sua stagione più drammatica, con oltre Manica il clone di Trump a fare pencolare il suo stranissimo ciuffo tra azioni politicamente gravissime, gaffes spettacolari, promesse irrealizzabili e baratri ad un passo; con la Germania che vede la sua motrice economica continentale rallentare pericolosamente; con i Paesi di Visegrad che, una volta riempiti i rispettivi forzieri con i soldi dell'Ue, si rifiutano di seguirne i dettami etici.

Ma questo atteggiamento che si è determinato tra italiani e francesi è più forte della ragionevolezza e chissà per quanto ce lo dovremo tirare dietro, come un fardello sempre più pesante.