L’uccello combatte per uscire dall'uovo. L'uovo è il mondo.
Chi vuole nascere deve distruggere il mondo. L'uccello vola a Dio.
Il nome del dio è Abraxas.

(Herman Hesse, Demian)

Ma Abraxas pronuncia la parola santificata e maledetta che è vita e morte insieme.

(Carl Gustav Jung, Septem Sermones ad Mortuos)

Se esiste un’immagine antica tanto precisa quanto misteriosa ed enigmatica quella è l’immagine dell’Abraxas, che attraversa indenne i secoli dall’antichità pagana fino ai templari, conservando intatta la propria inesplicabilità. Un’immagine anomala, fuori dai racconti del mito greco eppure potentemente ricca di forza mitica, densa di fascino alchemico ed ermetico ma sfuggente a ogni riduzionismo classificatorio tanto lo stesso Jung non poté che esaltarla senza penetrarne il mistero, ma limitandosi a declamarlo quale sintesi creativa di opposti e di contrari. L’operazione che qui tenteremo, prima di accennare al possibile senso alchemico dell’immagine, è semplice e consiste nello scomporre gli elementi costitutivi dell’immagine andando poi a ricercarne scenari, origini e significati nella mitologia greca. Certamente non risolveremo ciò che non è risolvibile e ciò che non va risolto, quale apoteosi stessa del segreto ed emblema della sapienza misterica ed ermetica, ma valorizzeremo in una luce più nitida e potente il medesimo fatto immaginifico.

Gli elementi costitutivi dell’enigma sono cinque: la testa di gallo, l’essere umano maschile semiserpentino, la frusta nella mano destra, lo scudo ovale nella mano sinistra, il nome. Il gallo rappresenta uno degli animali simbolici più diffusi e condivisi nel mito greco, tanto numerosi e importanti sono i numi a cui è attribuito: Zeus, Atena, Afrodite, Artemide, Persefone, Asclepio. Frequente la sua presenza sei sepolcri, anche paleocristiani. Il suo nome greco antico è: Alectrione (Ἂλεκτρυών). Alectrione era un giovane che venne incaricato da Ares di fare la guardia fuori dalla porta della stanza, mentre il nume si concedeva un incontro amoroso con Afrodite. Il giovane però finì per addormentarsi e Helios, il Sole, sorprese la coppia di amanti. Ares, adirato per l'accaduto, trasformò Alectrione in un gallo, animale che da allora non dimentica mai di segnalare al mattino l'arrivo del sole. E il gallo conservò questo senso di unione fra Ares e Afrodite diventando simbolo solare e combattivo, segno di fuoco e di zelo e di luminosa furia. Alchemicamente la gallina è il Mercurio che cova la pietra filosofale. Il gallo potrebbe richiamare lo Zolfo o il Mercurio fissato, e annunciare il trionfo della rubedo. La testa è alzata verso l’alto come se cantasse o gridasse e sembra stia ruotando. Simbolicamente ricorda il “torcicollo”, uccello simbolico del mito greco, veicolo ruotante di Amore.

Di essere serpentini è ricco il mito greco. È necessario ritessere un quadro generale sugli esseri maschili semiserpentini e sulla loro importanza. Prima una premessa di metodo: il concetto di “mostro” è corretto solo in senso latino: “monstrum” quale apparizione meravigliosa ed eccezionale, concetto e immagine scevra da sensi negativi morali o etici. Il “mostro” risulta semplicemente la divinità preolimpica che il nuovo ordine acheo doveva necessariamente emarginare, ridicolizzare, esorcizzare in senso negativo, mentre all’origine si trattava di potenze analoghe al ruolo che assunsero successivamente i numi olimpici. Se riflettiamo attentamente su tutti gli esseri serpentini del mito greco e sulle loro relazioni capiremo con chiarezza la preziosità del loro ruolo e la profondità della sapienza che occultano. La stessa Atena è connessa al serpente, non solo per l’Egida, misto di serpente, capra e uragano, ma anche per il suo protetto: l’amato semiserpentino Eretteo-Erittonio, il primo Re di Atene, nato dalla terra e dal seme di Efesto sparso sulla gamba di Atena. Erodoto ci ricorda come fosse costume delle libiche vestire di pelli di capra decorate con serpenti. La stessa Atena invia il terribile serpente che uccide Laocoonte e i suoi figli nell’Iliade. Pitone era un eroe oracolare la cui compagna era la serpentina Delfine da cui il nome di Delfi. Pitone tentò di possedere Latona (o Lat o Leda) ninfa della Luna, e madre di Artemide e Apollo. Da ciò la guerra di Apollo contro Delfi e contro Pitone. Il santuario serpentino di Delfi era dedicato a Gea, Febe e Temi, secondo Eschilo. Altri importanti esseri serpentini furono Lamia, Tifone, i giganti, Borea, Glauco, e lo stesso nume solare Mithra viene spesso raffigurato avvolto da un grande serpente. Lamia era figlia di Belo, figlio di Poseidone e di Libia. Libia figlia di Epafo, cioè Apis, Re d’Egitto, a sua volta figlio di Zeus e di Io, cioè Iside, ninfa figlia del Re di Argo Inaco, fratello di Prometeo in quanto figlio di Giapeto, titano figlio di Urano e Gea, oppure figlia di Melisseo, re di Creta, il primo uomo a sacrificare ai numi. Io, quindi, era sorella di Amaltea, la ninfa/capra che allevò Zeus. Lamia era regina di Libia e nume dell’amore e della battaglia, chiamata anche Atena. Il suo culto fu soppresso dagli Achei e, dunque, diventò un “mostro”! Fu considerata anche la madre della prima Sibilla delfica. È insonne e metamorfica come i sapienti draghi, segno dell’ignea e universale vitalità interna della materia. La notazione della grotta coperta di edera in cui nacque, unita alla tradizione, secondo Diodoro, che l’associa all’ebbrezza, rinvia al concetto mistico e oracolare dell’entusiasmo. Le stesse Empuse corrispondo all’orientale Lilith, essere primordiale, prima compagna di Adamo, il cui nome significa “civetta”, segno di Atena. Il semiserpentino Tifone, così potente da spodestare Zeus per un certo tempo, era figlio di Crono che inseminò due uova sepolte poi da Hera. La nascita di Tifone corrisponde, quindi, a una vendetta di Crono-Saturno e di Hera contro il giovane e recente Zeus. Il fatto che la versione principale lo veda figlio di Gea e di Tartaro conferma la versione minore in quanto Hera mette le uova sottoterra. In Egitto Tifone è Seth, fratello di Iside e Osiride, padre di Anubi dalla sorella Nefti, dea dell’oltretomba e del parto, detentrice, con il figlio, della croce egizia, chiave d’immortalità. Anche in questo caso Tifone, come Lamia e Pitone, appaiono nella loro essenza originaria potenze solari e sapienziali, solo successivamente deformate dalla differente visione achea. Tifone appare essere cosmico la cui testa tocca le stelle e le cui braccia uniscono oriente a occidente. Nume della tempesta e dell’uragano, del deserto, ma soprattutto figlio, e perciò sintesi, di Cielo e Terra, Tifone sputa fuoco come i cavalli di Eolo. I “mostri” mostrano una delle loro peculiari caratteristiche nell’ingenuità, nella semplicità, nell’innocenza, nella sensibilità. Sono gli eroi a dover divenire astuti, duri, spietati, ibridi e complicati per sconfiggerli, assumendone gli attributi e le potenze. Così Tifone fu vinto (ma non ucciso) dall’inganno delle Moire e di Hermes-Cadmo. Quando Tifone assalta l’Olimpo tutti i numi si trasformano in Egitto. Tifone stesso appartiene alla potenza metamorfica e proteiforme degli esseri primordiali e originari. Atena non fugge perché deriva dal serpente la sua multiforme sapienza e non può opporvisi né celarsi. La sposa di Tifone fu Echidna, figlia di Ceto e Forco, sorella e fratello, come Urano e Gea, e Crono e Rea. Echidna appartiene all’antica stirpe del mare. Con Eracle genera Scite, capostipite degli Sciti, Agatirso e Gelono. Era veramente malvagia e tenebrosa anche Echidna? Possiamo anche per lei sollevare dei dubbi in quanto cugina delle Nereidi, figlie del sapiente e profetico Nereo o Proteo, figlio di Oceano e Teti, che aiutò Eracle a raggiungere il giardino delle Esperidi, custodito da Ladone, il drago figlio di Echidna, sorella delle sapienti ninfe esperidi. Riguardo i giganti, spiriti della terra, ricordiamo che aiutarono Zeus a sconfiggere i Titani e furono generati secondo i Pelasgi dalla grande dea cosmica Eurinome che si unì al figlio serpentino e titanico Borea/Ofione per generare l’uovo cosmico. Un'altra tradizione ricorda il saggio titano Pallade, nome poi epiteto di Atena, figlio di Crio ed Euribia e fratello di Astreo, e lo confonde con Pallade, figlio di Pandione, re di Atene, a sua volta figlio di Eretteo, che si dice generò una nuova stirpe di Giganti. Anche per i giganti, quindi, il nesso con il serpente cosmico e con la sapienza primordiale appare forte. Come tutti gli esseri serpentini anche i giganti conservarono un nesso anche con il mare. Basti pensare a Oto ed Efialte, figli di Poseidone e di una ninfa figlia di Triope, il cui nome significa “tre occhi” ed è connesso con Demetra. I due giganti rinchiusero Ares per tredici mesi in un vaso di bronzo, e fu liberato da Hermes. In una moneta della gens Valeria del 45 a.C. si ammira un gigante anguipede e dall’altra testa di Giove. La stessa Sparta vede la propria origine connessa al drago, al serpente, all’acqua se si pensa al mostro acquatico Eurota, all’etimologia di “lacedemone” (demone del lago), e “Laconia” è la terra di Lacuna, signora del Lago, e all’affresco di Menelao a Delfi, secondo Pausania, in cui era ritratto con un serpente attorno allo scudo. Borea, invece, vive sul monte Emo, luogo di Tifone, in una grotta dai sette meandri dove Ares tiene le stalle dei suoi cavalli. Se passiamo a Glauco anche in lui non scorgiamo nessun preciso senso malefico, ma anzi il suo nome è connesso o al mare e all’essere ibrido o al serpente stesso nel figlio di Minosse salvato dalla sapienza del serpente. Glauco marino era considerato immortale, guaritore, detentore dell’erba di Crono, simile a Proteo, e maestro di Apollo. Riguardo Mithra compare nella sua iconografia l’immagine del nume che esce da un uovo ergendosi avvolto nelle spire di un serpente. Si tratta di Mithra-Phanes che nasce dall’uovo argenteo di Kronos. Ma il serpente compare anche nella scena più conosciuta di Mithra che uccide il toro, raffigurato mentre si abbevera del sangue della vittima, oppure in Mithra petrogenito, raffigurato avvolto attorno alla pietra.

Anche per Asclepio il serpente è importante. È presente nel suo santuario di Epidauro e a lui Atena, come a Eretteo, donò una fiala con il sangue della Gorgone. Le Baccanti usavano serpenti nei loro riti e come acconciatura. Ogni armatura aveva dei serpenti come decorazione, oppure la Gorgone. Le strisce sul bordo inferiore delle armature sono un residuo di tale tradizione antichissima. Alchemicamente il serpente indica la materia prima dell’opera nel suo aspetto di umidità, di caos, di mutevolezza, ma anche il mercurio nel suo aspetto grezzo. Ma il serpente può essere visto anche come sintesi di acqua e terra, oppure, nel drago, segno di fuoco, cioè alchemicamente di “acqua fiammante”, motore essenziale dell’Opera. La frusta si rivela simbolo preciso e illuminante, iniziatico e regale. Segno dei Faraoni, di Anubi, di Osiride, e dei Dioscuri, insieme al berretto conico degli iniziati di Samotracia (proprio anche di Odisseo folle), si ritrova anche in Ecate, usata per dominare le creature infere, ma appare pure attributo di Nemesi, e simbolo del fulmine di Zeus. Nel suo oracolo di Dodona si vaticinava anche ascoltando delle fruste di cuoio mosse dal vento. La frusta successivamente diventa simbolo di zelo e di fuoco spirituale. Basti pensare a Cristo che scaccia con una frusta di corde i mercanti dal tempio e all’iconografia di S. Ambrogio che impugna la frusta contro l’eresia. Teletè, figlia della ninfa Nicea e di Dioniso, frusta un’iniziata nei dipinti della Villa dei Misteri di Pompei, e Graves evidenziò le tradizioni delle fustigazioni sacre augurali di piogge e fruttificazioni. Esiste anche la costellazione chiamata "cocchiere" o Auriga, rappresentata da una persona che porta in braccio una piccola capra, Amaltea o la stessa egida, e nello stesso tempo ha in mano anche una frusta: si tratta di Erittonio/Eretteo. Lo scudo ovale ricorda la porta di Aion, il perenne presente, il tempo ellittico, ultimo figlio di Cronos, simbolicamente nato dalla sua evirazione. Un ottimo esemplare di questa immagine si individua nel bellissimo vassoio argenteo di Cibele conservato nel Civico Museo Archeologico di Milano. Di solito Aion lo troviamo raffigurato come Phanes con la testa leonina, le ali e avvolto da un serpente che intorno al suo corpo compie 7 giri e mezzo, corrispondenti alle sfere celesti. Nel vassoio di Milano, Aion è un giovane che si affaccia da una porta ovale sul trionfo cosmico di Cibele e vicino a lui ammiriamo un serpe che si arrotola attorno a un obelisco. La sua immagine simbolica si sviluppo all’interno del culto di Mithra. In altre iconografie l’Abraxas tiene uno scudo perfettamente circolare, segno dell’ouroboros e dell’eternità. Analogamente lo scudo rinvia anche alla “ruota” di Ecate o Ananke, e alla ruota associata al torcicollo attrattiva dell’amore, della fecondità e delle piogge. Lo stesso Abraxas nel suo complesso e nel suo atteggiamento ricorda, quindi, il fuoco sapiente e creatore del divino Aion, da come emerge in particolare dagli oracoli caldaici, dai frammenti di Proco, dalla Teosofia di Tubinga e dal Corpus Hermeticum. Il nome ha un solo precedente: uno dei cavalli sacri e magici di Eolo, velocissimo, quasi aereo, dalle cui narici usciva il fuoco. Un nome di sette lettere. Il numero sette viene ribadito nel sigillo templare che raffigura l’immagine di cui trattiamo. Il sette è numero generativo, cosmico e alchemico. Il sette è l’unione di quattro, gli elementi, e di tre, i principi. Sette come i sette gradi iniziatici del culto di Mitra: 1) il corvo/corax (Mercurio) 2) il serpente o Crisalide/Nymphus (Venere) 3) lo scorpione/miles (Marte) 4) il leone/leo (Giove) 5) la civetta/perses (Luna) 6) il gallo/eliodromus (Sole) 7) il Pater/Mithra (Saturno).

L’Abraxas si può vedere quale sintesi del processo dell’opera, suo geroglifico dalla molteplice lettura. La testa e la frusta sono il Sole. Le gambe serpentine e l’argenteo e tondo scudo la Luna. “Ejus pater est sol, mater luna” proclama la Tavola di Smeraldo. Nel mezzo, cioè nella corazza scintillante e dura, si concentra l’oro astrale, fra Sole e Luna, la rugiada celeste, l’acqua rarefatta, lo spirito universale, si deposita il seme dell’Opera. Ciò appare ben visualizzato nel Mutus liber, nella raccolta del vento astrale (Zeus e Danae) fra Sole e Luna. L’immagine ibrida, quindi, racchiude tutte le polarità trasmutative e ricombinanti dell’Opera alchemica. Lo scudo/specchio/vaso aiuta a raccogliere e distillare questa sostanza essenziale da cui sorgerà la pietra filosofale e che va sottoposta a cottura. Secondo un parallelo e complementare approccio la corazza ora la possiamo vedere come athanor, come vaso ermetico, il vaso bronzeo in cui la terra (i mitici aloidi) chiude il fuoco, Ares, fino quasi a spegnerlo, fino alla liberazione tramite Mercurio-Hermes. Ma la corazza è anche il luogo di passaggio trasformativo fra i serpenti, cioè la “putrefazione” e la “calcinazione” dell’Opera al nero e il Gallo della rubedo. In questo senso la prima fase si compie attraverso una separazione/decantazione visualizzata dai due serpenti, mentre poi attraverso la fase della “coagulazione” simbolizzata dalla dura ed ermetica corazza, si sale alla sublimazione e irradiazione dello Zolfo glorioso del Gallo. Secondo un terzo complementare occhio la frusta è il sale bruciante dei filosofi, i serpenti il piombo, lo scudo il mercurio, la corazza lo zolfo.

L’Abraxas unisce in sé quindi tutti gli ingredienti dell’Opera. Ma l’immagine si può apprezzare anche in altre direzioni analoghe. I serpenti sono l’unione primordiale di tutti gli elementi, la prima terra nera, i quattro elementi mescolati insieme, terra, acqua, aria e fuoco. Questo primo caos originario, pesante e instabile, va separato, come Dio creò per separazione nella Genesi, in due parti: l’acqua fiammante e terra leggera e fine, volatile. Le strisce serpentine della corazza rappresentano i sette spiriti dei metalli che vanno unificati nell’unica corazza attraverso il fuoco, nel quale palpita lo spirito/seme unitario di tutti i metalli. L’ultima separazione da superare è quella fra corazza e scudo, cioè fra mercurio e zolfo. Si risale quindi fino al Gallo luminoso, la pietra filosofale cotta e proiettata. Più semplicemente si può raccontare l’immagine nel passaggio fra il piombo dei serpenti ctoni e l’oro della testa di gallo, attraverso il bronzo della corazza e l’argento dello scudo. L’antimonio, invece, può trovarsi nella frusta che controlla il fuoco, o nello scudo che protegge la bollente corazza. Ancora: la serpentina frusta quale argento vivo, plasmato e perfezionato nello scudo e fissato nella corazza fondendolo con lo zolfo e il sale. Le parole non esauriranno mai la ricchezza cifrata dell’Abraxas: dall’umido del serpente al secco del gallo fiammante, dal mercurio volgare a quello filosofico, dalla terra nera al fuoco, dall’invisibile Ade al cosmico e visibile Eros, dal caos alla sintesi di zolfo/sale/mercurio che è l’Abraxas, cioè la pietra filosofale viva e raggiante. L’Abraxas condivide con l’iconografia mitraica l’unione della dimensione ctonia, lunare e serpentina con quella solare: il serpente e il gallo, il Sole e lo scorpione, il toro e la Luna, il grano e la pietra. L’Abraxas presenta aspetti importanti comuni con l’immagine di Mitra/Phanes: il serpente/uovo/pietra all’origine e il fuoco solare in vetta.