Si sente un "egiziano naturalizzato italiano"?
Mi sento orgogliosamente italiano al cento per cento. Non vivo schizofrenie identitarie. Sono nato e ho vissuto i primi venti anni al Cairo. La considero un'esperienza importante e feconda della mia vita che si è conclusa con la scelta di abbracciare l'Italia come la mia patria quale incarnazione degli ideali di verità e libertà che da sempre ispirano il mio percorso esistenziale.

Trentacinque anni di carriera focalizzati sul rapporto tra Oriente e Occidente, come si è evoluto questo rapporto e a che punto siamo ora? Come si può essere un bravo giornalista di politica internazionale?
Ho coltivato una passione per la politica e sono nato con l'amore per la scrittura sin da piccolo. All'età di 15 anni confessai che il sogno della mia vita era di fare il giornalista. Il fatto di essere nato in un Paese mediorientale e di conoscere adeguatamente l'arabo, mi ha indubbiamente avvantaggiato rispetto ai colleghi italiani ed europei che spesso sono auto-referenziali, immaginando che gli altri siano automaticamente a nostra immagine e somiglianza, e sono impossibilitati a conoscere dall'interno la realtà del vissuto di popoli che hanno Storia, cultura, religione e lingua diversa. Il fatto di conoscere dall'età di 4 anni correttamente l'italiano, avendo studiato in scuole italiane al Cairo, e di essermi da subito innamorato dell'Italia concepita complessivamente come civiltà italiana, mi ha messo nella condizione di potermi rapportare da una posizione di assoluta capacità e competenza professionale. Per me il giornalismo è innanzitutto una missione e una scelta di vita, prima ancora di essere una professione. Se unitamente alla serietà nella documentazione c'è la passione per un percorso informativo e formativo, allora il risultato non potrà che essere molto positivo. Oggi stiamo assistendo al declino dell'Occidente, inteso come sistema economico e come civiltà, a vantaggio di un Oriente capitanato dalla Cina e dai Paesi petroliferi mediorientali. Si tratta di una sfida di natura sia finanziaria ed economica, sia valoriale e sociale.

Quanto è difficile fare il giornalista? Si è davvero liberi di dire e scrivere quello che accade o si è sempre filtrati da un sistema precostituito?
Ho fatto parte della generazione di giornalisti della carta stampata. Ho iniziato nel 1976 con la macchina da scrivere e ho concluso nel 2008 la mia carriera professionale concependo ancora il computer come una macchina da scrivere. In generale il sistema dell'informazione nella cosiddetta “Prima Repubblica” in cui ho vissuto era sostanzialmente un sottobosco della politica. I giornali si indebitavano senza preoccuparsi perché c'era il politico di riferimento che avrebbe assicurato i sussidi di Stato all'editoria. Ciò ha ovviamente favorito la politicizzazione dei giornali a scapito dell'obiettività dell'informazione. In questo contesto solo un pugno di giornalisti ha potuto godere del privilegio di scrivere in modo autenticamente indipendente dalla cosiddetta “linea editoriale”. Oggi con la crescente presenza di Internet nella nostra vita, l'informazione sta sostanzialmente cambiando e ci sono indubbiamente maggiori spazi per un'informazione obiettiva, anche se in parallelo la Rete è un calderone dove si trova di tutto, compresa l'informazione politicizzata e ideologizzata”.

_ Manifesto, Repubblica, Corriere della Sera _ , che esperienze sono state?
Il Manifesto è stata una brevissima parentesi all'esordio della mia carriera giornalistica da collaboratore esterno. Alla Repubblica ho scritto complessivamente per 24 anni fino ad assumere la carica di editorialista e inviato speciale. Al Corriere della Sera ci sono stato dal 2003 al 2008 come vice-direttore ad personam. Repubblica nacque nel 1976 come organo indipendente liberale ed è diventato il giornale di riferimento della sinistra. Il Corriere della Sera da organo della borghesia milanese si è trasformato nel principale alleato del governo espresso dai suoi stessi azionisti, le grandi industrie e banche italiane. Personalmente ho avuto la fortuna di poter salvaguardare la mia autonomia e di essere apprezzato per le mie posizioni anche contro-corrente”.

Cosa pensa della Primavera Araba?
Il caos che regna in Siria, Egitto, Libia e Tunisia ci conferma che la cosiddetta “Primavera araba” è stata la più grande menzogna mediatica nell'esordio del Terzo millennio. Quelle popolazioni sono in rivolta per il pane e per il lavoro, non per la libertà e la democrazia così come s'immagina in un Occidente oltretutto ormai incapace di offrire un modello di civiltà credibile e convincente. Quanto è accaduto di fronte a casa nostra mette a nudo i mali intrinseci di una democrazia concepita nella sua dimensione formale ma scevra di contenuti sostanziali, che ha consentito di strumentalizzare il rito delle elezioni per favorire l'accesso al potere degli islamici che sono ideologicamente ostili ai diritti fondamentali della persona, a partire dalla sacralità della vita di tutti, la pari dignità tra uomo e donna, la libertà di scelta compresa la libertà di convertirsi a un'altra religione senza essere condannati a morte per apostasia. Ugualmente ha evidenziato i limiti di una democrazia occidentale che è inadeguata a dare delle risposte concrete ai tragici problemi di chi vive nella povertà, è vittima di ingiustizie sociali o patisce la guerra.

Viene definito come un musulmano moderato, ma spesso è stato criticato per la sua presa di posizione, come ha reagito alle critiche?
Sono stato per 56 anni un musulmano moderato e da musulmano moderato sono stato condannato a morte dagli integralisti ed estremisti islamici per la mia difesa del diritto di Israele a esistere come Stato del popolo ebraico e per la mia denuncia del terrorismo islamico specie nella sua versione suicida. Sin da musulmano moderato ho coltivato e promosso i valori non negoziabili della vita, della dignità e della libertà della persona.

Ha vinto il premio Dan David, di cosa si tratta?
Ho conosciuto Dan David. E' stato un brillante imprenditore israeliano con la cittadinanza italiana che ha inventato le macchinette delle fotografie automatiche che si trovano nelle stazioni dei treni. Ma è stato soprattutto un filantropo che ha istituito un premio internazionale per rendere omaggio a delle personalità che si sono distinte in vari ambiti scientifici, artistici e sociali. Nel 2006 fui insignito del premio insieme ad altri tre giornalisti per la promozione della cultura della pace.

Perché a un certo punto abbandonare il giornalismo per dedicarsi alla politica?
Perché ho sentito dentro la necessità di tradurre in fatti ciò che testimoniavo attraverso la scrittura e la parola in un momento critico della nostra civiltà in cui abbiamo perso la certezza di chi siamo, delle nostre radici, fede, valori, identità e regole. Per cambiare la società bisogna impegnarsi in politica confrontandosi con l'esistente per poter individuare dall'interno delle istituzioni un'alternativa a un modello di sviluppo, di società e di Stato che ormai non funzionano più.

La sua conversione al cattolicesimo e il successivo abbandono, un commento?
Sono cristiano, considero valido il battesimo ricevuto da Benedetto XVI ma critico i comportamenti della Chiesa a partire dalla sostanziale legittimazione dell'Islam come religione di pari valore del cristianesimo, dall'adesione all'ideologia dell'immigrazionismo fino alla legittimazione dei clandestini, dal sostegno ai poteri finanziari come è stato con il governo Monti, uomo della Goldman Sachs, Moody's, Gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale.