Gli aspetti di cose per noi importantissime sono nascosti a causa della loro semplicità e familiarità. Si è incapaci di notare qualcosa perché la si ha sempre davanti agli occhi. I veri fondamenti di un’indagine non colpiscono affatto l’uomo che la compie.

(Wittgenstein, 1976)

Che cosa è la terra di mezzo?

Il concetto trova le sue origini nel mondo delle scienze dure, in particolare nella fisica e nella biologia, per identificare ed etichettare il sistema di situazioni e di processi che si svolgono in quella dimensione della vita che si pone tra l’estremamente piccolo (l’atomico) e l’estremamente grande (il macroscopico). La cosa interessante è che fino ad oggi si sono svolti pochi studi inerenti le proprietà dei sistemi che agiscono in questo dominio che, invece, sono estremamente importanti per comprendere le caratteristiche e le proprietà dei domini superiori e inferiori.

Macro e micro interagiscono in modo circolare e senza soluzione di continuità influenzando ed essendo influenzati proprio da questa apparentemente “misteriosa” terra di mezzo. È come se volendo osservare e capire il funzionamento di una scala potessimo fare delle considerazioni sul primo gradino e sull’ultimo senza considerare che ci sono dei gradini intermedi! Il dominio di questi gradini intermedi nella scala viene chiamato “mesoscopico”. Eppure questa terra di mezzo è quella che ci influenza con maggiore intensità ed è quella che indirizza maggiormente le nostre percezioni e le nostre emozioni; in altri termini è quella dove ci situiamo quotidianamente ed è quella con la quale ci confrontiamo per decidere e agire.

La nostra concentrazione viene indirizzata soprattutto alla dimensione delle forme spazio-temporali che ci rispecchiano maggiormente, che sono per noi facilmente riconoscibili e comprensibili: mentre scrivo sono in treno e le mie attenzioni si rivolgono alle altre persone, ai sedili, alla struttura che ci ospita, agli oggetti posti sui tavoli; eppure se distraggo volutamente la mia attenzione verso il piccolo, mi accorgo delle minutaglie presenti sul pavimento così come delle polveri nell’aria o ancora dei filamenti minutissimi che compongono la maglietta della persona che mi è di fronte. Egualmente se mi rivolgo al grande osservo, con la curiosità dell’esploratore, l’insieme tubolare che ci ospita, la sua dinamica di movimento, la sua dimensione inafferrabile così come la sua apparente inconoscibilità. Il grande e il piccolo ci attraversano, ci uniscono, sono la nostra ragion d’essere e noi, ognuno di noi, ne determina reciprocamente la specifica esistenza di scopo in quell’attimo.

Vogliamo esplorare o tirare dritto?

Mentre si compie un viaggio da un luogo a un altro conoscendo la meta si attraversano terre mai viste, mai frequentate; eppure si ha un senso di tranquillità dovuto al fatto che lì dove siamo diretti qualcuno o qualcosa di conosciuto ci aspetta. A volte è sufficiente una foto, un contatto telefonico, un conoscente e il legame – anche molto debole – con “quel posto” si manifesta come “l’idea, l’immagine” del luogo, della situazione che mi troverò ad affrontare all’arrivo, al termine del mio viaggio.

Possiamo organizzare il nostro viaggio stabilendo prima di partire quale è la meta a patto che la meta sia un’idea e un’immagine precisa e che ci sia in noi la convinzione che questa possibilità sia l’unica, la migliore per noi, quella vera, quella che non subirà delle interferenze o delle modificazioni “in corso d’opera”. Insomma, vogliamo che quella che abbiamo deciso a tavolino o discutendo con i familiari o con gli amici – magari anche molto ma molto tempo prima di partire – sia la storia vera, quella che corrisponde ai nostri desideri. Non amiamo l’imprevisto, così come non gradiamo che qualcuno o qualcosa ci distragga durante il viaggio, confondendo e rendendo opaca l’idea e l’immagine della meta. Non ci piace che qualcuno o qualcosa disturbi la nostra idea, o che magari ci imponga di cambiare il nostro progetto – piccolo o grande, semplice o impegnativo, di breve o di lungo periodo che sia. Deciso un viaggio rifiutiamo il cambiamento durante il percorso e non abbiamo nessuna intenzione di accettarlo, di fare quel qualcosa che è necessario per stare meglio durante il viaggio. È naturale; siamo continuamente alla ricerca di sicurezza e stabilità ed ogni cambiamento ci impaurisce e ci spinge a generare barriere.

Ecco, durante il viaggio ... la “terra di mezzo” esiste, la osserviamo, la attraversiamo, la percepiamo, la utilizziamo, la influenziamo, ne siamo partecipi fino al momento in cui la meta non ci appare ben delineata così come noi l’avevamo immaginata e così il nostro cuore può gioire e il nostro corpo vivere della gratificazione dell’arrivo. Molti lavorano lontano da casa e spesso percorrono il tragitto che da casa li conduce al lavoro: 3, 7, 20, 40, 100, persino 200 chilometri al giorno! A piedi, in motorino, in auto, in treno?

La terra di mezzo è quella che attraversiamo “sempre, tutti i giorni” ed è ormai a noi familiare, prevedibile. E noi la attraversiamo inconsapevoli, spesso senza guardare, senza capire e sentire che in quella terra vivono uomini, animali, piante. In quella terra di mezzo si svolgono storie, attività, amori, conflitti, tragedie, giochi. Secondo quali regole e secondo quali libertà? In questo spazio del “mesoscopico” potrebbero essere annidate altre storie, altre vite, altre emozioni, altre infinite possibilità!

Siamo proprio certi che le nostre “terre di mezzo” non siano degne di un “supplemento di indagine”, di qualche momento di attenzione, di riposo, di approfondimento? E se invece, mentre noi le attraversiamo, queste terre ci svelassero dei misteri, delle immagini inattese, dei saperi profondi e arricchenti? E se lasciassimo insinuare in questa permanente e ossessiva ricerca di certezza, di regolarità e di prevedibilità delle utili distrazioni? Per noi un grande premio! Nuove opportunità, nuove scoperte, nuove conoscenze. È necessario decidere se fermarsi e farsi coinvolgere o se invece tirare diritti … il dilemma tra regolarità e novità è sempre sull’uscio!