È uno scherzo del Rosatellum e delle sue contorsioni. Ma Salvini, ministro dell’Interno e soprattutto segretario nazionale della Lega e basta, è stato eletto al Parlamento in Calabria. E qui a Pontida, il 1° luglio 2018, fanno presente come era una cosa impensabile nel 1990, anno fatale perché si svolgeva la prima edizione di Pontida e, l’allora diciassettenne Matteo si avvicinava alla Lega Lombarda-Lega Nord, attributo quest’ultimo che quello che allora era uno studente di belle speranze ha provveduto a eliminare dal nome senza tante balle e senza passare per congressi e assemblee. Perché la Lega, pur dalla pelle mutata, resta sempre il più vecchio partito italiano in circolazione e mantiene le caratteristiche della Prima Repubblica (l’organizzazione ancora capillare quasi come il fu PCI) come della Seconda (il leaderismo con il capo che decide tutto sul modello berlusconiano). Oggi si celebra l’edizione numero 32 di Pontida. La cronologia non è precisa: vi sono stati anni in cui ne è stata organizzata più di una e i tempi grigi per gli ex lumbard in cui il raduno non si fece perché sarebbe stato un triste autodafé.

Il prato

Questa è una Pontida particolare, è il momento delle celebrazioni per la conquista dei posti di prima fila in un governo senza l’ombra lunga del Cavaliere davanti, da parte di un movimento che da autonomista, secessionista, federalista e soprattutto nordico, si è trasformato in nazionale, sovranista con quella venatura di populismo che ha sempre tenuto dentro ma che ora ha assunto un’accezione diversa sul modello di coloro che vogliono ribaltare come un calzino l’Europa. L’altra Lega, quella che vide l’alba di Pontida era invece populista ma europeista. Al vecchio continente guardava l’utopia padana di Umberto Bossi, a un’Europa delle Regioni in cui la Lombardia avrebbe avuto gioco facile a fare la parte della Germania. Questo raccontava, al tempo che fu, il Senatur sul “pratone” bergamasco. Adesso è tutta un’altra cosa.

L’idea fu partorita da quel grande animale politico che era Bossi prima della grave malattia. Giocando un po’ con la storia, come era solito fare nei suoi torrenziali comizi, il Senatur si appropriò del mito del giuramento dei Comuni lombardi pronunciato nel piccolo centro in terra bergamasca con la sua abbazia, davanti al Carroccio per combattere il Barbarossa Federico Imperatore. Il nemico contro cui il capo leghista di allora invitava il suo popolo alle armi non arrivava però dal Nord come il teutonico sovrano, bensì dal Sud e si chiamava Roma ladrona che opprimeva la Padania anelante di libertà con i balzelli e le pastette burocratiche.

Pontida era l’attesa messianica di un qualcosa che si sarebbe detta, a seconda dei momenti e della convenienza tattica, secessione, federalismo, autonomia e devolution. Un sogno cullato a lungo da migliaia di barbari con il brusco risveglio che, paradossalmente, coincise proprio con l’apparente realizzazione onirica: quel federalismo divenuto legge dello Stato, già annacquato con diabolica sapienza tiberina nella capitale e mandato definitivamente al tappeto dalla lunga crisi economica mondiale che non avrebbe più consentito simili lussi. Nel frattempo era giunta la malattia di Bossi, il suo ritorno, avvolto dal venefico cerchio magico; lo scandalo tuttora in parte irrisolto dei finanziamenti pubblici finiti qua e là e chissà dove, il crollo della credibilità elettorale e l’esigenza di mutare ragione sociale come ha intuito Salvini che ha espugnato il partito dopo la breve parentesi catartica di Roberto Maroni e le sue ramazze.

Pontida è passata attraverso tutto questo: dalla prima Lega di lotta poi diventata, per un batter d’ali di farfalla, di governo, quindi ancora pugnace e più dura sulla soglia dell’eversione, di nuovo questa volta duratura di governo, quindi smarrita e rivitalizzata come mai avrebbe immaginato dal ragazzone con la barba e la felpa che apparirà sul pratone con la grisaglia ministeriale convertita in blu per ragioni sceniche. Perché Pontida è anche un fatto cromatico. Il verde è sempre stato l’unico colore, quello del pratone, delle magliette, dei fazzoletti e dei gadget. Oggi si cambia: il verde diventa blu, colore del sovranismo della nuova Lega e basta. Oltretutto ora siamo nella Terza Repubblica e il raduno con la sua ritualità è uno dei simboli del passaggio dalla Prima alla Seconda. Tanto che Bettino Craxi arrivò a rincorrere il Senatur, organizzando nell’abbazia attigua al pratone un convegno sul federalismo. E da lì si capì come sarebbe andata a finire.

Pontida era l’esercito che si radunava sul fare dell’estate per preparare le campagne d’autunno, scandite da Bossi in interminabili orazioni ascoltate stoicamente sotto il sole che brucia le teste o sprofondando nel fango che invade l’erba nelle giornate di pioggia. Da lì partì l’utopia secessionista del 1996, con la Lega galvanizzata da quel 10% alle politiche che rappresentò il miglior risultato pre Salvini e l’annunciò di Bossi dalla marcia sul Po, ideale confine della Padania.

Il leader e i 70mila

"Lasciamo che siano altri a esaurire le scorte di Maloox nelle farmacie italiane". Dal Palco di Pontida, Matteo Salvini inizia il suo discorso premettendo che la "vita è troppo breve per odiare". Poi scende tra la gente ("perché questa è casa mia"), mentre il suono di una cornamusa ricorda i leghisti che non ci sono più. Il segretario, commosso, abbraccia la mamma di Gianluca Buonanno, eurodeputato della Lega, scomparso due anni fa in un incidente stradale. Il suo intervento - con il leader che parla circa un'ora - lo vede più volte ribadire la nuova rotta da prendere: "Io penso a una 'Lega della Leghe' in Europa, che metta insieme tutti i movimenti liberi che vogliono difendere i propri confini e il benessere dei propri figli: è questo il futuro, pacifico e sorridente, cui stiamo lavorando". Tema nuovo, che si aggiunge ai cavalli di battaglia della Lega sovranista, dalla lotta ai flussi migratori, alla legittima difesa, alla difesa della famiglia tradizionale, alla lotta alla criminalità. Sulla svolta europeista, la rivoluzione copernicana di Salvini, che ora più che a uscire dall'Europa, punta a esportare il modello della Lega nel vecchio continente, Salvini garantisce: "Noi abbatteremo il muro di Bruxelles".

"Un popolo così - dice rivolto ai leghisti a migliaia sul pratone - cambia la storia. Far cadere il muro di Berlino era impensabile e noi faremo cadere il muro di Bruxelles, non dico che lo faremo a colpi di ruspa perché sennò dicono che sono cattivo". Il "coraggio della Lega contagerà tutti gli altri paesi europei, e le nostre idee arriveranno in Francia, Spagna Portogallo, in Europa", dice tra gli applausi. Poi arrivano i temi cari alla Lega. Innanzi tutto, ribadisce il leader "l'impegno a cancellare la legge Fornero, ingiusta e disumana, alla faccia dei chiacchieroni, che dicono che grazie alla legge sulle pensioni i conti pubblici sono in sicurezza". "Ci proveremo, rispettando i vincoli imposti", promette Salvini. Poi il tema migranti. Cita due volte Simone Weil, Salvini, che ricorda come la filosofa "diceva che 'i doveri vengono prima dei diritti' e questo se lo deve metter in testa chi vive in Italia da tempo, ma soprattutto chi arriva domani mattina".

E poi, l'altra citazione: "è criminale tutto ciò che ha come effetto di sradicare un essere umano o d'impedirgli di mettere radici", che viene usata dal segretario del Carroccio per ribadire l'idea della necessità di aiutare i migranti a casa loro. Perché in tema di accoglienza "i limiti del possibile sono stati raggiunti, come dice il catechismo che parla di accoglienza degli stranieri 'nel limite del possibile'. Noi accoglieremo in aereo solo chi fugge dalle guerre, gli altri no", promette, ribadendo che "è il ministro dell'Interno a decidere se si aprono o chiudono i porti". Sulla famiglia Salvini rinnova la benedizione leghista a quella tradizionale, aggiungendo come "mi fa schifo il solo pensiero dell'utero in affitto" che "non è progresso, ma la fine della civiltà". "Sindaci e governatori della Lega rimettano al centro le politiche per le famiglie", chiede ai suoi Salvini. Non manca l'attacco al Pd: "Renzi si sta riposando e leggo che scorre gli annunci immobiliari a Firenze, buon per lui", dice, mentre i fischi salgono alti. "Oggi è un mese dal giuramento del primo giugno - aggiunge respingendo al mittente le critiche di immobilismo contro il governo gialloverde - e tutta Europa si è accorta che abbiamo fatto più noi in un mese che altri in sei anni di dormite". "Si mettano l'anima in pace a sinistra - scandisce - perché Italia che governeremo per i prossimi trenta anni, sarà orgogliosa, diversa, fondata sulle autonomie". Da ministro dell'Interno promette lotta senza quartiere alla criminalità: "Stradicheremo le schifezze di mafia, camorra e 'ndrangheta. A noi fanno schifo, li combatteremo con ogni mezzo necessario, prendendo esempio da chi ha combattuto non a parole" dice riferendosi a Rosario Livatino, "morto a 38 anni vittima della mafia, un giudice che non andava in tv, che non aveva fatto milioni di euro con l'antimafia delle parole". "Da Pontida arriva l'avviso - è lo slogan di Salvini - anche per mafiosi e camorristi è finita la pacchia".

Conclude il suo intervento con il rosario nelle mani, il leader della Lega, mentre in tanti accusano malori per il caldo asfissiante sotto il palco. "Questo rosario è stato confezionato da una donna sfruttata, da una di quelle donne illuse che in Italia c'era il Bengodi. Era una donna nigeriana, ma poteva essere italiana o di qualsiasi altra nazionalità", spiega. Quindi, si rivolge al suo popolo per suggellare la nuova intesa: "Giurate di non mollare finché non avremo liberato i popoli di questa Europa?", chiede alla fine. Tre volte gli rispondono sì in coro, pronti per la nuova scommessa. "E allora teniamo duro e andiamo a vincere", dice Salvini salutando la folla.