È nella totalità di un imprimere voluttuoso – carneggiante di grazia e spirito, al contempo - che si sostanziano le formidabili passioni olfattive di Gabriele d’Annunzio, deflagranti in ogni dove. Nelle azioni mirabolanti che contraddistinsero il suo vivere inimitabile, non c’è infatti gesto ispirativo-inspirativo esente da questa incensazione: come se nel profumo si annidasse la bestia spasimante della sua tuttità, avida di ogni esperienza.

Il crescendo è una suite largheggiante che parte dal dispendio di cifre esorbitanti, iperboliche, scandalose (Non resisto alla voglia di sperperare ogni cosa nuova), approda ai carteggi per le estenuanti richieste ai fornitori, plana su sperimentazioni personalissime, si appassiona al collezionismo bibliografico rinascimentale, ritorna alle ossessioni (E chiedo profumi profumi profumi), per approdare – infine - agli imparolamenti letterari intinti nell’ebbrezza odorosa, nei vaticini del tempo presentificante, perpetuamente celebrato sull’altare sensitivo: evocativo, esangue, istintuale.

Paroliere, filologo, artiere, fabbro, condottiero, politico, teatrante, gioielliere, giocoliere, auronauta, eternauta, arringatore, erotomane, miliziano, dandy, avventuriero, monaco, araldo, veggente, profeta, poeta. Profumiere. O meglio, aromatiere. Odorarius Magister. Così Ariel è chiamato dal Dottor Cavalier Mario Ferrari della Farmacia Internazionale di Gardone Riviera, in una lettera del 4 marzo 1925 magnificante la sguazzante disposizione olfattiva del Comandante. L’ossequiosa valorizzazione che il Poeta assegna ai profumi è presente persino nei documenti dell’ufficialità. Sono loro a chiudere il solenne documento testamentario (redatto tra il 1923 e il ‘30) con cui Egli cede il Vittoriale allo Stato italiano: “Anche da poco ho fondato il Teatro aperto, e ordinato le scuole le botteghe le officine a rimemorare e rinovellare le tradizioni italiane delle arti minori. Batto il ferro, soffio il vetro, incido le pietre dure, stampo i legni con un torchietto che mi trovò Adolfo piceno, colorisco le stoffe, intaglio l’osso e il bosso, interpreto i ricettari di Caterina Sforza, sottilizzo i profumi.” Sottilizzo i profumi: appunto.

Nulla di strano – dunque - se tra le migliaia di reliquie facenti parte della complessa macchina teatrale del Vittoriale, il profumo gorgheggi. Trabocca infatti in Prioria l’ammontare degli oggetti celebranti: storte, alambicchi, alzate e vasi in vetro che paiono sbucare dalle maddalene mirrofore dei dipinti rinascimentali (Crivelli, Bellini, Tiziano), rievocate nel Cristo e la Maddalena di Guido Cadorin (Stanza del Lebbroso, 1924), bruciaprofumi. Una vera e propria cattedrale olfattiva disseminata negli ambienti del Sacro Eremo, nascosta in ogni anfratto e degna di un inventario Gonzaga.

Ampolle a fondo piatto, con collo stretto e ventre rigonfio, con o senza manici. Piccole, istoriate, delicatissime. All’etrusca, a bugnato, a stelo, a campana, color bronzo, per l’ambra del Siam, a caffettiera, a fialetta, di forma oblunga, bombata, molata, esagonale col collo impreziosito di foglie, col dorso a peduncoli, con beccuccio a stelo, verdi come un drago o turchesi come una gemma, a chiocciola, floreali, con pomello fruttato, col leone marciano, di impronta giapponese. E poi, quella dell’Aqua Nuntia –naturalmente - frutto di una visione scenografica dell’antico di impronta evocativa, quasi che il Vate giocasse coi multipli di sé. Molte le ampolle dedicate; alcune di stampo rétro, altre squadrate e modernissime, come a bilanciare la miscela all’antica con soluzioni di design, per convocare le immagini del tempo in movimento, nell’affiorare delle epoche.

La saldatura con l’antico è ulteriormente assicurata mediante la vicinanza ai numerosi frammenti scultorei, sebbene la robustezza rinascimentale in lui si sfilacci come parvenza metafisica: teste michelangiolesche, busti quattrocenteschi (incantevole il calco di Laurana con basamento istoriato collocato nella Stanza del Mappamondo e ricavato dal busto di Ippolita Maria Sforza, 1472. Laurana è menzionato fin dagli appunti parigini del 1898 dove l’orgoglio nazionale si intensifica proprio nel citare i tesori italici lì conservati), reliquie corsare. Una venerabile drammatizzazione archeologica, efficace e fascinosa: tra maioliche, motti latini, gessi, stoffe, stipi e trumeaux; mentre l’ispirazione ecclesiastica fa capolino tra colori preziosi (oro, rosso), suppellettili (turiboli e navicelle, come nell’Oratorio Dalmata), soluzioni scenografiche (nicchie, cunicoli) proprie all’iconostasi.

In omaggio all’Imaginifico, ecco dunque l’Odorarius Mirabilis: tra visibile e invisibile, sacro e profano. Promossa da Marco Vidal, Direttore Commerciale Mavive e Amministratore Delegato di The Merchant of Venice, sostenuta da Mavive SpA, fortemente voluta da Giordano Bruno Guerri, Presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, ideata dalla sottoscritta, progettata dal magistero di Pier Luigi Pizzi, scenografo di fama mondiale che ne ha interpretato le intime ragioni, realizzata con il coordinamento dell’Architetto Giacomo Andrea Doria per OttArt, l’esposizione (presso la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, fino al 27 gennaio 2019) si configura come un sontuoso visionario emotivo carico di potenza liturgica: una sorta di Sancta Sanctorum in cui si profila la sintesi del gesto e del genio: estetico, collezionistico, letterario, erotico, sentimentale, liturgico.

Una statua di Venere, rivisitata dal Vate, introduce il visitatore al santuario che si rivela per “cappelle”, ognuna delle quali introdotta da un motto lapidario: la cappella rinascimentale, dominata dal busto femminile del Laurana (Cum Odore Candor); quella per la divina Duse (Tu M’Inambri); quella dedicata a Maria Maddalena e ai suoi unguenti miracolosi (In Te Virtus Aphroditis); quella dell’Iconostasi (Chi Fu Che Vi Chiamò Un Giorno L’Imaginifico?); l’officina dell’Aqua Nuntia (Aqua Nuntia Portentosa); la cappella del Giglio (Fior *Sacro Amico Del Piacere); quella per Santa Cecilia (Tutto E’ Divina Musica); infine, naturalmente, la Farmacia (E Chiedo Profumi Profumi Profumi*). Parole come profumi, profumi come parole, tra effetti votivi e misteri pagani. Un ambiente alchemico ovattato e segreto che si addice al virtuosismo con cui il Comandante sigla ogni intuizione. Gigli soprannaturali, giunchiglie innamorate, gardenie incandescenti, tuberose desiderabili. Odori d’ambra, di muschio e di rugiada; di sacrestia, cuoio, anticaglie. Remoti come liquori di cent’anni o freschi come perle fiumane. E poi rose. Rose senza fine.

La Rosa è il Profumo e il Profumo è la Rosa: elettrica, eletta, ardente, gialla, vermiglia, bruna, larga e chiara, freschissima e imperlata; oppure di carne, voluttuosa come le più voluttuose forme d’un corpo di donna, con qualche sottile venatura. Nelle infinite gradazioni del rosso, dal cremisi violento, del color disfatto della fragola matura, del candore della neve immacolata, tintinnante nel suo epistolario tra erotismo e soavità. E se Il Verso è tutto anche Il Profumo è tutto, per perfetta traslazione aerea, valevole per entrambi i composti. Che esso “Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile; può abbracciare l’illimitato e penetrare l’abisso; può avere dimensioni d’eternità; può rappresentare il sopraumano, il soprannaturale, l’oltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come un’estasi; può nel tempo medesimo posseder il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può, infine, raggiungere l’Assoluto.” Solo ad un primo sguardo il Poeta sembra incappare nell’effetto “madelaine”, dove l’odore porta con sé stratificazioni del tempo andato e subitamente evocato; il suo vortice elettivo si sostanzia diversamente e il profumo -in Lui- non è un innesco memoriale: piuttosto, un passionario oracolare incessantemente convocato, un’assunzione di vita precedente e presente, un’efficacia trasmutativa del pensiero psicomagico in cui gli assalti del mondo percettivo interiore si riverberano nelle azioni da compiere. Nell’estasi di una creatività inarrestabile.

Rammemorazioni sensoriali, visioni spiraliformi, scenari dell’adulazione, teatri d’ebbrietà. Il santuario si accende d’essenza afrodisiaca, l’archivio degli odori discende. Tutto è accompagnato dal profumo, tutto è introdotto dal profumo, tutto è allacciato nel profumo. La carne impone il suo trasmutarsi, trasmigrando nella parola, come fosse profumo. E il profumo diviene arte divina –aerea, danzante- inneggiando la sostanza dionisiaca del creato, riversandosi nella parola –profumata anch’essa- che alla Natura si ispira e alla Natura ritorna, mentre l’arte olfattiva si carica di una sensorialità transustanziante, fatta di tessere lussuose per un lussuoso –quasi eucaristico- afrodisiaco senza fine.

Ecco: il profumo sta a d’Annunzio come l’aria all’ispirazione, l’acqua alla pioggia, la terra alle radici, il fuoco a se stesso. Al centro di tutto è la mise en scène del passionario polmonare che assegna all’arte olfattiva la quintessenza del deliquio, nella linea erotica del sentimento del tempo: tra ispirazione e divinazione. Fulge il maculoso respiro di Ariel, arroventato in drappeggi sentimentali, in atto di balzare nella perpetua sorgenza e risorgenza. Nella festa dei sensi, tra gioia e voluttà. Per d’Annunzio il profumo è tutto e tutto è nel profumo. L’etereo in forma di bagliore, come se fosse musica.