Si intitola Se i delfini venissero in aiuto il primo libro incontrato in questo inizio di nuovo anno. È di Erri De Luca, scrittore che non manca mai di sorprendere e affascinare con la sua prosa trascinante, densa di metafore eleganti ed efficaci, con la quale ci trasmette spesso, anche in forme pungenti e urticanti, la sua condivisa partecipazione emotiva al dolore dell’uomo. C’è una frase in questo libricino che ben rappresenta questa intensa compartecipazione: “Non ho uso di tatuaggi – scrive - la mia superficie riporta solo i segni degli anni. Ma gli avvenimenti che mi hanno coinvolto fisicamente mi hanno inciso tatuaggi dalla parte interna della pelle”.

Il libro è la testimonianza di due settimane passate a bordo di una nave di Medici Senza Frontiere in soccorso ai migranti del mare. Un’esperienza che gli ha impresso un ulteriore tatuaggio interno alla pelle: una scala di corda coi pioli di legno che pesca nel vuoto. Vi ha visto in due settimane arrampicarsi a piedi nudi e a mani ferite, con l’ultimo residuo di forza fisica, tantissimi disperati dell’interminabile odissea di questo inizio millennio. È una scaletta dalla quale ricorda di aver visto spuntare facce con occhi che non hanno espressione di domanda, di preghiera o di messa a fuoco perché “ancora fissano l’orizzonte vuoto”.

Per definire la fisionomia di quanti sono impegnati in questa attività di soccorso, lo scrittore ricorre, come spesso fa, al Vangelo. Gesù cerca i primi compagni tra i pescatori sul lago di Tiberiade: “Venite con me, vi farò pescatori di uomini”. Così Erri De Luca dice di quelli che operano sulla nave: “Sto con persone che si sono messe a pescare, uomini, donne, bambini”. Il Mediterraneo diventa così un lago di Tiberiade più grande e salato. Dall’altro lato del mare, sulla linea di terra, un molo sul quale sono schierati in attesa volontari cattolici, personale medico, funzionari di polizia. Dalle notizie di cronaca, commenta De Luca, risulta assai sbiadita tutta questa lunga e tenace catena di solidarietà umana.

È una lettura che dovrebbe portarci a pensare non solo all’inferno che hanno vissuto tutti i migranti che hanno percorso il mare verso l’Europa, ma anche a quello nel quale dovranno tornare se saranno respinti; li conosciamo bene ormai questi due inferni. Solidarietà umana che lega strettamente le razze si respira a pieni polmoni in queste quaranta pagine che andrebbero lette proprio all’inizio di questo anno, nel quale cade l’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali italiane, delle quali noi italiani non dovremmo mai smettere di vergognarci. Forse ci troviamo di fronte a una grande epocale mutazione dell’umanità, dovuta a uno di quei giganteschi movimenti di popoli non assai diverso, alla fine, da quello che portò nel corso di grandi flussi migratori gli Indoeuropei dall’est verso il bacino del Mediterraneo, tra il terzo e il secondo millennio avanti Cristo.

Erri De Luca racconta che navigavano a “pugni chiusi” pronti ad aprirli in mani aperte e tese per raccogliere i naufraghi. A mani e braccia aperte, come più volte ci esorta papa Francesco, dobbiamo accogliere chi viene dal mare o da itinerari terrestri balcanici non meno drammatici e disperati. Lo si voglia o meno, Il flusso ormai è inarrestabile e probabilmente si ripeterà quello che accadde quando i leggendari Dori, che erano Indeuropei, vennero a flussi continui e costanti a contatto, ora pacifico ora traumatico, con gli autoctoni del bacino del Mediterraneo, fondendosi alla fine con essi.