Faccio parte per età e per honoris causa di quell’anello di congiunzione tra generazioni, che ancora esiste. Ho attinto storie antiche che parlano di un passato senza automobili e soldi.
Ci si fidava del vicino di casa sempre e comunque, tanto che l’uscio era perennemente aperto a qualunque cosa arrivasse dall’esterno. Quando poi è scoppiata la guerra, ha preparato alla pace e al suo valore, ha educato alla morte come complemento di vita. Con un recipiente si arrivava in piazza, arrancando tra edifici fatiscenti per prendere l’acqua, bene prezioso, come i pochi denari.
Adesso è un non luogo, una finestra da cui ammirare i tempi. E quegli uomini e donne, dopo aver avviato i figli nel mondo, aver perso compagni o compagne di una vita, la sera, sono soli. Ci aggiriamo nelle città come singole unità in un mondo che gira per conto suo.
Quella saggezza secolare, a volte ritorna, si scontra con la realtà di oggi, e la solitudine amara, antica quanto moderna è ordinaria prassi.
Esco per l’ora d’aria per incontrare persone. Mi aggiro nei meandri più profondi di una chiesa, fendo l’abisso che separa le nostre vite, con uno sguardo e un sorriso a portata di mano, per sentire ancora quell’umanità ferita, e attendo per scoprire il suo volto dolorante.
Per il dono dell’ubiquità, il web ci catapulta a Parigi, negli spazi del Musée d'Orsay, dove una mostra celebra i 130 anni dalla morte di Gustave Caillebotte, il pittore della “normalità”, che amava rappresentare scene quotidiane, ma di più la fisicità e la realtà.
È datata 1877 l'opera olio su tela che si chiama Strada di Parigi in un giorno di pioggia. L’occhio si perde nella metropoli, e l’immaginazione va oltre per insinuarsi negli incroci, tra la pioggia che cade, gli ombrelli come scudo per proteggersi dagli sguardi. Schermi invisibili per difendere un’intimità di pensieri singoli, unici, desolati. Individui solitari scorrono verso le loro storie, senza incontrarsi mai.
Il pittore francese, in questo quadro rappresenta proprio la solitudine urbana, ma anche l’individualità, che delinea e sperimenta nuove forme di distanza.
In quell’epoca, il piano regolatore aveva ridato un nuovo assetto alla capitale francese. Siamo a fine Ottocento, e i grandi palazzi a ridosso delle ampie strade sembrano spazi sterminati. Al centro del dipinto un uomo e una donna camminano uno accanto all’altra, come il palazzo angolare alle loro spalle si affianca a un lampione.
Gustave Caillebotte ha passato la sua infanzia proprio qui, quando questo grande deserto urbano era una collina con strade anguste e irregolari.
Poi, l’era digitale ci permette altri slanci e basta solo un balzo per introdursi questa volta nella raccolta di poesie di un altro francese, Charles Baudelaire, il quale nel componimento - A una passante decanta proprio la vita in movimento di una metropoli:
La via assordante strepitava intorno a me.
Una donna alta, slanciata, a lutto, in un dolore
maestoso, passò sollevando e agitando
con mano fastosa il pizzo e l’orlo della gonna,
agile e nobile con la sua gamba di statua.Ed io, proteso come folle, bevevo
la dolcezza affascinante e il piacere che uccide
nel suo occhio, livido cielo dove cova l’uragano.
Un lampo… poi la notte! – Bellezza fuggitiva
dallo sguardo che m’ha fatto subito rinascere,
ti rivedrò solo nell’eternità?Altrove, assai lontano da qui! Troppo tardi! Forse mai!
Perché ignoro dove fuggi, né tu sai dove vado,
tu che avrei amata, tu che lo sapevi!(Charles Boudelaire, I fiori del male)
Le città di oggi sono microcosmi e incroci da reinventare. E anche qui nel nostro non luogo digitale oggi è una giornata di pioggia. L’estate ha ceduto il passo a un insolito autunno, che ha soffiato correnti glaciali per poi placarsi e il caldo tornerà - dicono. In fondo, non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume – diceva Eraclito cinque secoli A.C. fa. Il fiume scorre e anche noi non siamo mai sempre gli stessi.
Ci sei – perciò devi passare. Passerai – e in ciò sta la bellezza è il verso di una poesia di Wislawa Szymborska, poetessa polacca, premio Nobel per la letteratura nel 1996. Anche lei visse nel movimento fluttuante dove tutti avanziamo, e che la vide tra l’altro dipendente delle ferrovie e poi salvarsi dalla deportazione. Il fiume corre e così la poetessa si spense nella sua casa a Cracovia, il 1 febbraio 2012, forse era un giorno di pioggia.