La sua produzione artistica esplora riti e riflessioni sulla società, sugli individui e sulle relazioni, ritratti e poi nature morte fino agli arazzi e agli affreschi di dimensioni monumentali. Craigie Horsfield, 68 anni, artista britannico, è uno dei protagonisti della scena artistica contemporanea e, dalla fine degli anni '80, porta avanti una ricerca estremamente approfondita sulla natura del mezzo fotografico, attraverso la profondità del suo pensiero. Con il titolo Of the Deep Present, il LAC, Museo d’arte della Svizzera italiana in collaborazione con il Central Museum di Utrecht, presenta un’esposizione monografica, frutto di uno stretto dialogo con l’artista, artefice di una straordinaria indagine sulla natura stessa dell’immagine fotografica, fino al 2 luglio.

Perché è così importante Craigie Horsfield? Lo statuto della fotografia si è profondamente trasformato a partire dagli inizi degli anni '90 attraverso alcune figure determinanti e tra queste Jeff Wall e Thomas Struth e lo stesso Craigie Horsfield che hanno determinato un cambio di percezione della fotografia all’interno del museo d’arte. E i suoi interessi, a partire dagli anni della sua formazione, si sono alimentati con le attività nell’ambito della musica, del suono, il suo approccio alla pittura e al cinema e così via in un continuo lavoro di ricerca con le diverse forme d’arte.

Il percorso della mostra non ha una struttura narrativa scandita da diverse sezioni, ma è un passaggio fluido tra temi, tecniche e dimensioni e il visitatore è invitato a passare da un tipo di fotografia all’altra con libertà seguendo il proprio sguardo personale. Ma gli arazzi, le opere gigantesche più recenti di Craigie Horsfield, sorprendono per la grande varietà delle tecniche che l’artista ha messo a punto. “Uno dei primi motivi per cui mi sono interessato agli arazzi è proprio inerente alla materialità. Spesso la fotografia è vista come una superficie piana, trasparente attraverso la quale si guarda il mondo. Nell’arazzo la materialità diventa più tangibile. Se da un lato l’arazzo diventa una superficie, una pelle che registra e che può raccogliere emozioni, dall’altra parte c’è la possibilità di avere la rappresentazione di quello che è il nostro rapporto con il mondo. E, l’intreccio stesso di tutti i fili che compongono l’arazzo, può essere metafora di ogni significato” spiega Horsfield. Un esempio?

Se si osserva il grande arazzo dal titolo Above the Bay of Naples from via Partenope, Naples. September 2008 (Arazzo: lana, cotone, seta, filato sintetico, 500x950 cm., 2012) che ritrae il Golfo di Napoli in occasione di una festa con dei fuochi d’artificio, i fili che si intrecciano pur nella materialità dell’arazzo riescono a rendere perfettamente l’aspetto effimero e immateriale delle nuvole e del fumo creati dall’effetto dei fuochi. Ma come riesce a ottenere la qualità e la consistenza tattile che continua a stupire il pubblico, facilitato dal fatto di guardare da vicino le opere senza l’ostacolo del vetro? È una profonda conoscenza tra la tessitura e la produzione di immagini digitali ad alta tecnologia. E, precisa l’artista: “Al contrario della stampa a getto d’inchiostro, il processo può usare al massimo dodici colori, cioè dodici fili, ma con una tessitura stretta si possono improntare fino a 240 colori e sono possibili anche le variazioni tonali. Il risultato è così vivido, con i dettagli ad alta risoluzione e la variazione cromatica talmente impercettibile da ingannare la vista”.

Tutto nell’arte di Horsfield, dai ritratti alle nature morte ai temi degli arazzi, ci parla di un profondo rapporto con la storia dell’arte. “È vero, noi osserviamo un arazzo che appartiene alla tradizione ma in realtà quello che noi stiamo osservando è una realizzazione che anche solo pochi anni fa sarebbe stata impossibile ed è frutto di un tecnologia molto complessa che permette attraverso innumerevoli calcoli di tradurre un’immagine registrata digitalmente in una trasposizione in migliaia e migliaia di fili che si intrecciano. E questo è un rapporto tra l’oggetto che noi vediamo oggi che appartiene alla nostra realtà tecnologica quotidiana e nell’arazzo si percepisce il paesaggio tra il tempo presente e la tradizione” osserva l’artista.

C’è anche la presenza di un’installazione sonora nella mostra. In questo caso è un’opera a sé, realizzata in collaborazione con il compositore Rainer Rietveld, con il quale collabora da decenni. “Si può parlare della presenza del suono nella nostra percezione dello spazio e in questo senso il suono può avere anche una valenza architettonica nel definire uno spazio e come noi ci confrontiamo sempre con la nostra percezione dei suoni. E in questo contesto la relazione con il suono va nella direzione di come possiamo condividere l’esperienza del mondo e moltiplica la nostra percezione”.

E quella di Horsfield non è solo una mostra colta ma un’esperienza multisensoriale che amplia e stimola emozioni e riflessioni.