Dame Jocelyn Barbara Hepworth, figura fondamentale nel panorama della scultura moderna, non si limitò a plasmare la materia, ma intessé un dialogo profondo tra forma e vuoto, tra l'intimo sentire dell'uomo e l'imponenza della natura. Nata a Wakefield nel 1903, la sua parabola artistica fu un costante peregrinare alla ricerca dell'essenza, una riduzione formale che non impoverì il significato, ma lo rese universale, archetipico. Per la Hepworth la scultura era un atto maieutico, un’estrazione di verità intrinseche alla materia stessa, un’indagine filosofica condotta con scalpello e martello.

Fin dai primi anni, il paesaggio natio dello Yorkshire, con le sue dolci colline e le formazioni rocciose, impresse nel suo animo una profonda connessione con la terra. Questa impronta geologica si tradurrà in una costante ricerca di forme organiche, sinuose, che potessero evocare il fluire del tempo e l’incessante metamorfosi della natura. L’esperienza formativa presso la Leeds School of Art e il Royal College of Art di Londra affinò la sua tecnica, ma fu l’incontro con Henry Moore, con cui condivise una profonda amicizia e un’intensa dialettica artistica, a segnare una svolta cruciale. Entrambi, pur con peculiarità stilistiche differenti, furono animati dalla volontà di superare la mera rappresentazione naturalistica per addentrarsi in un territorio più astratto e simbolico.

Oltre all'influenza del paesaggio e dell'amicizia con Moore, un ruolo significativo nella formazione artistica della Hepworth fu giocato dall'interesse per il Primitivismo. Questo movimento, che all'inizio del XX secolo aveva affascinato molti artisti europei, tra cui Picasso e Brâncuși, si caratterizzava per la riscoperta dell'arte tribale africana, oceanica e precolombiana. Hepworth, come molti suoi contemporanei, fu attratta dalla forza espressiva di queste forme arcaiche, dalla loro essenzialità e dal loro profondo legame con la natura e il sacro. Questa fascinazione si tradusse in una semplificazione delle forme, in una ricerca di purezza e di sintesi che si riflette nelle sue sculture, spesso caratterizzate da una monumentalità ieratica e da una potente carica simbolica. L'eco di queste suggestioni si manifesta nella predilezione per materiali come il legno e la pietra, lavorati con una tecnica che esalta la loro matericità, quasi a voler recuperare un contatto diretto con le origini dell'arte.

Le prime opere della Hepworth, realizzate negli anni Venti e Trenta, mostrano una progressiva semplificazione delle forme, un’asciuttezza che prelude alla sua cifra stilistica più matura. Ma è con opere come Two Forms (1933) che emerge con forza il suo interesse per il rapporto tra pieno e vuoto. Il “buco”, l’apertura all’interno della scultura, non è un mero espediente decorativo, ma una componente essenziale, che conferisce all’opera una nuova dimensione spaziale e concettuale. Il vuoto diviene parte integrante della forma, un elemento dinamico che la attraversa, la definisce, la mette in relazione con l’ambiente circostante.

Questo dialogo tra forma e assenza trova una delle sue più alte espressioni in Single Form, un'opera dal profondo significato simbolico. Commissionata dallo statista Jacob Blaustein come memoriale per Dag Hammarskjöld, il Segretario Generale delle Nazioni Unite prematuramente scomparso, "Single Form" non è semplicemente una scultura astratta. La sua forma ovale e irregolare, interrotta da un'apertura circolare, evoca molteplici interpretazioni: da un profilo umano a una mano alzata in segno di saluto o di promessa, fino a una rappresentazione cosmica con il sole che sorge all'orizzonte. Al di là delle singole interpretazioni, l'intento di Hepworth era quello di creare un simbolo di continuità e solidarietà per il futuro, incarnando la nobiltà d'animo e gli ideali di Hammarskjöld. Nelle parole dell'artista:

Durante il mio lavoro su “Single Form” ho tenuto a mente le idee di Dag Hammarskjöld sull'ideologia umana ed estetica e ho cercato di perfezionare un simbolo che riflettesse la nobiltà della sua vita e, allo stesso tempo, ci fornisse un motivo e un simbolo sia di continuità che di solidarietà per il futuro.

L'opera, quindi, assume una valenza universale, superando la commemorazione del singolo individuo per farsi portatrice di un messaggio di speranza.

Il trasferimento in Cornovaglia, a St Ives, durante la Seconda Guerra Mondiale, rappresentò un’ulteriore svolta. Il paesaggio aspro e selvaggio della costa, le rocce erose dal vento e dal mare, divennero una fonte inesauribile di ispirazione. La natura non era più solo un ricordo dell’infanzia, ma una presenza viva e pulsante, un interlocutore costante. Opere come Pelagos (1946) e Sea Form (1958) testimoniano questo profondo legame con il territorio. Le forme si fanno più organiche, evocando conchiglie, onde, scogliere, in un continuo rimando tra micro e macrocosmo.

Si potrebbe quasi dire che le sculture della Hepworth respirino. Il vuoto che le attraversa non è assenza, ma presenza attiva, un’aria che circola tra le forme, modellandole dall’interno.

È lo spazio che si fa materia, che dialoga con la solidità del bronzo o la compattezza della pietra.

Come il vento che scava le rocce, o l’acqua che modella le conchiglie, il vuoto scolpisce le opere della Hepworth, rivelando l’equilibrio fragile eppure potente tra l’interno e l’esterno, tra il visibile e l’invisibile.

È come percepire la vibrazione sottile che anima la materia.

È intimare all’osservatore di cogliere l’armonia nascosta dietro la superficie delle cose, senza temere l’intensa spiritualità laica di quest’eredità preziosa e struggente.