Lucio Fontana è uno di quegli artisti le cui opere, alcune, sono talmente tanto disarmanti, sono di una tale semplicità di primo acchito, da averci forse indotto a chiederci se l’artista non si sia preso gioco di tutti noi, che di fronte alle sue tele universalmente riconoscibili, quelle tagliate, sì esatto, tagliate non dipinte (mi riferisco alla serie Concetto Spaziale. Attese) abbiamo spesso e volentieri esclamato “Lo so fare anche io’”.
Tuttavia l’esperienza artistica di Lucio Fontana, prende le mosse da una visione tradizionale o convenzionale, nella quale sopravvive l’aspetto retinico inteso come soddisfazione dell’occhio nella ricerca del bello, che quasi non crediamo possa essergli appartenuta, alla luce dei risultati a cui approda, per essere espressione di rottura col passato, e contestualmente espressione di un nuovo inizio, per aver dato l’avvio ad una fase nuova dell’arte che va sotto il nome di Spazialismo, i cui principi sono esposti nel Manifesto che fu invitato a scrivere.
E così Fontana, che si colloca in un momento storico artistico di passaggio, dal figurativo al non figurativo, dal tradizionale al concettuale, opera a lungo nell’ambito dell’arte figurativa, con particolare riferimento alla scultura: una scultura la sua, le cui linee non sono delimitate nello spazio ma sono continuità della materia nello spazio, una scultura in alcune occasioni definita primitiva e brutalista. Il grande storico dell’arte Roberto Longhi affermava:
Ogni volta che l’arte raggiunge una saturazione di staticità, alla corporeità s’aggiunge, o combinandosi o imponendosi, la ricerca del moto.
E difatti al Rinascimento che era staticità, grandiosità e tendenza alla perfezione esteriore che potremmo idealmente rappresentare con un cerchio, successe il Barocco che è invece dinamicità, moto, teatralità, torsioni dei corpi e contorsioni dell’anima che possiamo idealmente rappresentare con un’ellisse, un cerchio allungato per via della tensione e dell’energia che si sprigiona. Anche il Novecento aveva già avuto modo di esprimere il dinamismo contrapposto alla staticità.
Come? Attraverso il Futurismo, che è sì moto e dinamismo, è sguardo al futuro, ma a differenza del Barocco esprime un movimento che potremmo rappresentare piuttosto con un vettore, un movimento cioè che si realizza attraverso una linea retta e in un’unica direzione rispetto allo spazio, e con lo sguardo al futuro sulla dimensione del tempo. Fontana tuttavia, che pure sentiva il bisogno di esprimere movimento e tensione nella sua arte, non fu mai un futurista.
Sebbene sedotto dalla necessità di conciliare il moto, il dinamismo, con le scoperte sullo spazio, attraverso l’utilizzo delle tecnologie, egli approdò con ruolo primario in un movimento che esalta quella tensione che si sprigiona in tutte le direzioni nello spazio, e sarà appunto proprio lui il fondatore dello Spazialismo. Cardine dei suoi principi fu il superamento della tradizionale distinzione tra pittura e scultura e piuttosto l’affermazione dell’unità del tempo e dello spazio da perseguire nella ricerca artistica. E, convinto della necessità di rappresentare l’energia pura che si sprigiona tutt’intorno nello spazio, si lascia ispirare da una delle correnti artistiche più significative del mondo occidentale e della storia: la corrente artistica di elezione fu proprio il Barocco. Alcune sue opere sono spiccatamente barocche.
Anche come pittore, Fontana resta profondamente barocco addirittura in senso caravaggesco, sull’uso del contrasto tra luci e ombre. Si dice infatti che foderasse il retro delle sue tele di garza nera, per dare concretezza materica e spaziale non solo al dipinto ma al supporto stesso. I contrasti caravaggeschi luce-ombra, l’alternanza dei degli angoli bui con i fasci di luce che puntano su un particolare, non si fermano alle due dimensioni, ma attraversano lo spazio, si appropriano della terza dimensione sublimando il raggiungimento dell’obiettivo attraverso il gesto parossistico del taglio.
Ci sono esempi di barocco in opere di Fontana che appartengono a collezioni private e per questo non si ha spesso la possibilità di apprezzarle in giro per mostre e musei.
Si tratta della serie plastica dedicata alla Passione di Cristo, composta da una ventina di sculture dalle dimensioni contenute (sono grandi all’incirca 45cmX20cm) e sono la dimostrazione del fatto che non servono opere imponenti per rappresentare la forza espressiva della materia tesa al limite. Sono le Crocifissioni e i Crocifissi, realizzati tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta.
Il tema della crocifissione ha permeato tutta l’arte occidentale sia nella pittura che nella scultura divenendone uno dei soggetti più iconici in assoluto, e in numerosi casi, perlopiù nell’arte italiana dal Trecento al Seicento, aveva raggiunto punte di lirismo e di pathos altissimi. Lo stesso Fontana ne rimase affascinato. Il momento storico era quello giusto per un balzo in avanti dell’arte occidentale. Si trattava dunque di trovare la chiave di volta per coniugare la ricerca di moto, la tensione del Barocco, con la contemporaneità, portando una ventata di novità nell’arte, perché questa com’era stata concepita in passato, ormai aveva esaurito la sua forza narratrice, non aveva più nulla da raccontare.
I chiaroscuri tipici del Barocco, i contrasti accentuati luce-ombra, vengono resi magistralmente dal lavoro delle dita che modellano l’argilla, che attraverso la sua plasticità evoca la malleabilità della carne, ma sono resi anche dall’alternanza di vette e depressioni che sommate alla finitura a smalto lucidato a specchio, e all’uso generoso di oro intenso brillante, riflettente, evoca proprio le grandi sculture berniniane colme di energia tesa al limite, e di teatralità.
Sono tecnicamente sculture policrome dai riflessi scintillanti. I colori vanno dal marrone rossastro della terra, al nero, al verde petrolio, al rosso carminio (con evidente richiamo al sangue), al grigio, al bianco candido e perlato, all’oro intenso e riflettente.
Nel Crocifisso dai toni terrosi, il corpo di Cristo che sembrerebbe appena abbozzato è un tutt’uno con la croce, che a sua volta sembra un tronco d’albero secolare, è fisionomicamente riconoscibile, un corpo nel quale l’anatomia è mantenuta, reso vivo da una tensione vibrante, un’esplosività che si estende nello spazio, ma si fonde con la Natura. E somaticamente intuibile è anche tutto il suo dolore. Il dolore di Cristo è dolore per il mondo e per il cosmo: il capo chino, la corona di spine, non sono una pareidolìa e non sono neanche pienamente figurativi, ma appaiono reificati dalle mani dell’artista.
In una formella, Gesù è rappresentato con il perizoma bianco, una delle braccia sembra quasi staccarsi dalla croce, ma il gesto, perché di gesto si tratta e non di posa, non comunica liberazione, tutt’altro: è abbandono della vita, è cedimento delle membra alla morte mentre il corpo va dolorosamente avviluppandosi su stesso.
Nel crocifisso bianco e oro poi, la croce non è per nulla una semplice croce.
La luce dello Spirito Santo si sprigiona dal fulcro dell’opera, evocando immediatamente l’Estasi di Santa Teresa il capolavoro di Gianlorenzo Bernini nel quale i raggi dorati di luce sovrastano la scena, e l’ampio panneggio candido del vestito vaporoso della santa, deborda nello spazio: una scena densa di teatralità, la stessa teatralità che ritroviamo nel Crocifisso che non è soltanto strumento di morte, ma evoca le più stupefacenti, retoriche e teatrali opere a tema “trionfo di Cristo” e “trionfo della Chiesa” affermazione della vittoria secolare seicentesca della Controriforma sulla Riforma Protestante.
Gianlorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa, dettaglio.
Dal Trionfo della Divina Provvidenza di Pietro da Cortona a Palazzo Barberini all’Apoteosi di Sant’Ignazio di Andrea Pozzo nella navata centrale alla chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio, una croce quella di Fontana, i cui bracci sono panneggi che si librano mossi dal vento, sono le ali di un rapace o il soffio divino dello Spirito Santo che solleva il corpo di Cristo che già quasi assurge in cielo prima ancora di morire.
Ancora una volta, proprio come era successo nel Seicento, le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche sullo spazio e sull’Universo, avevano suscitato una forte suggestione sugli artisti, aprendo a nuove possibilità di rappresentazione del sacro. Un tema iconografico antico, archetipico direi, come è quello che ha per tema la crocifissione, si è consolidato nei secoli in tanti capolavori, ma è capace di rinnovarsi ancora e ancora così come quando il corpo di Gesù, riconoscibile nell’incarnato bianco, mentre compie la torsione dell’attimo finale, coinvolgendo nel suo spasimo la croce, che si piega proprio a quella torsione è plasmato dalle mani di Lucio Fontana, artista unico, capace di traghettarlo attraverso le forme della modernità, approdando dal Barocco direttamente allo Spazialismo.