All’interno di un Cineforum su La psiche infantile e adolescenziale, si è proposto il film di Cristophe Barratier Les choristes, che introduce al tema della relazione educativa con ragazzi difficili.

È un film ambientato nella provincia francese del secondo dopoguerra. La storia è narrata dalla voce calda e pacata di Clement Mathieu, sorvegliante dell’istituto Fond de l’étang, una scuola di rieducazione per allievi difficili. Si tratta di ragazzi già selezionati in modo negativo dalle vicende della vita, ma gli occhi buoni di Mathieu sanno cogliere di loro anche le qualità, gli aspetti positivi, riescono a intercettare le valenze disponibili all'incontro e al cambiamento. Essere sorvegliante è un compito umile, certo non prestigioso come può essere il ruolo di insegnante, ma Mathieu, proprio con la sua umiltà, umanità e comprensione, riuscirà a entrare nei cuori di quei ragazzi pieni di sofferenza, delusi dalla vita, vincendo, in questo modo, la loro arroccata diffidenza. Anche l’uomo, d’altra parte, proviene da un’esperienza personale dolorosa, è solo, ha fallito nella sua aspirazione di diventare un musicista, pare senza legami affettivi e così, carico del suo fardello di sofferenza, ma anche ricco di sensibilità e acutezza dell’anima, riesce ad attingere dal suo stato di “perdente” e trasformarlo in una risorsa utile per identificarsi con i ragazzi che deve sorvegliare. Mathieu mette in atto nei confronti degli allievi del collegio un’operazione semplice, ma difficilissima allo stesso tempo: cerca di capirli, di mettersi nei loro panni, provando a valorizzare ciò che di buono intravede in loro ed è così che da un gruppo di disadattati, magicamente, germoglierà un coro.

È commovente come riesca a far scaturire in quella situazione drammatica le sue doti, infatti, per affrontare il dolore del fallimento, il senso di inadeguatezza, la solitudine esistenziale, il vuoto dell'anima, tutti dolori che straziano lui e i suoi giovani allievi, Mathieu attinge dalla sua competenza musicale che diventerà la ricchezza e lo strumento per entrare in contatto con loro. Il mezzo che utilizza è, dunque, la musica, universale veicolo di emozioni. Nel canto di Morhange, un ragazzino sensibile e chiuso alla vita, c’è bellezza, speranza, riconoscenza, la sua voce produce una melodia e un suono angelico che sottolineano le potenzialità insite in tutti gli esseri umani, anche quelli apparentemente irrecuperabili e che, esteriormente, sanno comunicare solo la parte negativa di sé. Trasmettendo ai ragazzi la sua passione musicale e il canto, non solo ne conquista la fiducia, ma il loro incontro genererà un cambiamento profondo che darà luogo alla possibilità di esprimersi creativamente e con soddisfazione.

La favola-trama raccontata da Mathieu fuori campo, diventa così, non solo il diario di un sorvegliante, ma la testimonianza-storia di un maestro e dei suoi allievi, una storia ricca di pathos, di incontri e di scontri, di speranza e di sconforto, dove uno sciame di ragazzini spaventati, senza prospettive, scoprirà grazie a lui come creare una progettualità, imparando a credere, a sognare e a costruire il proprio futuro.

È un film ricco di spunti di riflessione che riguardano in primis la relazione educativa, relazione complessa e delicata che mette in gioco emozioni articolate, profonde, a volte inconsapevoli, ma che sono fondamentali nel realizzare la disponibilità ad apprendere. Non è un caso che Mathieu sia un appassionato di musica, questo metaforicamente rappresenta la sensibilità dell'uomo, la sua disponibilità all'ascolto al di là delle parole, la capacità di percepire il bello anche quando è ammantato di bruttezza, infatti nella ripresa dei visi dei cantori si coglie una luce, sguardi di complicità positiva, di appartenenza, un'espressione di pienezza che li trasforma, li trasfigura.

Il coro è un gruppo di lavoro, si crea alleanza nel raggiungimento dell'obiettivo, per la sua realizzazione è richiesto un certo ordine, una disciplina rigorosa, il rispetto dei tempi; d'altra parte la musica in sé è fatta di ritmo, di tempi e l'osservare queste regole diventa formativo, risintonizza le disritmie relazionali, depotenzia lo stato d'ansia, gratifica perché rimanda una consapevolezza di capacità, di fare qualcosa di buono, di rispettabile, che suscita addirittura ammirazione ed encomio. Le extrasistole emotive date dai vissuti di mancanza possono così essere trasformate, ritrovando una corretta ritmicità, può verificarsi un’armonizzazione interna e relazionale dove i contatti e le spaziature trovano il loro posto e creano significato, proprio come in uno spartito musicale.

Il coro offre in più un'opportunità di creare legami, di sperimentare la relazione in maniera soddisfacente, di entrare in armonia con gli altri e aiuta a correggere le stonature della voce e dell'anima. Mathieu sa sintonizzarsi sulle difficoltà di ognuno, sa porvi rimedio e creare degli accordi, tutti sono egualmente importanti per la riuscita del coro e tutti scoprono di essere utili, di valere, per cui il rispetto delle norme e il riconoscimento dei limiti diventa possibile anche per ragazzi usualmente ribelli e trasgressivi. È il rispetto che il maestro ha per i suoi “protetti”, la passione con cui li inizia alla musica che diventano lo strumento pedagogico vincente, il lavoro è vissuto come un gioco e tra di loro si stabilisce una reciprocità che produce cambiamento non solo nei ragazzi, ma anche in Mathieu. Il maestro, infatti, fino a quel momento era un compositore in incognito, ma per amore dei ragazzi osa proporre i suoi spartiti e quando sentirà le voci del coro dare corpo alla sue note, la sua musica acquisterà significato e dignità di esistere, l'uomo si sentirà all'unisono con loro, in una condivisione emotiva toccante, vivendo il momento magico di un'armonia profonda per cui, finalmente realizzato, potrà scrivere sul suo diario: “Mi chiamo Clement Mathieu, sono un musicista e ogni notte compongo per loro”.

Al riaccendersi delle luci dopo la visione del film, tanti occhi lucidi, tanti sguardi di solidarietà e un senso generale di commozione. Subito, non appena il gruppo si è predisposto a forma di cerchio, sono sgorgati, quasi inarrestabili, i pensieri. Daniela F. (insegnante di scuola elementare): “Credo molto nella musica, cerco di insegnarla e da due anni mi occupo del coro scolastico. Nel film mi ci sono rivista; purtroppo, per noi adesso c'è un problema di finanziamenti, la musica è un'attività che unifica, che non esclude nessuno, ognuno ha il suo ruolo, ognuno ha il suo posto e dà anche le regole”. Daniela M. (insegnante di liceo scientifico): “La cosa fondamentale che si evince dal film è il rapporto che il docente ha instaurato con i suoi ragazzi ed è stato molto affascinante vederne la correzione. È stato importante l'approccio iniziale, è la chiave di lettura di tutto quello che avviene dopo. Quello che ha destabilizzato gli allievi è stato il nuovo modo di rapportarsi del sorvegliante, infatti, nonostante le loro provocazioni, non ha punito barbaramente i colpevoli col metodo “azione-reazione”come era d'abitudine nell'istituto, ma ha trovato un modo diverso per fare rispettare le regole”.

Si riflette insieme sul fatto che Mathieu inventa una modalità punitiva che parte dalla comprensione del problema e che diventa riparativa, non solo del danno causato, ma anche del senso di colpa che ne deriva.
Continua la docente “Questa è una cosa che mi ha fatto riflettere perché noi insegnanti, a volte, cercando l'empatia coi nostri alunni, non riusciamo a prendere la decisione giusta, quando invece sarebbe il momento di punirli in modo più severo. Io l'ho vissuta come una mia debolezza, voler sempre essere a tutti costi “perfettini” nel rapporto con gli allievi”.

Entra in circolo un'altra questione importante che riguarda il dolore e la paura di rompere quell'unione, quell'alleanza di lavoro con i propri ragazzi; ma fare i “buonisti” non è di aiuto, perché il rispetto del limite e delle regole è fondamentale per la loro maturazione, certo, purché si realizzi con modalità adeguate e non con metodi sadici. Marika (insegnante di scuola media): “La punizione diventa significativa, non tanto perché è data al momento giusto, ma quando è accettabile perché si è costruito un rapporto, accetto la punizione perché mi fido di te”. Stefania (insegnante di scuola materna): “Quest'anno ho una nuova classe e c'è un bambino un po' vivace che all'inizio andava attorno a cose che non si devono toccare, poi prendeva la sua sedia e si metteva nell'angolo perché era stato abituato ad “azione-reazione” e si autopuniva; a volte i bambini entrano nella parte che gli affibbiano gli adulti”. Milena (insegnante di scuola elementare): “Se fossi un'insegnante come Mathieu sarei felice, ma non lo sono per niente, ogni giorno di più mi convinco che fare l'insegnante è un lavoro difficilissimo, ci sforziamo moltissimo di capire gli allievi, di aprirci a loro, però mi rendo conto che rimbalzano su delle cose mie che devo elaborare e quindi a volte faccio veramente fatica”.

È davvero difficile tollerare di non capire, di non sapere subito, il sostare in questa nebbia, in questa confusione, è un dolore mentale, ma anche un prerequisito per accedere alla conoscenza. Il gruppo concorda, dunque, che un altro ingrediente indispensabile nel compito educativo è avere pazienza, non solo con gli altri, ma anche con noi stessi. Questi e altri pensieri volteggiano agevolmente nell'aria, sono come note musicali che trovano accordi, combinazioni e creano armonia. Anche qui, come nel film, si è creato come un coro, ci sono state tante voci che hanno intonato il levarsi dei pensieri del gruppo ed è stata un'occasione speciale per i genitori e i nonni ascoltare e vedere gli insegnanti in maniera nuova, assolutamente diversa dallo stereotipo comune o dai vissuti usuali, è stato emozionante scoprire il loro lato nascosto, quello che si interroga, che patisce, ma anche che si appassiona in quel lavoro “impossibile”, ma estremamente affascinante e coinvolgente che è la relazione educativa.