...E si fece avanti per combattere Alessandro simile a divinità vestendo una pelle di pantera...

(Iliade, III, 16.17)

L’araldica ha origini antichissime e una storia spiritualmente spesso avvolta nell’incognito, nel mistero. L’animale simbolico usato dalle stirpi nobili medioevali, quasi sempre formatesi nel fuoco delle battaglie e consolidatesi come nell’esercizio delle virtù civiche, esercitava un ruolo di indirizzo spirituale, come un talismano, un’aura, un totem magnetico, un condensato di valore e senso, una mappa irradiante la qualitas e la virtus di un determinato clan familiare, città, terra, luogo. “L’emblema” lo collocherei infatti fra l’allegoria e il simbolo: più profondo e intenso di un'allegoria ma più specifico e focalizzante di un simbolo.

L’emblema chiede affetto, scelta, appartenenza. È partigiano. È centripeto. Il simbolo è più altruista: si svolge rinviando ad altro da sé, è una forma quasi vuota, mentre l’emblema mostra una sua tipica “pienezza”- integrità di senso che chiedono di schierarti, di appartenere, cioè di partecipare a una “parte”. L’emblema della Pantera appare uno dei più intriganti. Dobbiamo in primo luogo distinguerlo dal differente Leone e dalla Tigre. Il primo appare chiaramente solare, cristico (Ap.5,5). Il segno della tigre appare alieno dall’immaginario tradizionale dell’Occidente, se non per via delle contaminazioni orientali del mito di Dioniso vincitore in India (Nonno di Panopoli), in questo simile alle pantere-leopardi di Cibele (si veda la Patena di Parabiago). Il leopardo è un adattamento/ derivazione dalla Pantera, veicolante i medesimi significati.

La prima particolarità della pantera è data dal fatto che la sua ambiguità resta positiva, non conoscendo l’ambivalenza radicale del leone (Cristo/anticristo o diavolo) e del serpente e del gallo. La pantera è sempre segno positivo, nonostante l’apparenza selvaggia e feroce, e spesso è univoca allegoria di Cristo. Anche in araldica la pantera si differenzia nettamente dal leone in quanto non compare di lato ma compare passante e con lo sguardo fisso su cui guarda, come i tre “leopardi” della monarchia inglese. A livello della virtù della vista la pantera appare simile alla più rara lince, allegoria dell’Omniscienza divina. Già dal nome abbiamo l’essenza: il nome viene dalla commistione di due parole greche: pan e theros, cioè “tutto” e “bestia”. Lo stemma della Stiria conserva questo senso cosmico, originario e antizoologico del termine, in quanto mescola drago a felino. In semitico la parola corrispondente rinvia al concetto dell’odore, del profumo. Questo aspetto deve aver favorito l’allegorizzazione dell’animale già nei primi secoli cristiani quale segno di Cristo.

Il Fisiologus (III secolo), la madre di tutti i “bestiari”, ci parla di una pantera il cui ruggito dopo tre giorni di pennichella postprandiale rinvia alla resurrezione di Nostro Signore e il cui profumo rinvia al concetto paolino del “soave profumo del sacrificio di Cristo” (Eb. 9,14; Filippesi, 4,14-23). Il segreto del successo simbolico di questa immagine deriva forse anche dal fascino che induceva negli antichi il manto maculato, rinviante archetipicamente al cielo stellato. La comparsa dell’emblema è antica. Già nel Mito greco Giasone e Dioniso vengono ritratti e narrati con un manto di pantera portato sulla spalla. Il significato cosmico è il medesimo della nebride delle baccanti fatta con la pelle di cervo picchiettata di bianco. I sacerdoti egizi officiavano ricoperti di mantelli panterici e Nut, il cielo, era raffigurata come una donna dal corpo pieno di stelle.

Al Louvre è conservata una statua mutilata di Tutankamon nella quale il busto del faraone è ricoperto da una pelle di pantera. Carlo Magno indossava paramenti sacerdotali ammantati di stelle. Nell’Apocalisse di Giovanni il termine viene usato metaforicamente per indicare la Bestia che sale dal mare, in quanto essere ibrido, dalle zampe di orso, dalla bocca di leone e dotata del potere del drago. Tale importante passo quindi non va interpretato banalmente quale indice di una demonicità infera della Pantera, ma al contrario l’immagine della Pantera, data la sua sacralità e importanza, viene usata quale segno dell’universalità della Bestia, parodia dell’universalità di Dio.

Qui il simbolismo animale è utilizzato quale lingua di sovrascrittura nel senso di modulo per cercare di illustrare il senso cosmico, e quindi panterico, del mistero del male, ma non porta a identificare la pantera quale emblema del male. È piuttosto l’ibrido composto della bestia apocalittica che porta a un'apparenza di “similitudine alla pantera” (topos nell’Apocalisse questo della similitudine quale “metafora narrativa dell’Indicibile”) quale parodia demonica dell’integrità cosmico-panterica di Cristo. Controprova di ciò si ha nel ricorrere dell’emblema fra alcune fra le più nobili famiglie reali e nobiliari della Cristianità europea.

Nel sigillo più antico del comune di Rouen domina una pantera con una stella a sei punte. Plantageneti utilizzano il segno della pantera, in particolare Enrico II che portava un anello, secondo il racconto del contemporaneo Gèrald le Cambrien, sul quale erano incise le parole: una pantera, allusione al motto greco: en to pan (uno, il tutto). Wolfram Von Eschenbach nel suo Parzifal mostra Gahmuret l’angioino, padre di Parsifall, con l’insegna della Pantera nera e paragona Lancillotto alla Pantera che farà nascere il Leone: suo figlio Galaad, il cavaliere perfetto. Anche per il colore nero va evitato il vizio interpretativo moralistico/ideologico. Si tratta di un nero analogo a quello del vessillo dei Templari, descritti nello stesso poema cavalleresco: è il colore dell’Abisso divino, di Dio quale Ombra (Salmo 90).

L’ombra è uno dei segni mistici della presenza divina: dal sub alarum tuarum al Purgatorio di Dante, dove il sole è ombrato quando il poeta incontra Beatrice ai piedi dell’Albero della sapienza. Dopotutto l’arcangelo Gabriele cita l’ombra dell’Altissimo quando spiega alla Vergine la prossima nascita del Cristo. Onorio d’Autun ci ricorda la diffusa credenza che la Pantera fosse nera prima di nascere e che poi si ricoprisse di svariati colori. La mutazione cromatica della Pantera e il suo bicromatismo scuro/chiaro rinvia al linguaggio dei colori proprio dell’Arte ermetica.

Riguardo al Lancillotto/Pantera e al Galaad/Leone siamo in presenza già di una moralizzazione più recente di un linguaggio sapienziale più antico. La Pantera compare anche nello stemma del collegio di Eton, fondato da Enrico IV. Fra le Insegne, Divise ed Emblemi dei Visconti e degli Sforza quali Vicari Imperiali, Principi e Duchi di Milano compare un’immagine illuminante: una Pantera, nella forma più moderna del leopardo, che allatta un agnello. Il motto recita: L’umiltà ha libertà. Il senso è chiaro: l’Impero protegge la Chiesa garantendole libertà. Un senso identico a quello dell’Aquila che tiene fra gli artigli il Pesce nel ciborio della Chiesa di Sant’Ambrogio di Milano. Nel medioevo si diceva anche: est autem dictus panther allegorice Christus. Si credeva infatti che la pantera dopo i suoi pasti dormisse per tre giorni, a immagine con i tre giorni nel sepolcro di Cristo, e che espandesse un profumo soave, altro attributo in comune con Cristo. La Pantera cristica, secondo l’antico testo del Phisiologus, è poi nemica del serpente e il suo manto screziato ricorda la tunica variopinta di Giuseppe, il figlio prediletto di Giacobbe.

Quali sono gli attributi d’essenza della Pantera? Essenzialmente tre: manto screziato, flessuosità, elasticità, terribile ruggito. Il manto maculato era visto quale riflesso delle costellazioni, in particolare delle Pleiadi, connesse con Venere. La flessuosità si rivela segno lunare e venereo. Il ruggito terrorizzante chiude il cerchio valorizzandone anche un carattere igneo, panico. Alchemicamente corrisponde all’etere nei suoi moti fluidi, veloci di ascensione/condensazione. La Pantera è simbolo astrale, lunare. Il nero o il blu della notte è il suo colore naturale. Nel Phisiologus di Aberdeen la pantera appare blu con un ruggito fiammante mentre guida altri felini e fa fuggire un demonico drago; mentre in certi arazzi un elegante leopardo, versione cortese della pantera, compare senza imbarazzi vicino a un unicorno.

Nella cosmologia medioevale, biblico/tolemaica, il cielo era visto ancora quale insieme ordinato e alternato di acqua e fuoco. La stessa Pantera, immagine unitaria del cosmo, riunisce in sé attributi dell’acqua, come la fluidità/flessuosità, ad attributi del fuoco, come il suo carattere dinamico, vigoroso. La Pantera quindi compendia un perfetto equilibrio fra condensazione ed espansione, fra solve et coagula, parlandoci di quell’acqua ardente di cui quasi tutti i filosofi ermetici. Il multicromatismo complessivo della Pantera permette poi di accostarla al tarocco della Luna, alla lama XVIII, con i sui raggi e le sua manifestazioni mutevoli e variegate.

Giovanna Belli approfondisce con sapienza i significati più nascosti della lingua ebraica in relazione al nome e all’immaginario della Pantera. Ne deriva una cabala fonetica spirituale dove si congiunge il senso dell’assopimento a quello dello spirito divino vivificante. La studiosa ricorda poi come i sacerdoti di Seth indossassero pelli di Pantera e il rito non era solo funerario e imbalsamatorio ma anche per i vivi, di tipo iniziatico. La Pantera appare connessa quindi con la simbolica dell’Orsa maggiore e con l’apertura del cammino di risalita e di trasfigurazione verso Osiride. Cristianamente l’immagine scritturale dell’alito di Cristo che uccide l’empio è tratta per analogia anagogica dal soffio del drago, dal ruggito della Pantera. Questo totem occidentale (e non orientale) conserva fino ad oggi intatto tutto il suo misterioso fascino, mutevole ma persistente come lo stesso emblema che unisce forza a elasticità.