L’antica arte della tessitura evoca l’immagine di telai in movimento, mossi da gesti veloci, esperti, che predispongono, con rilassata sicurezza, orditi e trame. Allo stesso tempo fa emergere la consapevolezza di una realtà legata a una logica di potere, alla quale rispondono milioni di donne costrette a intrecciare fili di varia natura e colori. Non possiamo immaginarci qualcosa di diverso: si tesseva esclusivamente al femminile.

È difficile analizzare le motivazioni legate a questo fenomeno e del resto, le stesse considerazioni possono essere estese ad altre attività svolte principalmente dalle donne. Viceversa, esistono lavori considerati maschili, i quali, escludendo i casi in cui è richiesta un’oggettiva forza fisica, non trovano giustificazioni plausibili. Non è lontano il tempo in cui la nascita di una femmina rappresentava un evento poco vantaggioso per l’economia familiare e se si guarda più in là, scavando nel passato, è facile incontrare convinti assertori dell’inferiorità della donna anche tra uomini di riconosciuta saggezza e santità (basti ricordare Aristotele, San Paolo, Sant’Agostino o Sant’Ambrogio).

Non è un caso che i più grandi artisti e mistici della storia, salvo pochissime eccezioni (ad esempio Santa Ildergarda di Bingen e poche altre) siano di sesso maschile. Purtroppo, c’è ancora chi sostiene che la ripartizione delle attività umane, in base all’identità sessuale, sia una garanzia di efficienza e produttività. Magari si cercano evidenze scientifiche a sostegno di questa tesi, sostenendo che la predisposizione o la maggiore capacità di adattamento a certe mansioni possa essere giustificata da una separazione di ruoli, venutasi a consolidare nel corso dell’evoluzione.

All’uomo cacciatore, allevatore o agricoltore, spetta il ruolo di capofamiglia e tra le sue attività principali vi è quella dell’approvvigionamento alimentare; la donna, invece, nella sua funzione di “collaboratrice domestica”, è relegata a compiti ausiliari (raccolta di erbe, bacche e frutti, custodia dei figli, pulizia della casa, ecc.). Alla luce di una maggiore consapevolezza delle complesse dinamiche sociali del passato, l’antica tradizione della tessitura rivela contenuti antropologici inediti e suggestivi. Siamo alle prese con un prezioso patrimonio di sapienza e creatività femminile, ma allo stesso tempo con un’attività lavorativa povera, discreta, in qualche misura enigmatica.

Quando si lavora al telaio, la mente, dapprima attenta al gioco muscolare delle braccia, si abbandona, si scioglie e vaga, confidando nella memoria e nei movimenti involontari delle dita, seguendo una specie di “mantra silenzioso”, capace di “modellare” il tempo e la materia, attraverso il ritmo inarrestabile delle mani. Nella ripetizione ossessiva dei gesti si nasconde l’alienazione o la saggezza; solo la pazienza millenaria delle donne poteva padroneggiare questo lavoro, con distaccata e incrollabile sicurezza. Procedendo più a fondo si scopre una dimensione simbolica da non sottovalutare, attraverso la quale trova espressione l’archetipo della vita.

Non è un caso che molte divinità della mitologia più antica, legate al destino e al tempo, siano filatrici e tessitrici. Il “Ragno cosmico” è il simbolo della creazione, attraverso la sua ragnatela egli costruisce la rete del mondo, come Aracne, la dea che presiede al destino dell’uomo o Iside nel suo ruolo di tessitrice della vita umana. Ne è consapevole anche Penelope che, nella sua sofferente attesa, sperimenta un viaggio molto più avventuroso del suo amante: tessere e disfare la trama della vita, per non interrompere il filo che unisce la sua anima a quella di Ulisse.

L’ordito e la trama racchiudono, simbolicamente, lo spazio della vita, all’interno del quale l’allineamento verticale dei fili (l’orditura) rappresenta la sostanza fondamentale, l’immutabilità, l’aspetto qualitativo; mentre la loro disposizione sul piano orizzontale (la trama che forma l’intreccio del tessuto) designa l’aspetto mutabile, la variabilità quantitativa e temporale. Non dobbiamo dimenticare che è Arianna a dare a Teseo il gomitolo di filo, permettendogli di ritrovare l’uscita del labirinto e salvarsi dal terribile Minotauro. D’altronde, la trama di una stoffa non appare ai nostri occhi come una specie di labirinto, nel quale è difficile, se non impossibile, ricostruire con lo sguardo il percorso dei singoli fili, fino alla loro comune origine?

La Tradizione vede nel labirinto la rappresentazione della ri-nascita e in quest’ottica il filo di Arianna diventa il simbolo del cordone ombelicale, di ciò che ci lega al centro, da cui traiamo nutrimento e sicurezza. Ancora una volta siamo di fronte al mistero della creazione, nella sua complessa dimensione materiale e archetipica: nella tessitura si cela il simbolo femminile della gestazione.

Alla luce di queste considerazioni non è facile ripercorrere le tappe che hanno caratterizzato la storia della tessitura per scoprire, alle origini, quello strano rapporto di odio-amore che ha legato l’umanità alla Natura e di conseguenza alla coltivazione e all’uso di certe piante. Per molti secoli la lavorazione delle fibre e dei colori naturali è stata al centro di un fiorente mercato, ma l’avvento dell’industrializzazione e la conseguente comparsa di sostanze e di materiali sintetici, hanno segnato l’inesorabile declino di questa attività produttiva. Per fortuna, in questi ultimi anni, si è evidenziato un crescente interesse verso la coltivazione di piante tessili (le tintorie occupano piccole nicchie dì mercato) e il commercio delle fibre naturali coinvolge l’economia di molti Paesi come la Cina, l’Australia, l’India, la Thailandia, l’Africa, gli Stati Uniti e l’Europa, assorbendo il 40% dell’intera produzione mondiale.

Le principali piante tessili sono il Cotone (Gossypium s.l.), il Lino (Linum usitatissimum L.) la Canapa (Canapa sativa L.) e l’Ortica (Urtica dioica L.). In misura minore sono impiegati anche il Cocco (lo strato fibroso, che ricopre la Noce di cocco, è utilizzato per tessuti d’arredamento, corde, spaghi, ecc.), il Kenaf (Hibiscus cannabinus L., utilizzato per la produzione di corde, spaghi, tappeti, ceste, ecc.), alcune specie vegetali appartenenti al genere Corchorus (dalle fibre di queste piante si prepara la “juta”, impiegata nella fabbricazione d’imballaggi, borse, tappeti, ecc.) e il Sisal (Agave sisalana Perrine, utile per confezionare corde e spaghi).

Le varietà di Cotone coltivate a scopo tessile, soprattutto nei Paesi a clima sub-tropicale (Asia, Africa e Americhe), appartengono alle specie Gossypium herbaceum L. (Cotone asiatico), G. arboreum L. (Cotone asiatico e africano), G. hirsutum L. e G. barbadense L. (Cotone americano). In Italia questa pianta è coltivata, in scala molto ridotta, solo in Sicilia (in passato, ai tempi dell’autarchia, la produzione era maggiore, in particolare lungo la costa meridionale di tale regione). Il frutto, costituito da una grossa capsula, a maturità si apre scoprendo i semi avvolti da una soffice massa di peli, la quale viene raccolta e separata, attraverso un processo di "sgranatura" e "ginnatura". Il colore naturale del Cotone va dal bianco crema al bianco scuro: le diverse tonalità sono il risultato d’influenze climatiche, edafiche e fitopatologiche (attacchi di parassiti e muffe).

Per quanto riguarda il Lino, le fibre si ricavano ponendo le piante a macerazione in acqua (per un periodo di 1-4 settimane, in base alla temperatura ambientale) o lasciandole a contatto dell’aria in ambienti molto umidi (per almeno 6-8 settimane). A tale scopo si possono usare anche delle correnti calde di vapore acqueo o particolari reattivi chimici. La macerazione dà avvio a un processo fermentativo di tipo microbico attraverso il quale si formano dei particolari enzimi che agiscono sugli steli della pianta, separando le sostanze pectiche dalle fibre. In seguito, attraverso un processo di "gramolatura" e "scotolatura", si ottiene del materiale grezzo, dal quale vengono separate, per “pettinatura”, fibre lunghe destinate alla tessitura vera e propria, e fibre corte, impiegate, in genere, per le imbottiture e gli imballaggi.

Le fibre di Canapa si ottengono facendo macerare in acqua le piante, secondo le stesse modalità applicate al Lino. Purtroppo la spietata concorrenza dei materiali sintetici ha inferto un duro alla produzione di questo tessuto naturale. La Canapa tessile italiana era una delle più apprezzate in fatto di resistenza, colore e resa; in passato, le regioni tradizionalmente legate a questo tipo di coltivazione erano la Campania, l’Emilia-Romagna e il Piemonte. Oggi, per fortuna, si assiste a una riscoperta di questa pianta, anche come soluzione tessile di alta qualità.

Anche i fusti di Ortica contengono una fibra utile dal punto di vista tessile che si ricava con lo stesso procedimento impiegato per il Lino (la pianta viene macerata in acqua per un periodo 1-4 settimane). In passato, il suo impiego era largamente diffuso in Veneto e Trentino; dopo un lungo periodo di oblio, oggi si assiste a un crescente interesse nei confronti di questo materiale, nonostante la percentuale di resa, nella fase di produzione, sia molto bassa (da 5 kg di pianta fresca si ottengono solo 20 gr di filato). La filiera completa di questa fibra naturale offre, comunque, numerosi vantaggi pratici ed economici, che riguardano l’ecosostenibilità della coltivazione (l’impianto dura circa 5 anni e non richiede l’impiego di diserbanti e fitofarmaci), l’aumento della richiesta di nuovi materiali tessili di alta qualità e la possibilità di riciclo dei sottoprodotti della sua lavorazione.

Il materiale tessile denominato “ramia” (o raimè) si ottiene da due specie esotiche appartenenti alla stessa famiglia (Urticacee), la Boehmeria utilis (Ramia verde) e Boehmeria nivea (Ramia bianca). Di qualità e resa decisamente inferiore è la fibra vegetale ricavata dal Pioppo (Popolus nigra L., P. alba L. e P. canadensis Moench): i filamenti cotonosi che circondano i semi, miscelati con altre fibre vegetali, trovano impiego nella fabbricazione di tessuti da lavoro, maglieria, tendaggi, imbottiture, cordami vari, ecc.

Esiste un’altra pianta legata all’antica tradizione tessile, chiamata “Cardo dei lanaioli” (Dipsacus fullonum L.); i suoi capolini fiorali, dotati di sottili squame uncinate, una volta essiccati, erano impiegati per le operazioni di cardatura che consentivano di eliminare le impurità dei tessuti, rendendoli morbidi e facilmente lavorabili. Esistono esigue nicchie di mercato che utilizzano ancora una cardatura “vecchio stile” per tessuti pregiati di stampo tradizionale, come ad esempio il “Panno del Casentino” (un lussuoso tessuto di lana, le cui origini di perdono nel lontano Medioevo, caratterizzato da un inconfondibile aspetto volutamente grezzo) o tessuti con funzioni particolari come il panno utilizzato per la copertura dei tavoli da biliardo.

Negli ultimi anni l’industria tessile si è trasformata in un fertile terreno di sperimentazioni e di applicazioni pratiche, davvero uniche e originali. Ad esempio, sono state create delle fibre partendo dai residui umidi della lavorazione degli agrumi (Orange fiber) o dalla cellulosa delle alghe marine addizionata con ioni di argento (Seacell), in modo da conferire al prodotto finale proprietà antiallergiche e antibatteriche. Alcuni ricercatori hanno ottenuto un tessuto biodegradabile, ancora in fase sperimentale, utilizzando l’attività fermentativa di vari batteri e lieviti: il materiale ottenuto si presenta sotto forma di sottili fogli di cellulosa, facilmente lavorabili.

Esistono fibre tessili alternative, ottenute anche da materiali di origine animale, che possono essere impiegate da sole o mescolate a viscosa e cotone. Ad esempio, riciclando i prodotti scartati dall’industria e dalla catena commerciale, sono stati realizzati il Qmilch (ingrediente di base è la caseina contenuta nel latte e nei suoi derivati) e il Crabyon (utilizzando il chitosano ricavato dal carapace del granchio).

Continua il 4 Marzo.

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