Quest’oggi ci occuperemo di un vero uomo di cultura, nonostante abbia calcato per anni gli schermi televisivi della nostra Rai… Si tratta di Philippe Daverio, critico d'arte, giornalista, conduttore televisivo e autore di trasmissioni televisive come Passepartout, Il Capitale ed Emporio Daverio.

Certo è riduttivo rappresentarlo con queste parole, se si volesse definire quest’uomo si farebbe prima a dire cosa “non è” piuttosto che “che cosa è” vista la vasta mole di argomenti di cui si occupa con approfondimento e conoscenza. Per tanti anni ha provato a diffondere i vari eventi artistici e culturali in Italia e nel mondo con competenza e completezza nonostante come dichiara lui stesso: “Guardi io non sono dottore perché non mi sono laureato, ero iscritto alla Bocconi nel 1968- 69’, in quegli anni si andava all’università per studiare e non per laurearsi”.

Questo significa che la conoscenza non passa per la scuola e l’università del nostro Paese, ma probabilmente nasce solo dalla grande passione di chi realmente la cerca. E la cultura non attraversa di certo gli schermi televisivi, è cosa rara che si possa assistere a un programma realmente culturale, come se far pensare troppo le persone e stimolare il loro spirito critico non fosse utile alle masse o a chi le deve governare… Philippe Daverio, ci ha provato, forse ci è pure riuscito, regalando ai telespettatori un nuovo modo di raccontare la cultura. Eppure la Rai lo ha epurato, lasciandolo forse incredulo, come traspare da una sua dichiarazione a caldo dopo la chiusura della trasmissione: “Passepartout è stato uno dei pochissimi programmi culturali degni di questo nome. Se la chiusura fosse stata nell’aria, non avrei mai speso tante energie nel programma, sono stato tratto in inganno”.

Chi non è tratto in inganno, del resto dalla comunicazione televisiva e dei media in genere? La sua voce di intellettuale originale, indipendente e poliedrico ha dedicato una vita all’arte e alla cultura in tutti i suoi aspetti. Mi piace citarlo quando sostiene ironicamente che nella nostra società si attua un processo di «Abolizione del talento in quanto elemento determinante una disparità intollerabile agli occhi di Dio». Eppure, se un Dio esistesse, di certo non stabilirebbe dei premi per i più talentuosi visto che il talento deve comunque vestire l’abito dell’umiltà, ma favorirebbe senza dubbio l’emersione delle capacità innate di ognuno di noi per consentire un miglioramento dell’individuo e della coscienza collettiva degli uomini. Inoltre, avendo deliberatamente creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, ha di certo riposto in lui quella scintilla divina capace di distoglierlo ogni tanto dalla sua corsa al successo e alla conquista dell’alloro.

Forse per legarsi in qualche modo al pubblico televisivo e per fingere una certa umiltà, Daverio si è definito “Antropologo Culturale del pettegolezzo d’Arte”, cosa che probabilmente gli è stata utile per avvicinare all’arte un pubblico più vasto e meno dotato di conoscenza. Il nostro personaggio è in realtà un viaggiatore della conoscenza, del viaggio fisico e di quello metafisico, non si ferma mai, sale su «La nave che va, non si sa dove», l’importante è che viaggi e non si fermi nei porti sicuri dell’ignoranza. I suoi viaggi preferisce farli in macchina, dove riflette e pensa agli argomenti che tratterà nelle numerose conferenze e dibattiti a cui partecipa continuamente.

La sua agenda è sempre esaurita, è difficile fermarlo da qualche parte, ma quando arriva, entra con quel suo look studiato nei minimi dettagli e comincia a innalzare la sua voce verso l’argomento del giorno. Si sa quando comincia, ma mai dove finisce, spazia da un campo all’altro, da una lingua all’altra, con una fantasia e una sicurezza che riempiono di piacere i palati raffinati. E dopo che ha deliziato centinaia di spettatori, studiosi, curiosi e via dicendo, sale in macchina e riparte alla volta di un altro appuntamento.

Vietato fermarlo, corre trafelato in macchina e non vede l’ora di arrivare per abbattere un poco di mediocrità…