Le avventure di Pinocchio di Collodi sono il libro più stampato e letto al mondo dopo la Bibbia e il Corano. Possiamo perciò dire che Pinocchio è il racconto/romanzo/fiaba più importante al mondo. Non solo: Pinocchio ha fatto culturalmente l’Italia unita, diventando in pochi anni una storia in cui tutti gli italiani potevano riconoscersi: è riuscito dove tutti gli altri (monarchia, liberalismo, socialismo, ecc.) hanno fallito: l’unificazione culturale ed etica degli italiani.

Agli inizi del '900 aveva venduto già l’astronomica cifra di 450.000 copie in un’Italia per metà ancora analfabeta. Ci sarà quindi un motivo, e più motivi, per tale successo planetario e per il suo secolare riconoscimento quale capolavoro letterario assoluto, giudizio su cui convergono menti elevate quali quelle di Benedetto Croce, Italo Calvino, Giorgio Manganelli, Barberi Squarotti e molti altri.

Questo testo è stato sviscerato sotto quasi ogni punto di vista: psicoanalitico (sia freudiano che junghiano), semiotico, estetico, teologico, archetipico-simbolico, antropologico, letterario, storico, lessicale, sociologico, culturale, figurativo. Da parte mia sto provando a dire qualcosa di nuovo dal punto di vista strutturale/iconologico, scoprendo come questo testo abbia ancora molto da offrire. Non è difficile elencare tutte le allusioni, rieccheggiamenti, citazioni, e reminiscenze culturali contenute nel testo: dalla Bibbia all’Odissea, da Apuleio al teatro di figura, dai proverbi popolari a Ludovico Ariosto, da Manzoni a Perrault, tanto che Collodi ricorda Quentin Tarantino nell’abilità di riformulare innovativamente materiali vari e disparati, ma penso che il modo migliore per analizzare questo strano, amabile e meraviglioso racconto sia indagarne la struttura e le tecniche di narrazione, di espressione.

Collodi è un genio non solo per l’abile e profondo riassorbimento/rinnovamento in un unico testo di vasti ed eterogenei immaginari, similmente a Luciano, Ariosto, Cervantes, Tasso, Rabelais, Ende, ma lo è anche per aver scritto un testo che non ha precedenti, né è imitabile, spezza ogni genere e cliché letterario. Un effetto simile lo ha solo il Cantico dei Cantici, l’incontro di Mosè con Dio sul Sinai, e il Nuovo Testamento. Non è interessante concludere se Collodi sia più cattolico o più massone, o riceva entrambe le influenze (anche inconsciamente), o se Pinocchio sia più una parabola o un racconto iniziatico, ma ritengo più significativo chiedersi come scrive Collodi, che esperimento di linguaggio sia Pinocchio e che relazioni e dinamiche strutturali siano presenti nel racconto stesso.

Pinocchio va spiegato con Pinocchio, al suo interno. Così è per tutti i capolavori dello spirito, dell’ingegno, dell’arte, consapevoli che il testo sfuggirà sempre come un’anguilla, frequente immagine metaforica pinocchiesca. Collodi è maestro dell’allusione come pure dell’inclusione. Tutto il cosmo sembra sfiorato e implicato dalla sua tragicomica epopea. Dopotutto il comico burattino, eroe e vittima nel contempo, passa per varie purificazioni/metamorfosi, anche attraversando tutti gli elementi della Natura (acqua, fuoco, terra, aria), rischiando più volte la morte o vivendola spiritualmente (la prima notte da solo, la finta morte della Fata, la notte davanti alla porta della casa della Fata e l’incontro con la Fata da ciuchino nel Circo), e infine appare pienamente metamorfico anche nella sua somiglianza comportamentale a svariati animali: cani, capre, caprioli, lepri, cavalli, ranocchi, pesci, anguille e molti altri, tutti animali veloci o sfuggenti!

Come procede il pinocchiese quale nuova lingua? Ho individuato sei modalità caratterizzanti con cui Collodi “prende sul serio la lingua italiana” in senso antiretorico, anti-ideologico e ontologicamente rifondativo: 1) il passaggio dal proverbio/motto/senso figurato all’essere (bugie con le gambe corte e con il naso lungo, il comportamento semioticamente attendibile di Mangiafoco che starnutisce quando si commuove), 2) l’identità fra lettera e reale: “Salvami Alidoro se no son fritto” recitato da Pinocchio mentre il Pescatore verde lo sta buttando nella padella, e lo stesso Pescatore che “prende un granchio” credendo che Pinocchio sia un granchio!), 3) il bilanciamento/mescolamento dei registri e dei toni: comico insieme a patetico (Geppetto e Pinocchio che si dicono che non hanno quattrini per l’Abbecedario), buffo insieme a solenne (Pinocchio che si sveglia sbadigliando e non si è ancora accorto che gli mancano i piedi e Geppetto che bussa proclamando come Dio: “Sono Io!”), tragico e ridicolo (impiccato e sbatacchiato dal vento come un batacchio di campana a festa), drammatico e rassicurante (la guazza notturna nella corsa inseguito dagli assassini assomiglia al “caffè e latte”) e in questo Collodi è erede di Ludovico Ariosto e di Rabelais; 4) il riecheggiamento allusivo: il Paese delle Api Industriose “formicola” di gente laboriosa, introducendo così un efficace parallelismo fra api e formiche, esseri simbolicamente analoghi 5) lo scambio dinamico fra immagine e cosa, fra simbolo e fatto, generativo di una coerenza narrativa assoluta: Pinocchio è di legno quindi galleggia, quindi nuota come un pesce, quindi viene inghiottito dal Pesce-cane, è di legno quindi ama la musica e rischia di finire pelle di tamburo, 6) la vibrante ritmica numerologica del racconto (più di venti ricorrenze del numero 3, e numerose del 4, del 5 e del 7); 7) l’oscillazione del modulo espressivo: commedia e teatro (dialogo iniziale con Geppetto e conversazione con Mangiafoco), la narrazione-flusso alla Stern e Joyce (quando Pinocchio parla con se stesso o racconta di sé), il romanzo di azione, d’avventura *(la corsa inseguito dagli assassini), l’epos mitico* (incontro con il Pescatore), persino sprazzi di iper-lingua tendente all’abbraccio totalizzante del reale (il discorso del Direttore del Circo, la descrizione del Paese dei balocchi).

Seconda domanda: che schemi strutturali generali utilizza Collodi? Ne ho individuati 3, con al loro interno numerose varianti e modulazioni: il parallelismo, il capovolgimento, l’equivoco. Collodi è maestro indiscusso nel creare numerose simmetrie narrative e iconiche nella sua storia e lo fa con tale grazia, eleganza e creatività che nessun lettore se ne accorge. Ho contato più di 100 di questi isomorfismi, alcuni per contrapposizione, altri per similitudine complementarietà, altri ancora di tipo metamorfico: una vera foresta di rimandi interni che miracolosamente non appesantiscono il racconto, anzi gli conferiscono ampiezza, ritmo, profondità.

Ve ne esemplifico alcuni: il pulcino scappa dalla finestra come Pinocchio è appena scappato di casa e dalla finestra vi rientra Geppetto, che usa un uovo per mescolare la colla per riattaccare i nuovi piedi di Pinocchio prima tornato a casa “bagnato come un pulcino”, il dipinto sul camino di Geppetto è finto come i cibi che reca la Lumaca, Mangiafoco assomiglia a Geppetto quale artefice e per il carattere bizzoso, Geppetto è malaticcio come il Pescatore verde e come il Pescecane. Abbiamo poi come delle stupende equazioni narrativo-estetiche: il bosco sta alla casina bianca della Fata come il ventre del Pescecane, anch’esso umido e buio, sta alla candela di Geppetto, l’Isola sta al pescecane come la tomba bianca della Fata allo scoglio candido da cui la Fata cerca di aiutare Pinocchio come già Pinocchio fece con Geppetto; e similmente per le profezie del Grillo e della Fata in merito alla prigione e all’ospedale dove andranno per la prima Geppetto e Pinocchio e per il secondo la Fata stessa (pur nella sub-finzione del racconto).

E ancora in Pinocchio l’inizio si specchia sempre con la sua fine, e tutto è doppio e triplo: Mastr’Antonio all’inizio e Pinocchio fa ironia verso colui che vuole venderlo come legna da camino citando “Sant’Antonio benedetto”, il sogno degli zecchini e l’ultimo sogno, quello della Fata, al cui risveglio si trova 40 zecchini d’oro, la festa dei burattini a Teatro e la crudele festa del Circo che segue alla Festa delirante del Paese dei Balocchi.

Altri isomorfismi e simmetrie riguardano le ricorrenze, nominali o di senso e di immagine: “Sono Io!” detto dal Grillo parlante, da Geppetto che ritorna dalla prigione, da Pinocchio bussando dalla Fata, e dal Tonno salvatore, la nottataccia d’inferno e il tempaccio la notte davanti alla porta della Fata, la musica del Teatro (la musica del Carro dell’Omino, la danza del Circo, il tamburo asinino), il Gatto e al Volpe alla fine assomigliano alla folle del truffati di Acchiappacitrulli, la stupidità di Mastro Ciliegia, del Pescatore e del compratore finale, la vocina: Pinocchio nel legno, la Bella Bambina, il Grillo, il bambino-ciuchino che tira il carro dell’Omino, le tre metaforiche febbri di Pinocchio, il carretto: del viandante che porta il carbone nell’Isola, il carro dell’Omino, il carretto su cui Pinocchio porta Geppetto, la carrozza color dell’aria della Fata e il Colombo bianco, il segno della luce: l’ombra luminosa del Grillo, la Lucciolina, la Lumaca con la candela in testa e i burattini giandarmi con il berretto a lucerna; la lunghissima strada per il Teatro dei burattini e la “strada lunga” per il paese dei Balocchi, la tagliola e il collare nella sostituzione di Melampo. I contadini sono due (il padrone di Melampo e Giangio), gli ingannatori sono due: il Gatto e la Volpe, due i falegnami (Geppetto e Mastro Ciliegia), due volte è prigioniero (in carcere e nella cuccia), tre volte è arrestato, ha a che fare con due gruppi di animali: i picchi e i pesci, e così via per altre decine di casi di rispecchiamento.

Il senso del tempo e dello spazio è non euclideo e bizzarro. Riguardo alla percezione del tempo nell’attesa con Lucignolo il tempo frana, si sbriciola, perde di valore, implode nell’Indifferenziato di Lucignolo, mentre nell’attesa della Lumaca (altra notte decisiva) il tempo si dilata fino al parossismo, fino alla cristallizzazione. Abbiamo il tempo mitico del Grillo e della Fata che si incrocia con il duro kronos del tempo computato in minuti e ore, ma pure compare molte volte il tempo quale kairos e il tempo finale quale aiòn. Quando corre inseguito dagli assassini il tempospazio è fluido e dilatato e la casina ci mette due ore a raggiungerla anche se già la vede, come lunghissimi sono i 20 minuti di attesa per vedere crescere l’albero degli zecchini!

Anche lo spazio è sia mitico (i 1000 km del Colombo e la grotta del pescatore, il bosco della Fata), che realisticamente fisico: i 15 chilometri dell’inseguimento, i 100 salti per arrivare al paese vicino… Una delle decine di metafore chiave del racconto è lo specchio: il nostro eroe si specchia in una bacinella appena costruito e vestito, ancora nel Paese dei Balocchi per vedersi le orecchi di asino e alla fine quando è diventato ragazzo. Lucignolo è il suo lato oscuro, Eugenio il suo lato umano. Il modulo dell’equivoco, tipico della commedia popolare, appare frequentissimo e ci fa comprendere l’importanza del tema dell’identità per Pinocchio che cerca spesso di essere riconosciuto, cerca una fratellanza, una comunità: è scambiato per vittima dalla folla nella sua prima fuga, per un malintenzionato dal vecchino nella sua “prima nottata d’inferno”, è scambiato per ladro dal contadino, per il cane Melampo dalla faine, per pesce dal Pescatore, per colpevole dai due carabinieri, e il compratore finale lo vuol vendere quale legna da ardere.

Il capovolgimento domina la struttura dell’opera: Pinocchio ladro che fa il cane da guardia (contrappasso) e imprigiona la faine (potendosi liberare come nell’antico gioco dell’oca alla casella della prigione), Pinocchio a testa in giù nel fango di fronte al Serpente, che esce dalla prigione confessando di essere colpevole (come nel sacramento della confessione), il denaro posto sotto terra (come nella parabola dei talenti), l’inversione della festa dei Balocchi quale Cuccagna. Per non parlare del Geppetto che ne sa meno del mondo di Pinocchio appena intagliato e alla fine del racconto sembra un bambino, figlio di suo figlio.

Tutto in Pinocchio è doppio e multiplo, circolare, spiraliforme, come in un labirinto di specchi. Tutto ritorna, tutto muta, si espande, si contrae, con l’eroe che si allontana e si avvicina, come l’ellisse di un pianeta attorno al sole. Uno degli esempi più belli e misteriosi di questi rispecchiamenti e moltiplicazioni di scene è quello che riguarda il tema del Campo dei Miracoli e del connesso tema della “moltiplicazione/genesi del valore”: la ricetta magica della Volpe nel primo incontro con Pinocchio, l’artificio compiuto da Pinocchio, e il sogno trasformativo finale quando la Fata lo bacia e al suo risveglio i 40 soldi che aveva donato alla Lumaca per la Fata si sono moltiplicati davvero in 40 zecchini d’oro!

Ma se osserviamo bene nel racconto della Volpe vengono usati simboli antichi per nulla scontati e ben presenti nell’immaginario alchemico: la notte, il sale, l’acqua di fonte. Sembra una ricetta alchemica, dove l’acqua potrebbe essere il mercurio, il sale lo zolfo e la terra il sale. La cosa strana, inquietante, è che Pinocchio quanto realizza la ricetta dei suoi truffatori la tradisce più volte: opera di giorno e non di notte, non innaffia “con due secchiate” ma con solo una ciabatta piena d’acqua di gora (e non di fonte), e dimentica il sale!

Pinocchio quando mette il sale in zucca e per più di cinque mesi da Giangio tira su l’acqua dal profondo girando il bindolo, e vive nel nascondimento della vegetale capanna con Geppetto, allora sì che realizza esattamente l’esoterica procedura moltiplicando l’oro del cuore, motore del valore! E se avessero avuto ragione, senza saperlo, il Gatto e la Volpe?