Esce nelle sale italiane Acciaio, il bel film sulla classe operaia di Piombino, di grande attualità a causa della crisi lavorativa che la città vive in questi giorni.

Un palcoscenico internazionale come Venezia non poteva che nuocere alla comprensione e, di conseguenza, all’apprezzamento, di questo bel film da parte dei non italiani. Dopo Venezia è uscito in anteprima l’8 novembre alla manifestazione 50 giorni di Cinema Internazionale a Firenze, e sarà sugli schermi di tutt’Italia dal 15 di novembre. Alla 69a mostra di Venezia, dopo la proiezione, ho sentito più di uno straniero fare giudizi sintetizzabili in “Tutto lì?”, a esprimere una delusione per i pochi eventi che accadevano nelle due ore.

Il regista Stefano Mordini deve anche prepararsi a nuove critiche immotivate da parte di coloro che, avendo già letto il libro di Silvia Avallone, da cui il film è liberamente tratto, lo accuseranno di non essere stato in grado di trasmettere alle immagini la capacità introspettiva di personaggi e situazioni di cui è impregnato il romanzo d’esordio della scrittrice, vincitrice del premio Campiello 2010. Confronto che non posso fare, perché mi sono limitata alla visione del film. Per gli stranieri, invece, ho la risposta, cioè che questo film possiede un ritmo volutamente lento, costruito per dare un’idea delle vicende della classe operaia di una provincia italiana, Piombino, tutta concentrata sull’industria dell’acciaio (la cronaca recente ci dice quanto è a rischio la situazione operaia proprio in quella città).

E’ un film struggente nella sua lentezza fatta di rapporti affettivi, dolori, speranze e gioie, conditi anche di leggera noia. Si descrive la possibilità che c’era, magicamente,di sperare, e la capacità delle due protagoniste, ben interpretate dalle debuttanti Anna Bellezza e Matilde Giannini, di vivere un’amicizia che rende speciale il loro quotidiano, con le complicità e le crisi adolescenziali. Ma il film scorre anche veloce se si coglie che la vera protagonista, sullo sfondo, è la fonderia, mostro bifronte, che dà lavoro, e quindi è vita per la comunità, ma è anche dispensatrice di morte, come illustra il film, con una sobrietà partecipe al dolore rassegnato di una società troppo legata all’acciaio quale unica fonte di sopravvivenza. L’amicizia fra le due protagoniste barcolla e sembra interrompersi, ma il finale si colora di ottimismo, attraverso la soddisfazione di un desiderio a lungo covato e mai soddisfatto prima: passare sull’altra sponda, l’isola d'Elba, l’Eldorado per la classe operaia che vive a Piombino. Il dono inaspettato di un biglietto della madre ad Anna, è il simbolo della nuova speranza, maturata nel dolore, che diventare grandi può significare scegliere un’altra vita. Piacerà ai giovani perché, più che ai disagi e alle miserie delle persone, nel film si guarda con partecipazione alle fasi altalenanti attraversate da due adolescenti nel loro faticoso divenire donne.