Una delle caratteristiche del Locarno Film Festival è di avvicinare il pubblico a numerosi Guest of Honor, personaggi selezionati, di anno in anno, per il loro lavoro esemplare nel mondo del cinema. A ciascuno di essi viene dato un premio a inizio serata in Piazza Grande.

Il giorno seguente un dialogo approfondito fra il personaggio e un giornalista fa emergere i dettagli di carriere lunghe e strepitose.

Di due attrici, Golshifted Farahani, insignita dell'excellence award Davide Campari e l'altra, Emma Thompson, insignita del Leopard Club award, a due giorni di distanza, è interessante, e direi doveroso, parlare.

Golshifted Farahani

Golshifted ha iniziato a lavorare nel mondo della musica, cui aveva dedicato i suoi studi. Una scelta controcorrente rispetto al lavoro dei familiari, entrambi attori, che la sollecitavano a fare l’attrice. Per lei il suono era, ed è tuttora, qualcosa che pervade la vita, emesso non solo dagli strumenti musicali ma dalla natura e dalle persone attraverso le parole. Strumento di comunicazione e veicolo di sentimenti. Molto presto, comunque, è stata scritturata per alcuni film, e poi lei stessa ha deciso per la recitazione.

Ci confessa candidamente che, essendo molto vitale, non riusciva a stare ferma più di mezz’ora, cosa inconciliabile per un’orchestrale. Ascoltiamo incantati il turbine di parole profonde, sincere, piene di cultura, sentimenti, originalità e voglia di comunicare. Risponde alle domande sulla sua incredibile carriera, lunga trent’anni, ampliandone il contesto.

Considerato l’anno di nascita (1983) la sua carriera è iniziata nella preadolescenza ed è stata caratterizzata da una varietà sorprendente di interpretazioni, dal cinema d’autore, al blockbuster, dal dramma alla commedia raffinata. Film girati in patria, l’Iran, in Francia, e pure a Hollywood.

È stata chiamata negli States dopo il grande successo in Iran. E questo, sebbene il film non fosse contro il regime, ha capovolto la sua popolarità a tal punto da costringerla all’esilio. Malgrado l’enorme dolore di abbandonare il suo popolo, amici e familiari, la cultura millenaria su cui si basa la sua terra, non ha abiurato ai suoi principi, al suo talento che si sostanzia di libertà.

Libertà di scegliere i personaggi che le corrispondono nei vari momenti. Quando era in esilio, per qualche tempo non riusciva ad interpretare una fra le tante donne costrette dal regime a controllare se stesse, soprattutto il corpo, per paura della repressione. Poi ha nuovamente affrontato il tema. Leggere Lolita a Teheran, un film in cui se l’è sentita di scavare nella condizione femminile degli ultimi anni, sempre più oggetto di violenza da parte del regime, ha vinto alla Festa del Cinema di Roma.

In Francia ha interpretato commedie e film leggeri, dimostrando una versatilità e una padronanza dei ruoli non comune. Ha un’intensità interpretativa attuata con piccoli magici gesti. Niente di appreso, un’istintiva capacità che promana dal suo corpo. È singolare proprio che i cambiamenti burrascosi di cui è stata testimone non l’abbiano minimamente tarpata né fisicamente, né psichicamente. Anche perché in altri contesti non ha nascosto di avere seguito pratiche di meditazione per superare il dolore dell’esilio.

Nel corso del colloquio, quasi a stemperare il suo vissuto di esiliata, ha fatto un quadro della società francese molto divertente. In sintesi, confrontando la società che l’ha spinta all’esilio con quella francese, si diceva stupita che un popolo che ha tutto come quello francese, è sempre a lamentarsi di ogni cosa. Nessuna cattiveria, solo sottile ironia.

A Locarno presenta Alpha, un film drammatico che uscirà nelle sale a settembre.

A una domanda del pubblico se, con il rafforzamento dell’identità individuale si riesce ad accettare di essere soltanto cittadini del mondo, ha risposto con un’immagine che aveva la potenza di una scena da film.

Il mio esilio l’ho visto-e vissuto- come una serie di tombe. Col tempo, giorno dopo giorno, la mia vita le ha coperte di fiori, per renderle sempre meno visibili. Ma sotto le tombe restano.

Alla fine di questo lungo colloquio ha voluto fare un regalo ai giovani, attingendo alla sua storia personale.

Come avete sentito, malgrado la mia giovane età, ho lavorato duramente. Educata da un padre marxista convinto, ho avuto una formazione votata al fare, all’avere. Sono ora ad un punto del mio percorso di vita in cui sento l’esigenza di essere. Penso di mettere fine al mio lavoro e vivere.

E nuovamente conclude con una potente immagine, tratta dal ciclo dell’acqua.

Vedo, guardando indietro, il mio vivere come ghiaccio che si è sciolto in acqua liquida, fino a diventare vapore capace di espandersi per ogni dove. Ora di nuovo mi sento grandine che batte la terra con durezza. È il momento di continuare il ciclo e completarlo.

Emma Thompson

Il secondo regalo al pubblico del Festival è la presenza di Emma Thompson, con il suo film proiettato in Piazza Grande di fronte ad un pubblico oceanico. Thriller con la possibilità di letture multiple, The dead of winter ha nel titolo l’idea che si svolga in uno scenario al freddo, ma non si pensa a 27 sotto zero, come poi ci racconta Emma durante la conversazione del giorno dopo.

È un film che ha richiesto una preparazione anche fisica. Emma dirà che a 66 anni, dopo averlo fatto, ha pensato che dubita di sottoposi a simili stress per il futuro. Infatti ha pure dovuto seguire un training per immergersi nell’acqua ghiacciata sotto il lago, come richiesto dal copione. Un giorno dopo l’altro è entrata per un mese nell’acqua sotto zero, con tempi che si allungavano sempre più, per essere in grado di farlo nel film.

Queste poche note autobiografiche tratteggiano una personalità forte, determinata, amante di nuove esperienze-cosa che si vedeva già dalla successione di film così diversi che ha fatto nella sua lunga carriera. Dal vivo si notano stile, bellezza, calore umano, spontaneità- caratteristica questa di persone di successo rimaste “vere”.

Dalla visione del film si capisce che, per portare avanti un messaggio di grande umanità, Emma non ha esitato ad apparire vecchia, a sottoporsi a cadute e prove fisiche come quelle descritte per porsi al servizio di un’altra donna in serio pericolo, pur non dimenticando, attraverso vividi ricordi della sua vita felice, che si trova in mezzo ai ghiacci per celebrare il marito morto prematuramente. Ma questo passa in secondo piano rispetto all’inaspettata esigenza del momento.

La generosità che l’ha spinta ad interpretare il personaggio della vedova in The dead of winter è connaturata a lei, che anche nella vita fa battaglie a favore delle donne e della necessità di un riscatto culturale per ogni essere umano. Nella conversazione ci fa sapere di una nonna contadina, che non aveva avuto l’opportunità di istruirsi, e di come abbia condotto una vita di grande efficienza, ma senza gioia. Nella conversazione al forum vengono ricordati alcuni dei grandi film da lei interpretati, tratti da opere letterarie: Casa Howard di E.M. Forster; Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro; Ragione e sentimento di Jane Austen.

Figlia d’arte (i genitori entrambi attori) e una sua formazione di teatro non sono sufficienti a spiegare la sua cifra attoriale. Bisogna ricorrere anche qui a qualche misterioso carattere innato. E inoltre si dichiara femminista, atea, anarchica e antimonarchica, cose che estendono alla vita le lotte che le donne da lei scelte fanno spesso sullo schermo.

A questa leggenda british la regina Elisabetta II ha conferito l’onorificenza di Dame dell'Ordine dell'Impero Britannico, per gli indiscussi meriti di questa antimonarchica.

Le ho domandato, volendo un suo illuminato parere, se non trova che a volte oggi certi film-non parlo dei suoi- sono inutilmente allungati, dopo aver dato in pieno il messaggio che li sostanzia. Con un certo umorismo ha eluso la domanda dicendo “Magari facessero un film lunghissimo sulle donne, da sempre maltrattate.” Io, che non sono cineasta ma scrivo, spero lei consideri questo mio lungo articolo un omaggio pieno di gratitudine rivolto al mondo delle donne.