“Per una persona che, come me, si occupa di bambini, per una ‘bambinologa’, è importante ricordare la propria infanzia, sentire che dentro di sé vive una parte che si rifiuta di crescere.”

“In ogni occasione mi batto, con altri, perché i più piccoli abbiano tempi, spazi, modi di vita a loro misura, perché siano felici oltre che abili ed efficienti”.

“Oggi gli adulti si preoccupano molto che i bambini siano competenti ed efficienti, che sappiano usare il computer e conoscano le lingue straniere, e dimenticano invece quanto sia importante la fantasia. La fantasia ci aiuta a vivere. In futuro l’identità personale sarà sempre meno legata alla professione, poche persone potranno dire di sé: sono un ragioniere, un medico. Per molti il lavoro sarà un’attività marginale, provvisoria, mutevole. Diviene, perciò necessario trovare altri interessi, altri luoghi di incontro, altri rapporti. In poche parole: inventarsi una vita”.

Queste parole, perle di sapienza, di saggezza e di esperienza, ma anche di lungimiranza, sono di Silvia Vegetti Finzi, una tra i maggiori psicologi italiani. Già docente di Psicologia Dinamica all’Università di Pavia, vice presidente della Casa della Cultura di Milano, si è occupata di storia della cultura, immaginario femminile, bioetica ed età evolutiva. In particolare, con le sue pubblicazioni si è preoccupata di accompagnare la gente “passo passo a impadronirsi del lessico scientifico, a conoscere gli argomenti più complessi e innovativi nell’ambito dello sviluppo psicologico”.

Si è dunque dedicata, con la passione che sempre la contraddistingue, alla questione femminile: “A questo scopo ho analizzato le bambine, interrogando la fantasia, il gioco, il sogno, il sintomo. Gran parte dei tesori che ho rinvenuto, in questa archeologia dell’inconscio individuale, corrispondono straordinariamente alle figure e ai racconti del mito, del rito, della religione, dell’alchimia e delle origini della scienza. Alcune scoperte, …, si sono poi rivelate di straordinaria attualità per comprendere i desideri che sorreggono la domanda di fecondazione artificiale”.

Dopo una vita ad ampio spettro, così intensa, cosa si sente di raccontarci di lei?

Credo che la narrazione di sé non possa essere condensata in poche righe. Ogni biografia è unica e va inserita nel suo contesto temporale e spaziale. Per quanto mi riguarda, ho narrato i miei ricordi d’infanzia (la stagione più importante della vita) nel libro Una bambina senza stella, Rizzoli. A ogni episodio, perché i ricordi sono flash, ho aggiunto un breve commento. Ecco, quelle pagine contengono quanto, di essenziale, so di me. Il resto è una estensione del testo.

La sua immagine esteriore come “personaggio” pubblico e il suo sentire come persona…

Non mi considero un personaggio pubblico. Incontro molte persone nella presentazione dei miei libri e tengo un blog di nicchia (Psiche lei) ma sono sempre rapporti privati, da persona a persona. Ci si parla e scrive senza cadere nell’anonimato dei mass media.

Donna e/è potere: cosa ne pensa?

Che il potere sia storicamente maschile e che gli uomini siano più addestrati ad amministrarlo. Per noi è più difficile in quanto non vorremmo mai rinunciare a essere amate. Invece, per esercitare il potere, bisogna saper strumentalizzare il consenso e, se è il caso, utilizzare l’autorità, intesa come coercizione. Credo che alle donne si addica piuttosto l’autorevolezza, che nessuna si attribuisce da sola, ma che solo gli altri possono donarle. Con questo non nego il diritto delle donne di esercitare il potere ma auspico che lo facciano portandovi i doni della femminilità.

Stereotipo e realtà della donna milanese…

È una donna cui non manca nulla salvo il tempo, la miseria più democratica della nostra epoca.

Come rappresenterebbe il rapporto donna-uomo contemporaneo: confronto o scontro?

L’uno e l’altro. La differenza tra i sessi può essere una opportunità o una condanna. Il pendolo oscilla continuamente tra le due posizioni. Siamo come i porcospini: se stiamo troppo vicini ci pungiamo, se stiamo troppo lontani abbiamo freddo.

Sessualità, maternità, lavoro: tre fili che s’intrecciano, confliggono o si elidono?

La complessità è il bello della nostra identità, ma per procedere portando avanti i tre fili ,evitando di ingarbugliare la matassa, occorrono abilità, impegno e solidarietà. “Le donne, quando riescono a comunicare tramite la loro parte femminile, sono acqua nell’acqua…” Ripeto spesso questo slogan delle femministe di Pordenone ricordando che, per realizzarlo, dobbiamo essere in grado di sottrarci allo sguardo maschile che è sempre valutante e che, mettendoci in gerarchia, contrappone le giovani alle vecchie, le belle alle brutte, le simpatiche alle antipatiche, le servizievoli alle autonome e così via.

Esiste una psicoanalisi “al femminile”?

Credo che l’analista possa essere vissuto dal paziente come figura materna o paterna indipendentemente dalla identità reale. Ciò che conta sono le sue proiezioni ma, alla fine, è importante che giunga a riconoscere la persona che lo ha seguito nella sua ricerca di sé, come una persona autonoma.

“La Grande Madre”: tema da lei analizzato, è stato anche il nome di una mostra tenuta recentemente a Milano…

È un tema che ho affrontato nel mio libro Il bambino della notte: divenire donna, divenire madre, Oscar. E’ giusto riprenderlo perché ci aiuta a riconoscere la profonda connessione della donna con la Madre Terra, il grembo che ci contiene e ci nutre, minacciato dallo strapotere della speculazione e della tecnica asservita al profitto.

Lei è una profonda conoscitrice della storia della psicoanalisi, quali figure ricorderebbe della psicoanalisi milanese?

La storia della psicoanalisi non è stata raccontata completamente e forse non lo sarà mai ma, tra i grandi psicoanalisti che hanno onorato Milano, cito innanzitutto Cesare Musatti e poi Franco Fornari, Elvio Fachinelli ed Enzo Morpurgo. Purtroppo questi elenchi fanno sempre torto a qualcuno e me ne scuso.

Come ha attraversato e cosa ha incontrato in quell’area pulsatile, di confine, di passaggio, che tanto inquieta e tanto affascina che è l’adolescenza?

Per me ha corrisposto a una rivolta, più interiore che esteriore, contro i condizionamenti dell’infanzia. Apparentemente sono stata una adolescente docile e accondiscendente ma dentro di me ho preparato la libertà che mi ha reso protagonista, per quanto possibile, della mia vita.

Cosa ci può raccontare dei riti di iniziazione delle bambine? Oggigiorno esistono ancora e, se sì, in quale forma?

Viviamo in una società omologante, che confonde la libertà con il misconoscimento delle differenze. Essere bambine è una potenzialità formidabile ma va riconosciuta e amministrata. Come dice Freud “ donne non si nasce, si diventa”.

Questo tema apre inevitabilmente alla questione della sessualità e dell’identità di genere: nella letteratura psicoanalitica e nella pratica clinica quali evidenze emergono attualmente?

La sessualità femminile è stata l’enigma che ha inaugurato la ricerca psicoanalitica. Ma ora emerge un altro tema, quello della maternità. Come rivela la protesta delle “famiglie arcobaleno”, la genitorialità è la posta in campo. Chi è la vera madre? È ora questo il quesito più inquietante.

Coppie di fatto, adozioni “stepchild”, maternità surrogate: la società sembra che stia cambiando panorama, dal suo “binocolo della mente” cosa riesce a vedere?

Stiamo ridefinendo insieme i rapporti tra i sessi e l’identità sessuale personale. Ma scorgo, sullo sfondo, emergere un desiderio più radicale: quello di generare da sé. Un desiderio inconscio che ritroviamo nei miti, nei riti, nei sogni, nell’arte, nei giochi dell’infanzia e che ora le biotecnologie sono in grado di realizzare. Pare che, tra non molto, sarà messo a punto un utero artificiale che eviterà di ricorrere alla famigerata gestazione surrogata. E si aprirà così il supermercato dei bambini perfetti, tutti Barbie e Big Jim.

Quale posto interno e sociale possono abitare le persone transessuali? Quale ospitalità, quale accoglienza per un dolore dell’esistere così atroce che tocca il non riconoscersi, lo stare male nella propria pelle, il non sentirsi a casa in un corpo che si vive come estraneo?

Il posto che loro compete tra un maschile e un femminile non più dogmatici e costrittivi. Tra un polo e l’altro della virilità e della femminilità, completamente vuoti, si stende infatti un metro con infinite tacche, ove ognuno troverà la sua collocazione.

Figlio reale e figlio immaginario, la nostra società narcisisticamente connotata, può facilmente indurre questa confusione che si riverbera inevitabilmente sul percorso di crescita e sulla costruzione dell’identità del bambino, quali sono i suoi riscontri clinici?

Il figlio immaginario, il “bambino della notte”, alimenta la gestazione e prepara al parto e all’accoglienza del nuovo nato, ma deve scomparire per lasciar posto al figlio reale. Troppo spesso invece permane nella madre un desiderio di perfezione che schiaccia il figlio nell’inadeguatezza: tu non sei il bambino perfetto che mi aspettavo, mi deludi, mi umilii. Ed ecco iniziare una ricerca di perfezionamento che non avrà mai fine perché, per definizione, l’ideale è irraggiungibile. I genitori devono aiutare i figli a realizzare le loro potenzialità, i loro talenti, rispettandone l’autonomia e l’indipendenza.

Il delicatissimo tema della maternità mette in gioco ruolo e funzione non così scontati come si potrebbe supporre…

Ruoli e funzioni sono condizionati dalla società e non possedendo, come gli animali, la guida dell’istinto, siamo condannati alla ricerca. Ma questa libertà apre lo spazio al nostro inconcluso processo di umanizzazione.

Al giorno d’oggi i nonni, quando ci sono, sembra che vivano in maniera particolarmente intensa il rapporto con i nipotini, come se potessero osservare e godersi con un gusto speciale quel miracolo della natura che è lo sbocciare della vita…

Sì, la nonnità è una nuova, imprevista opportunità di felicità. Per i nipoti i nonni non invecchiano mai.

Quali luoghi, ambienti, opere d’arte milanesi consiglierebbe per bonificare la mente da pensieri “selvatici”?

Innanzitutto la “Casa della Cultura” , poi il Museo Poldi Pezzoli, Brera, la Fondazione RCS, i teatri: “Piccolo”, Strehler”, Parenti… Ma tutta la nostra città, percorsa a piedi, costituisce una esperienza di bellezza e di cultura che ci rende migliori.