Il viaggiatore con scopi di esplorazione scientifica e botanica ha le sue radici nella storia più antica, si può citare già Dante che individua “Palmieri” coloro “che vanno oltremare, là onde molte volte recano le Palme”, per capire che anche le piante viaggiano durante i secoli soprattutto grazie all’uomo. Le Palme, più di altri generi botanici riportano all’idea dell’esotico, del paese lontano, della rarità da conservare e riprodurre per ricreare luoghi visti oltreoceano ma in una dimensione più privata, godibile anche in momenti dell’anno caratterizzati dai rigori invernali, contribuendo a formare un universo di immagini eccitanti, di fantasie di viaggio.

I più raffinati specialisti nel collezionare specie rare e di paesi esotici, caldi, come l’Africa, il medio Oriente, l’Asia sono proprio i popoli del Centro e Nord Europa. Già Johann Wolfgang von Goethe estasiato di fronte ad una Camaerops umilis L., la palma nana o Palma di San Pietro, diffusa nel bacino del mediterraneo, trovata in una serra all’Orto botanico di Padova ormai ultracentenaria, inizia un lungo percorso di studio che lo porterà alla teoria esposta nel testo Metamorfosi delle piante (pubblicato nel 1790), anticipando le ipotesi evoluzioniste di Darwin. Luoghi privilegiati delle Palme sono proprio quei siti, nell’Ottocento chiamati esotici, mondi lontani, raccontati da viaggiatori, esploratori, che conquistarono l’immaginario di intere generazioni di Europei ed in particolare i più sensibili al gusto e alla moda dei giardini: gli anglosassoni.

Se Firenze rappresentò il fulcro propulsore degli anglosassoni acculturati, il vero grande magnete della Toscana, la terra di Ponente da Alassio a Ventimiglia lo fu per la Liguria, quella “Punta di Francia” come la chiamava Italo Calvino, terra ambita da una compagine cosmopolita di scrittori, artisti, poeti e industriali che furono letteralmente catturati dal suo clima e dall’amenità dei suoi paesaggi mediterranei ancora, nell’Ottocento, piuttosto selvaggi ed inviolati. “E’ il periodo in cui nascono, tra Costa Azzurra e Riviera di Ponente, i primi giardini d’acclimatazione nei quali si tentano introduzioni di specie sconosciute e si sviluppano nuove tecniche agronomiche.” Afferma Claudio Littardi nel suo prezioso libro Palme in Liguria appena pubblicato per Carocci, indispensabile testo che va a colmare un vuoto culturale in merito all’economia, al paesaggio e al significato simbolico di questo genere di pianta nell’estrema Riviera di Ponente tra il XIII e il XX secolo. Grazie ad un corredo iconografico di notevole valore riesce a fare entrare il lettore nell’atmosfera dell’epoca, in cui questi giardini, benché privati, fossero definiti nei testi e nelle pubblicazioni scientifiche dell’epoca come “giardini botanici”, luoghi privilegiati ricchi di rarità tropicali e soprattutto di migliaia di Palme. Soffermandomi oggi sul Ponente ligure e lasciando ad una altro viaggio la parte francese ricordo il noto giardino botanico di Hanbury a la Mortola (1867) proprio sul confine, a Ventimiglia, i giardini Winter, Garnier (1872) e Moreno a Bordighera e Villa Parva a Sanremo (1884).

Non tutti i giardini botanici – storici per lo più – hanno sopravvissuto al drammatico assalto del cemento degli anni Settanta, “la speculazione edilizia” così bene raccontata da Italo Calvino tanto da esserne lui stesso una vittima incontrastata quando la casa delle due culture, Villa Meridiana, la Stazione Sperimentale di Floricoltura dei genitori, botanici e scienziati di fama internazionale, fu trasformata in un residence anonimo della Riviera di Ponente.

La storia però è fatta anche di vicende a lieto fine ed è proprio di una di queste vi voglio raccontare. E’ quella di Villa della Pergola ad Alassio, affacciata sul mare tra Albenga e Imperia, scampata all’aggressione di imprenditori poco sensibili alla storia e alla bellezza del paesaggio. Grazie alla volontà di pochi che ne hanno fatto nuovamente un luogo di rinnovato valore architettonico e botanico, oggi Villa della Pergola è uno dei siti straordinariamente meglio conservati sia per quanto riguarda gli edifici sia per ciò che concerne il parco.

Quando il podere di Villa della pergola fu acquistato da due scozzesi, che tra i primi svernarono nella cittadina di Alassio, allora poco più che un villaggio di pescatori benché di origini molto antiche sull’antica Via Julia Augusta, Thomas Hanbury ((1832-1907) era già un insider. Aveva acquistato diverse proprietà già ad Alassio e costruito a la Mortola sul confine con la Francia Villa Hanbury alla fine degli anni ’60 dell’Ottocento, oltre ad aver contribuito alla costruzione della Hambury Hall e alla ferrovia (1872) che portava da Londra a Genova. L’uomo d’affari scozzese George Henderson Gibb (1818-1883) e il generale William Montagu Scott McMurdo (1819-1894) acquistano due edifici circondati da ampi terreni collinari: Parco Fuor del Vento e Molino di Sopra. Il generale McMurdo e sua moglie, nata a Costantinopoli, a Londra avevano acquistato la residenza Rosebank sulle rive del Tamigi nota per la varietà di rose coltivate. Con il ritiro dalla vita pubblica dopo incarichi in Turchia e Russia si trasferirono in Italia inizialmente solo per la winter season, poi definitivamente. La prima residenza Alassina era un antico frantoio, in uno scosceso appezzamento di olivi, agrumi e carrubi, e di lì a poco acquistano anche un altro appezzamento limitrofo ove era già esistente una casa settecentesca dei Conti della Lengueglia, connotata da vecchie pergole in cui arrampicavano le viti, raggiungibile attraverso una vecchia mulattiera, è oggi l’attuale Villino. Alcuni anni dopo la ristrutturazione del Villino della Pergola – solo un lord inglese poteva essere così snob da chiamarla “villino” afferma Nanni Del Becchi giornalista ospite della Villa - i McMurdo costruiscono Villa la Pergola, ma entrambi costituiscono un esempio di architettura tipica dell’epoca, cioè frutto della contaminazione di stili presi a prestito durante quell’epoca coloniale che vide l’India la meta privilegiata della potenza militare anglosassone.

L’eclettismo e il gusto per l’esotico sono ben rappresentati qui sia nell’architettura sia nel parco, voluto dallo stesso McMurdo e da sua moglie Lady Susan Sarah Napier. Ampie logge sul paesaggio, bovindi, colonnati, l’uso di marmi policromi e fregi erano in sintonia con le architetture interne, l’eleganza e l’imponenza degli ambienti, sormontati da una pagoda che brilla di maioliche dai colori scintillanti dal blu al turchese. Il parco era concepito secondo la loro intenzione come proseguimento naturale dell’interno delle due Ville e della flora mediterranea, enfatizzando i terrazzamenti e l’andamento della collina già connotata dalle tipiche arginature dei muretti a secco. “Il generale McMurdo è stato il progettista di questo luogo mentre Mrs. McMurdo la giardiniera”, scrive il paesaggista americano Charles Eliot (1859-1857) durante il suo soggiorno ad Alassio, elogiandone la bellezza e lo stile.

Dopo la morte di McMurdo, che si spense a Nizza nel 1894, le numerose proprietà ad Alassio furono distribuite tra i figli e la vedova, e il Villino nel 1900 viene venduto dalla figlia Caroline Amelia McMurdo a Sir Walter Hamilton-Dalrymple (1854-1920), che di passaggio sulla Riviera venne così ammaliato dal suo paesaggio da acquisire tre anni dopo anche Villa della Pergola. Eccentrico e raffinato giovane di madre anglo-indiana e di padre inglese, crebbe in ambiente bohémien in una casa Little Holland House, centro culturale ed artistico più trasgressivo della Londra vittoriana di fine secolo. Artisti preraffaelliti come William Rossetti e Dante Gabriel erano i volti familiari del giovane fu avviato alla pittura alla musica alla letteratura ma coltivò anche il golf e l’equitazione.

Villa La Pergola con la proprietà Dalrymple diventa tutt’uno e le due porzioni di giardino vengono accorpate con ponticelli di legno scavalcando l’antica mulattiera, Sir Walter costruisce le serre, casine, chalet in legno e padiglioni. Il giardino apre le porte al pubblico e diventa visitabile negli anni 10 del ‘900 qualche pomeriggio della settimana. Con la sua morte avvenuta nel 1920 la proprietà viene venduta nel 1922 al secondogenito di Thomas, Daniel Hanbury (1876-1848), che ad Alassio fonda anche lo storico ed omonimo Tennis Club e nel 1928 amplia la Hambury Hall che avrebbe ospitato sul modello del club londinese un elegante British Club. Se il parco con la coppia McMurdo e poi con Sir Walter Hamilton Dalrymple si era impreziosito di piante ornamentali come i famosi cipressi, le rose banksia e i glicini e molte specie esotiche nonché manufatti e fontane che andarono ad ornare un giardino di oltre due ettari, in un perfetto stile inglese contaminato dal gusto del collezionismo per le specie mediterranee; con Daniel Hanbury che si trasferisce nei periodi invernali qui con la moglie Sylvia e le figlie Katherine e Philippa, raggiunge il suo apice, nei primi anni del ‘900, poiché dalla Mortola verranno trasferite specie ancora più rare e già sperimentate nel giardino di acclimatazione di proprietà inglese più noto in Italia. Come alla Mortola il grande giardiniere e paesaggista tedesco Ludwig Winter (1846-1912), “a cui spetta il merito di aver contribuito in maniera decisiva alla diffusione delle palme nella Liguria di Ponente”, fonde in uno stile molto raffinato ed elegante le caratteristiche peculiari del paesaggio ligure più selvaggio, agli stilemi compositivi del parco paesaggistico inglese. A Villa La Pergola Daniel introdusse magnifici esemplari di Palme, Washingtonie, oltre alle Cicas messicane, una collezione di Cactacee, Agavi e Aloe provenienti dal giardino di Ventimiglia.

Erano gli anni in cui fiorivano dopo la scuola fatta da Ludwig Winter che iniziò la sua attività commerciale proprio sulla via Aurelia, i primi grandi vivai come Pallanca, Allavena, Molinari, Ronco, Stern per citarne alcuni. Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento si andavano perfezionando le tecniche più sofisticate per il trapianto di specie come le Palme. Con la costruzione di casse in legno, accuratamente preparate in loco e l’uso di argani e sistemi di ancoraggio e trasporto, si riusciva poi attraverso il mare a condurre le piante lungo i giardini della costa Ligure, con sforzi economici e vere e proprie avventure. Ancora disponibili per i più interessati, negli archivi della famiglia Hanbury, i manoscritti di Thomas alla Biblioteca–Museo “Clarence Bicknell” di Bordighera, sulle attività da lui dirette in quegli anni. Lo stesso destino di Villa Hanbury toccò a Villa della Pergola durante e dopo la seconda guerra mondiale, l’abbandono degli inglesi per il periodo dal ‘40 al ’45, l’utilizzo delle dimore da parte dell’esercito tedesco, svilì e annientò il lavoro di anni. Famoso il grido di allarme dei primi militanti nelle associazioni protezionistiche sui giornali nazionali che fu rivolto proprio a proposito di queste dimore ,perché il governo se ne prendesse carico prima che fosse troppo tardi. A Villa della Pergola Daniel Hanbury con la seconda moglie Ruth si riappropriò della proprietà ma morirà di lì a poco a Londra nel 1848. Grazie a Ruth la Villa rimase sede di un folto gruppo di affezionati visitatori inglesi e non solo, che animarono come era nei desideri di Daniel il giardino e la Villa, fino alla morte che la colse nel 1982.

La leggendaria storia delle ville degli Hanbury, fortunatamente immortalate dagli scrittori (W. Scott, The Riviera, 1908) e viaggiatori inglesi che contribuirono a incentivare ancora per pochi anni la folta compagine straniera sulla Riviera, resta oggi dopo molteplici vicissitudini. Ad Alassio ha ripreso vita un giardino che annovera nuovamente le collezioni di specie e varietà che nell’Ottocento contribuirono a renderlo ambito, visitato ed apprezzato.

Oggi il parco, che ha ricevuto dei riconoscimenti per l’ottimo restauro effettuato e la migliore manutenzione, accoglie una dimora elegante per vacanze poiché dal 2006 i nuovi proprietari hanno rilevato l’intera tenuta e gli edifici dando inizio ad un ambizioso restauro conservativo. Sicuramente non facile impresa poiché lo stile del giardino, che per quanto riconosciuto anglo-italiano–mediterraneo, appartiene ad un epoca, l’Ottocento, in cui l’introduzione di un numero considerevole di specie in tutta Europa, provenienti da ogni continente - e l’impazzare del cosiddetto “delirio” per il collezionismo botanico – si trasformò in un qualcosa di estremamente mutevole. Grandi autori della letteratura si soffermano sulle tematiche del giardino d’inverno, dei luoghi di esposizione, Flaubert in “Bouvard e Pécuchet” racconta dei due protagonisti, accaniti sperimentatori botanici che avevano costruito una serra che però brulicava di larve e le loro piante, cresciute sotto campane di vetro opacizzato, crescevano rachitiche. Tali erano le preoccupazioni che i protagonisti passavano notti insonni con ogni intemperie a stendere e proteggere le piantine, così che alla fine “i cantalupi maturarono”.

L’estremo interesse verso le nuove specie, i cromatismi vegetali, gli accostamenti, i parterres di specie nuove e diverse, mise gradatamente da parte il dominio dello stile regolare che imperava da secoli. Il nuovo artista giardiniere – supportato dagli entusiasmi deliranti dei proprietari – dipendeva sempre più dal materiale vegetale, “e se decideva di raggiungere una pur minima visione globale della sconcertante quantità di piante disponibile per la sua scelta, con un’offerta che cresceva di anno in anno, lo studio della botanica doveva diventare il suo principale impegno.” (M.L. Ghotein, 2006)

L’informalità degli schemi compositivi, l’uso di specie sperimentate per la prima volta, il succedersi di diverse proprietà rende più complesso il processo di restituzione del giardino ad una nuova impronta, coerente con la storia, e allo stesso tempo rispondente alle nuove esigenze sia dei proprietari sia degli ospiti, vista la destinazione d’uso.

Merita il viaggio anche da mete lontane questo itinerario ligure che si dipana tra le ville e i giardini del ponente ligure e che parte sicuramente da questo riferimento culturale che rientra anche nel circuito dei Grandi giardini italiani, di cui parlai in questa rubrica mesi fa. Ci sia addentra in un percorso sinuoso che su livelli diversi e terrazzamenti ha l’effetto di un parco molto più ampio, tale da consentirci quello spaesamento così necessario per entrare nello spirito del luogo ed ascoltare le presenze estive di insetti e uccelli, celati negli anfratti e nei minuscoli spiragli tra la vegetazione, scorgere viste insolite sul mare e sul paesaggio dall’altura più scoscesa.

Per un viaggiatore amante della bellezza paesaggistica forse non sarà così indispensabile ma a chi ha a cuore la conservazione dei luoghi e delle sue componenti fondamentali, sarà gradito e benvenuto lo scoprire che alla base della filosofia del lavoro di recupero è stata l’attenzione al risparmio dell’acqua, dell’energia per alimentare fontane e costruire il giardino, oggi più che mai doveroso. Con più gusto si può assaporare l’ombra delle pergole che restaurate hanno di nuovo i glicini bianchi, rosati e viola che pendono come leggiadre stalattiti, speroni di roccia da cui svettano felci ed echium azzurri, corone fiorite di agapanti riproposte con le antiche collezioni inglesi che vantano 350 varietà. Si è rifocillati d’estate - perché il giardino apre alle visite da marzo ad ottobre- da grotte fresche e specchi d’acqua, costellati da fiori di loto e ninfee rare. Paradiso dei botanici per le fioriture durante tutto l’anno, dalle belle Strelizie giganti, alle Jacarande, Dature, Bignonie e Ortensie, le immancabili Bougaville e le Cactaceae provenienti da tutti gli ambienti aridi alle varie latitudini. Lo scrittore Gianni Clerici nel suo libro autobiografico I Gesti bianchi (Londra, 1960) restituisce la promessa fatta a Lady Hanbury che si sarebbe un giorno occupato di quel fantastico giardino.

Mi fermo… altrimenti “il problema nasce proprio qui” - direbbe Henry James - “dall’affascinante sollecitazione a presentare una situazione precisa, a restituirla cioè, per quanto possibile, nei particolari, senza nello stesso tempo tradirne l’essenza.”