I “libri di segreti”, che hanno avuto la massima diffusione nel Rinascimento, sono affascinanti trattati di carattere popolare che contengono ingegnosi accorgimenti adatti a risolvere le difficoltà pratiche della vita e del lavoro, ma anche del gioco e del divertimento. Hanno tratto ispirazione da alcuni codici medioevali che in verità si limitavano alla descrizione delle ricette da utilizzarsi in campo medico e alimentare.

Nel Cinquecento l’uso dei “segreti” si propaga in tutti i campi: dai problemi matematici ai passatempi topologici, dalla cucina all’erboristica, dall’allevamento alla tessitura, dagli inganni ai sortilegi, dal disegno alla pittura; le migliori “furbizie”, considerate magiche, vengono trascritte e stampate su carta di bassa qualità, con copertine cartonate e legature semplici: i libri dei “segreti”. Non c’è una tematica dominante: ogni pubblicazione racconta quello che ciascun autore saggio ed esperto conosce e che ha recepito principalmente dalla tradizione popolare. La lingua privilegiata è il volgare, in quanto permette di raggiungere il massimo numero, anche se comunque esiguo, delle persone alfabetizzate, abituali lettrici dell’editoria classica.

La “misura bibliografica” dei trattati di “segreti” è normalmente in sedicesimo (altezza 15 cm.), una misura da manabile, adatta ad una continua e facile consultazione. Non ci sono illustrazioni perché il costo delle silografie metterebbe in crisi l’autore e lo stampatore: generalmente un centinaio di pagine, impresse e riprodotte con la stessa matrice fino al consumo dei tipi, ricche dei consigli della saggezza popolare. La massaia, il miniatore, l’artista, il guerriero, il mago, il baro, il giocatore di scacchi e la raccoglitrice di erbe hanno così a disposizione un compendio di rimedi per ogni necessità.

Oltre a numerosi autori con pseudonimi, forse personaggi importanti che non se la sentono di abbinare il proprio nome a questo genere di pubblicazioni considerate poco prestigiose, gli scrittori che firmano questi trattati sono esponenti di primo piano della cultura: medici, speziali, artisti e matematici.

Frate Luca Pacioli da Borgo Sansepolcro, filosofo, matematico, economista e teorico della divina proporzione, vissuto a cavallo fra il XV e il XVI secolo (1445-1517), si è imposto come una delle più importanti personalità del Rinascimento: ci ha lasciato il trattato De viribus quantitatis, uno studio sulle curiosità e divertimenti legati ai numeri che ci propone anche una serie di intriganti “segreti” scientifici, religiosi e profani e che ancora oggi affascinano e stupiscono il lettore. I suoi indovinelli talvolta sembrano sfiorare la volgarità, ma sono invece espressione di una genuina semplicità, unita ad una incontenibile curiosità e al desiderio di comprendere ogni fenomeno naturale.

La sua è stata una vita trascorsa nell’insegnamento della matematica e della geometria nelle Università più prestigiose, beneficiando del confronto con i grandi maestri dell’epoca, come Piero della Francesca, Leonardo, Dürer, incontrati nelle corti dei mecenati più lungimiranti, come Federico da Montefeltro, Ludovico il Moro e Isabella d’Este.

La lettura e l’approfondimento del De viribus quantitatis hanno portato a risultati molto interessanti, in qualche caso sorprendenti per l’originalità dei metodi empirici e per i tentativi scientifici raccontati: taluni degli argomenti si riferiscono a pratiche o procedimenti oggi noti e ancora in uso, come l’inchiostro simpatico, la steganografia, la crittografia, la scrittura cifrata e quella speculare. Pacioli dedica una particolare attenzione all'inchiostro, che deve essere stabile e preparato con una precisa proporzione dei componenti, adatta a mantenere il colore e non nuocere alla carta; inoltre, per la crescente ricerca del bello, suggerisce che le miniature nei libri devono splendere, grazie all'oro, all'argento e alla porpora.

I segreti di Pacioli, quando hanno a che fare con la chimica, sono concepiti ed elaborati con elementi caratteristici dell’alchimia medioevale, come la pietra di paragone, l’erba catapuzia, il vetriolo romano, la colofonia, l’allume, la polvere d’oro. Questi stessi elementi, in precedenza nominati da Matteo Silvatico, saranno presenti nelle sperimentazioni di Leonardo, di Paracelso e Vannoccio Birinduccio. Ma c'è anche la proposta di applicazione di tecniche nuove e rivoluzionarie, come ad esempio la “soluzione” del ferro con morsura acida, propria della futura tecnica dell'acquaforte.

La conoscenza di questo peculiare procedimento testimonia l'interesse di Pacioli per la stampa e per le incisioni, ammirate probabilmente nella bottega veneziana del pittore e cartografo Jacopo de' Barbari, autore del suo memorabile ritratto.

Il dipinto è una straordinaria fotografia del mondo di frate Luca, raffigurato con lo sguardo enigmatico mentre dimostra sulla lavagna un teorema di Euclide ad un giovane e nobile studente; sul tavolo, davanti a lui, libri, poliedri e strumenti di lavoro, ma l’oggetto più affascinante è il rombicubottaedro che pende appeso ad un esile filo: è un poliedro con 26 facce, di cui 18 quadrate e 8 triangolari, 48 spigoli e 24 vertici in ciascuno dei quali concorrono tre facce quadrate e una triangolare, reso magico dai fenomeni della riflessione e della rifrazione.

Affascinato dalla nascente arte tipografica, dopo la stampa nel 1494 del suo trattato di economia Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, chiede l'autorizzazione ad imprimere tutti i suoi manoscritti, non solo algebrici, geometrici e finanziari, ma anche quelli “giocosi”. Autorizzazione che non ottiene per il De ludis e il De ludo scachorum, opere da lui chiamate "schifanoia" (per far passar la noia) e per lo stesso De Viribus quantitatis, forse ritenute troppo leggere per i giochi che propongono, legati a pericolose scommesse su denari, donne e proprietà. Sarà soddisfatto solo per la pubblicazione del De divina proportione, trattato matematico, ma anche filosofico e teologico, illustrato da Leonardo da Vinci con i poliedri: ma in questo caso è bastato il titolo ad aprire le porte ad ogni licenza.

In collaborazione con: www.abocamuseum.it