Santa Ildegarda di Bingen fu una grande figura femminile del Medio Evo, è considerata una delle più fervide mistiche del cristianesimo. La badessa benedettina, con illuminazioni visionarie, si occupò delle funzioni del corpo umano, delle cause delle malattie e si adoperò per trovare nella natura rimedi per guarire le infermità, coniugando la teologia col sapere scientifico. Ora, dopo 800 anni, alcune sue cognizioni mediche son state riconosciute esatte dalla moderna medicina.

Strana e, al momento, stridente la richiesta di Mariella di scrivere qualcosa, di intavolare una conversazione con lei e Ildegarda proprio nei giorni in cui mia madre stava morendo e io mi sentivo fuori dal mondo e immersa in un’aura di gelo e di dolore. In seguito, con fatica, per dovere e fedeltà, ho iniziato a leggere il suo scritto sulla badessa tedesca e senza accorgermene mi sono accostata silenziosamente al suo camminare nella vita passo passo con Ildegarda: le ho viste procedere in sintonia con pacatezza e determinazione, le ho osservate nei loro gesti, nella lentezza delle movenze, nella profondità dei loro sguardi, nelle tonalità calde e suadenti dei loro suoni, nelle loro rituali celebrazioni del vivente e mi sono sentita, a poco a poco, rivitalizzare, come presa per mano e contagiata positivamente da questa passione per la naturalità delle cose, dove anche la morte ha un suo posto e un suo significato germinatore.

Mi sono sentita toccare delicatamente e accompagnata a un riavvicinamento alla vita attraverso il contatto con la natura vissuta dalle due donne in maniera così intensamente spontanea da conferirle un carattere di sacralità. Allora anche il mio pensiero ha ricominciato a vivere e si sono realizzate connessioni, legami tra diverse menti che dentro di me trovavano spazio ed entravano in relazione tra di loro in un gioco di rimandi e di rispecchiamenti. Mi ha colpito la citazione di Mariella da Ildegarda quando scrive che “ciò che ora è bile scintillava come cristallo, ciò che era melanconia brillava come un’alba, poi lo splendore dell’innocenza si oscurò e gli occhi divennero ciechi”. Davvero, quando si perde il bello e il buono, si possono scatenare rabbie biliose e provare devastanti melanconie, ma la cecità della mente, il poter tollerare di stare “senza memoria e senza desiderio” (Bion) può aprire a nuove scoperte; Grotstein cita da Freud l’ossimoro “raggio d’intensa oscurità” per significare metaforicamente che quando si è al buio è più facile riconoscere dei segnali evanescenti, dei pallidi barlumi che nel bagliore della luminosità non sarebbero percepibili, per cui anche quell’andare a “tentoni in reciproche cecità”, come racconta Mariella, può diventare un’occasione straordinaria di annusamenti di cose nuove e di scoperte imprevedibili.

Anche Ildegarda per me è stata una scoperta imprevedibile, forse bisogna sempre essere accompagnati per esserle presentati, per avvicinarsi a lei: l’ho incontrata per la prima volta qualche anno fa in un soggiorno nelle Alpi Svizzere, in un rifugio scelto da Giovanni proprio perché era intitolato a lei, sua reminiscenza universitaria. Lì, in mezzo a pascoli incontaminati, si erge questa dimora da favola, rallegrata da gerani incandescenti, circondata da ruscelli canterini, soffusa di profumi silvestri, abitata da animali pacifici e con accanto un orticello botanico brulicante delle sue famose erbe. L’accoglienza della prima sera era stata suggellata dalla consumazione di un vino denso e profumato, ricco di proprietà toniche come suggerito dai ricettari della mistica e anche i cibi che durante il soggiorno abbiamo assaporato, si ispiravano al suo pensiero e ogni camera aveva il nome di un’erba, la nostra era dedicata al finocchio, una delle piante ritenuta dalla badessa fondamentale per il benessere della persona. Sono rimasta così rasserenata da quell’atmosfera benefica e mi sono sentita così protetta e ben curata in quei giorni, dai silenzi lenitivi, avvolta solo dai suoni-voci-profumi della natura, che l’impatto poi con la “civiltà” e i suoi odori falsi e sgradevoli, i rumori disturbanti e l’atmosfera frenetica e stordente del formicolare senza senso degli uomini mi ha veramente turbato e destabilizzato, era come uscire da una seduta di massaggio rilassante il corpo e la mente ed essere investita senza pietà da un tir: un vero e proprio trauma.

Tornata a Milano dove vivo, ho allora continuato a cercare Ildegarda e ho finalmente scoperto che a Santa Caterina del Sasso, sul lago Maggiore, c’è un eremo appeso su un promontorio che si affaccia suggestivamente sulle acque lacustri dove suore laiche, come fedeli vestali, conservano le ricette e vendono i rimedi pensati da Ildegarda, che ha lasciato come generosa eredità ai suoi seguaci. E, con sollievo, lì ho ristabilito un contatto col suo mondo. Ma quando ho conosciuto Mariella ho incontrato Ildegarda di persona. E questa è un’esperienza unica. Mariella è lei per l’intensità con cui assapora e si rapporta alla natura, tutta la sua sensorialità vibra dei colori, dei suoni, delle forme che il creato offre e con cui si accoppia e si fonde in un sentimento di partecipazione, da diventare un tutt’uno. Mariella che vola in bicicletta, che si incanta nel guardare la luna, che si perde nel trascolorare del cielo, che rincorre con lo sguardo il mutarsi delle nuvole, che assapora e maneggia i cibi con afflato mistico.

Bion, lo psicoanalista che amo di più, è nato e ha vissuto la sua infanzia in India, per cui la sua storia si è intessuta di tutta la filosofia orientale e questa formazione lo ha reso disponibile ad aperture di significato che vanno anche al di là delle concretezze tangibili, positivistiche del mondo occidentale; dunque Bion parla dell’esperienza relazionale dell’essere all’unisono o, secondo il suo slang, di essere in “0”, simbolo non codificabile negli stretti parametri linguistici, ma che sta a indicare la verità ultima di cui siamo fatti (Viriditas, concetto ildegardiano non può contenere anche questo significato?), e questo avviene quando una relazione è talmente intensa da raggiungere e condividere le vibrazioni più profonde, emozione straordinaria che succede solo in alcuni stati di grazia, per esempio, a volte, tra innamorati o nella relazione ineffabile tra madre e neonato.

E forse l’esperienza dell’essere in “0” è riscontrabile in questo rapporto così speciale, dove Mariella e Ildegarda si compenetrano, si fondano e diventano Ildegarda/Mariella, una mente-corpo all’unisono innamorata del vivente. E lo sguardo che si posa accarezzando il mondo è uno sguardo particolare, profondo, che si insinua nel miracolo della natura e che, nei disegni di Mariella, si può inverare nelle forme stupefacenti di un insetto, o in un’iridescente goccia d’acqua, o nelle volute di un aglio con le sue radici che si muovono e parlano, o nella meraviglia di un fiore. I suoi occhi “bucano” e non solo si impossessano, ma diventano l’oggetto osservato di cui sentono e svelano anche le parti più intime e misteriose.

Mariella è una narratrice anche per immagini, racconta tramite le tavole botaniche la vita delle piante, degli insetti, delle acque, che nei suoi lavori si vedono in movimento e in trasformazione, proprio rappresentandone il ciclo vitale. Mi piacciono tanto i pensieri di Ildegarda che Mariella ha fatto suoi in questo dialogo continuo di trasparenze e nelle sue/loro visioni ritrovo la visionarietà di Bion quando sogna la funzione del “pensare fino in fondo” che è specularmente espresso in entrambe le sacerdotesse: “Se un uomo non avesse pensieri … sarebbe come una casa senza porte né finestre” o “Per pensare è necessario scendere in profondità e per farlo ci vuole tempo e concentrazione”. Bion parla di “capacità negativa”, mutuando i termini dal poeta inglese Keats, quando si riferisce alla possibilità di darsi il tempo che ci vuole per fare esperienza, alla capacità di tollerare di non capire subito, di poter stare nell’incertezza senza incorrere nell’affannosa ricerca di una conoscenza definita e sicura. Ildegarda saggiamente continua: “chi sottopone il proprio corpo a pene che non è in grado di sopportare, non reca alcun giovamento alla sua anima”, questo suggerimento si riscontra anche nella pratica psicoterapeutica, dove occorre fare attenzione alle capacità metaboliche della mente dell’altro per non allagarlo con interpretazioni/pensieri troppo indigesti, troppo faticosi, che creerebbero un peso in più e forse anche ustioni dell’anima.

E l’essere sintonizzato con l’altro e la sua capacità di sopportare la propria verità è uno strumento prezioso per entrare in un contatto che crea benessere. La verità è un cibo nutritivo per la mente e l’orto contiene tutte le verità, l’orto è umile e sapiente, l’orto richiede cura, pazienza, fiducia e insegna l’arte dell’attesa, rimandando proprio alla situazione naturale di una donna incinta che è “in attesa” paziente e sognante della sua creatura. L’orto è l’esperienza della germinazione, della creatività, della vita che si rigenera costantemente. Mia madre amava tanto prendersi cura del suo orto, si accucciava per ripulirlo dalle erbe cattive, affondava con sapienza le mani nel terreno senza paura di sporcarsi, spiava con amore e attenzione le modificazioni delle piante, gioiva della loro crescita, intuiva i loro bisogni. Traeva linfa vitale dal contatto con la terra e i suoi miracolosi frutti, era evidente che lì era nel suo humus, appariva appagata e felice. Aveva per le sue pianticelle uno sguardo amorevole, materno, lì si sentiva libera, capace di generatività e avere cura di liberare le aiuole da erbe infestanti corrisponde affettivamente all’accudimento della buona madre che ripulisce dalle cacche il suo bambino. Con questo gesto d’amore dimostrava di aver imparato a distinguere “ciò che è prezioso da ciò che è inutile” come scriveva Ildegarda filosofa.

Eccomi ritornata col pensiero a mia madre, ora è un pensiero positivo, vitale, bonificato dall’incontro con Mariella/Ildegarda in questa narrazione sognata delle loro storie, che adesso è diventata in parte anche la mia storia e quella di mia madre che ho recuperato in una funzione vitale, generatrice, accuditrice, madre erbaria. E dopo questo viaggio mitico di andata e ritorno, il cerchio trova la sua forma, come un mandala ricco di significati simbolici che spiegano l’esistere e il morire, significati codificati e significati da scoprire, da creare, da sognare, poliedrici, cangianti, dinamici, sorprendenti come lo è la vita nella sua meravigliosa, terribile ciclicità.