Il celebre secolo dei lumi, il Settecento, aveva visto tra le tante novità, emergere anche l'interesse per l'archeologia e la riscoperta della classicità. Elementi che non potevano lasciare indifferenti gli intellettuali del tempo e ben presto, proprio il nostro Belpaese, divenne la loro meta preferita. Qui trovarono la fonte a cui potersi abbeverarsi i migliori spiriti del secolo, grazie all' enorme patrimonio culturale e la bellezza che racchiudeva fin d'allora la nostra Penisola.

Questo amore per l'Italia diventerà una vera e propria moda nel secolo successivo, l'Ottocento, quando, a qualche centinaia di stranieri, si sostituirono ben presto, migliaia di persone provenienti da ogni parte d'Europa, soprattutto dalla Gran Bretagna e dalla Francia. A Firenze, per fare un esempio, nel 1846, fu possibile pubblicare addirittura un giornale in lingua inglese, tanti erano ormai i sudditi di Sua Maestà che avevano deciso di vivere e lavorare in Toscana coniando per se stessi un neologismo "Anglofiorentini". Proprio sulla presenza degli inglesi bisogna ricordare che quando nel XVI secolo, Enrico VIII diede origine la Chiesa Anglicana, una parte dei sudditi, per forza di cose, abbandonò la tradizione medievale di recarsi in pellegrinaggio in Italia e, soprattutto a Roma per rendere omaggio alla tomba del primo papa e per lucrare indulgenze, ciò nonostante la loro presenza non si ridusse, anzi, possiamo dire che cambiò lo spirito con il quale si accingevano ad affrontare la fatica di questo tipo di viaggio, e fu proprio intorno al 1600, in Inghilterra che fiorisce la moda del “Grand Tour”, sia tra cattolici che tra protestanti, fino alla metà del XIX secolo, quando, grazie al progresso industriale, si svilupparono i trasporti ferroviari di massa.

La nascita del Gran Tour

Questo termine "Grand Tour" fu usato per la prima volta proprio da un inglese, il prete cattolico Richard Lassels, nella sua guida Un viaggio in Italia del 1698. Un termine che da quel momento sarebbe stato adottato in tutta Europa, tanto che si coniò anche il neologismo Petit Tour per un viaggio in versione ridotta, eliminando alcune tappe che solitamente prevedevano la Francia, i Paesi di lingua tedesca come Germania ed Austria, la Svizzera ed occasionalmente le Fiandre, ma nel viaggio, piccolo o grande, rimaneva sempre l'Italia. Una dimostrazione di questo percorso lo ricaviamo da alcuni diari di giovani nobili inglesi che descrivevano tutte le tappe del viaggio da quando salpavano da Dover per la Francia e di lì l'Europa. La scheda del percorso era quasi sempre la stessa; dopo aver visitato Parigi, solitamente scendevano in Italia. La prima città che incontravano, anche per motivi geografici, era Torino con i suoi dintorni, specialmente le Langhe, per proseguire subito verso Venezia, da sempre simbolo della città romantica, con qualche deviazioni a Pisa, Padova e Bologna e, infine, Roma.

Non c'è dunque da meravigliarsi se i viaggi duravano anche dei mesi visti anche i mezzi di locomozione del tempo. Una curiosità, Roma, per questi viaggiatori, siamo nel XVIII secolo, era considerata la città più a sud della Penisola che rivestiva interesse, mentre il resto dell' Italia era avvolto dalle nebbie, non interessava nessuno, solo più tardi, quando cominciano gli scavi ad Ercolano nel 1738 e a Pompei nel 1748 queste due località, con Napoli, furono inclusi come tappe fondamentali nell’itinerario dei viaggiatori e con essi anche il resto del nostro Meridione. Seguendo, dunque, la traccia dei diari di viaggio, il tour quando giungeva alla fine non si concludeva con la partenza dall' Italia; i giovani inglesi soprattutto ripercorrevano la strada del ritorno con alcune puntate, quando era possibile, in Germania o nei Paesi Bassi e di li ancora in Francia, a Le Havre, per tornare in patria. Bisogna però sfatare un po' il mito di considerare il Grand Tour, solo come un viaggio formativo, molti, non di rado, sprecavano una notevole parte del tempo e dei soldi per scopi, diciamo, non proprio istruttivi: ubriacature, giochi d’azzardo, feste, il tutto condito con incontri amorosi assai pericolosi; non era raro, per molti di loro, tornare nel loro Paese infettati da malattie veneree.

I mezzi di trasporto

Ma come si viaggiava a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo? Abbastanza bene per lo standard europeo, ad esempio, in Toscana, allora governata dai Granduchi di Lorena, era stata avviata una politica per la viabilità e le strade con interventi di rimodernamento delle vecchie direttrici e l'apertura di nuove carrozzabili, riorganizzando le stazioni di posta, considerate per il tempo un "moderno" esempio di architettura stradale. Queste stazioni sono descritte da molti viaggiatori come decorose, senza fronzoli, ma funzionali con camere ai piani superiori, addirittura con i servizi, e per i cavalli comode stalle sotto il porticato insieme ad una rimessa per le carrozze. Ogni viaggiatore, secondo la nazionalità aveva delle precise preferenze. Così, mentre gli inglesi scoprivano la bellezza di Firenze, di Siena o di Lucca, i francesi erano affascinati da Milano, mentre gli artisti tedeschi, insieme agli scandinavi, colonizzarono Roma e la sua campagna circostante e, proprio negli stessi anni arrivavano anche i primi americani a conoscere l'Italia.

Verso la metà dell'Ottocento, possiamo affermare che nasceva l'antesignano del moderno turismo di massa. I viaggi non erano più un privilegio di pochi e le mete turistiche, un tempo isolate e romantiche, cominciarono a brulicare di visitatori, con grande disappunto dei veri amanti del “Grand Tour”, sempre in cerca di esperienze singolari e riservate a pochi, come le élite che rappresentavano. Di questo periodo ci rimane una lettera di Lord Byron molto eloquente: "Avrei voluto andare a Roma - scrive - ma in questo momento è infestata da inglesi. è da pazzi - aggiunge - viaggiare adesso in Francia o in Italia, finché quest'orda non si sia ritirata. Forse fra due o tre anni la prima ondata sarà passata e il continente ritornerà sgombro e piacevole come prima". La previsione di Byron fortunatamente per noi italiani non si è avverata. Il viaggio per loro era non solo visitare, ma, come abbiamo accennato, era anche conoscere, ampliare i propri orizzonti culturali, il tutto condito da un gusto artistico e dall’apprendimento delle buone maniere, salvo qualche imprevisto amoroso o di gioco. Elementi culturali che potevano essere messi in atto solo dalla mancanza di fretta, ben lontani dalla vacanza mordi e fuggi come è concepita oggi. Infatti, per questi viaggiatori, il minimo per conoscere l'Italia e le sue peculiarità non poteva durare meno di cinque o sei mesi, in alcuni casi, come vedremo, il soggiorno durerà anni se non addirittura tutta la vita.

Gli innamorati dell'arte e delle belle donne

Ai tanti ricchi oziosi stranieri in cerca di esotismo, si affiancavano anche altre due categorie non meno numerose: gli innamorati e i malati. Questi ultimi, certamente facoltosi, avevano trasformato il nostro Paese in una specie di grande sanatorio dove andare principalmente a svernare i rigidi inverni del Nord Europa, grazie al clima assai mite di Roma o di Napoli, per non citare la Sicilia, accompagnato da un ritmo di vita assai piacevole. Ma gli imprevisti di un viaggio, ieri come oggi, non mancavano di certo. Inutile dire che l'imponderabile mandava spesso all'aria ogni preordinato piano di viaggio, consentendo con quel po' di improvvisazione che non guastava l'avventura del turista. Tale sembra l'inatteso accidente occorso allo scrittore inglese Tobias Smollett nella stazione di posta di Buonconvento, vicino Siena nel 1764, dove uno stalliere, per vendicarsi della tirchieria dell'inglese che non gli aveva allungato la mancia prevista, dotò la carrozza di una coppia di cavalli molto giovani, non domati e non castrati, che, una volta messi al giogo della vettura, presero un andatura sfrenata, finendo tutti nella polvere: carrozza, turisti e postiglioni, ma gli occupanti schizzarono fuori in tempo dal veicolo per vedere il lieto fine: nessun danno per uomini e cose, ma una bella paura.

Ma gli affari sono sempre affari e siccome i turisti, aumentavano a vista d'occhio ecco che molte case nobiliari, un po' decadute, non esitavano a spostarsi ai piani superiori dei loro palazzi e affittare i piani nobili agli stranieri. Un bed and breakfast ante litteram. È impossibile non menzionare, in questo ambito, le tracce letterarie di questo tipo di alloggiamento. Uno dei tanti libri che narra un viaggio d’istruzione in l’Italia è certamente il romanzo pubblicato nel 1908, intitolato Camera con vista, di E. M. Forster, adattato per il grande schermo nel 1985 da James Ivory. Lo sfondo della storia d’amore di una giovane ragazza, Lucy Honeychurch ed un ragazzo fiorentino, si snoda tra le campagne toscane e quelle inglesi. Il romanzo, racconta assai bene la parte del viaggio come elemento d'istruzione per le signorine dell’alto ceto sociale.

La tragedia italiana di Lord Byron

Viaggi che tra istruzione e buon vivere videro personaggi illustri come John Milton, Laurence Sterne, George Byron, Johann Wolfgang Goethe, Wolfgang Amadeus Mozart, Michel de Montaigne, Montesquieu. Fra i “grand tourists” c’erano anche molti polacchi: Giovanni III di Polonia, Stanislao Augusto Poniatowski o Izabela Czartoryska. Tra questa folla d'illustri personaggi che amarono l'Italia il simbolo più noto fu certamente George Gordon Noel Byron, VI barone di Byron, meglio conosciuto come lord Byron. Questo giovane lord aveva buone ragioni per evitare i suoi connazionali, specialmente all'estero, visto gli scandali che lo avevano colpito nella sfera privata dall'incesto con una sorella alla latente omosessualità. Nulla fu mai provato, ma lo scandalo fu troppo grande e devastante che Byron decise di abbandonare per sempre l'Inghilterra e non rimetterci mai più piede e così fu. Purtroppo, proprio in Italia doveva fare anche l'esperienza più difficile di tutta la sua vita. Un giorno, mentre soggiornava a Venezia nel più completo disordine nel nobile palazzo di Ca' Moncenigo, si vide recapitare una bambina di pochi mesi, frutto di una breve e fugace relazione con una certa Claire Clairmont, a detta dello stesso poeta, una povera esaltata. Alla bambina mise il nome italiano di Allegra, ma di spensieratezza la piccola ne ebbe assai poca nella sua breve vita. Messa in collegio a cinque anni dal padre che la chiamava con il bel soprannome di "my little bastard" , nonostante le lettere della piccola Byron rifiutò di andarla a trovare preso, com'era, per il suo nuovo amore, la giovane Teresa Gamba Guiccioli. La piccola Allegra morirà poco dopo, sola e abbandonata dal padre, nel convento dei cappuccini di Bagnacavallo, vicino a Ravenna, lasciando questa volta il poeta inglese nella disperazione e nel rimorso di aver abbandonato questa povera bambina al suo triste destino.

Ma la morte della figlia anticipa solo di qualche mese un altra morte devastante per il poeta, quella del suo amico di tante avventure e come lui amante di tutto ciò che era italiano, Percy Bisshe Shelley, annegato durante una tempesta nel mare di Lerici, travolto insieme al suo panfilo Ariel. Meno di un anno dopo Byron partì per la Grecia dove trovò la morte da eroe a Patrasso per la libertà di questa terra dalla dominazione turca. Come aveva voluto, tornò in patria solo da morto, per essere finalmente seppellito presso la cappella di famiglia e poi nella chiesa presbiteriana di Hucknall. Tornando ai viaggi di Byron in Italia, sappiamo che suoi mezzi economici gli consentivano di viaggiare con ogni confort dell'epoca con cinque carrozze al seguito, sette servitori, un cuoco e un medico personale, senza contare gli animali che tanto amava compresi due pavoni e tre scimmie, tutte le stoviglie in una cassa di argenteria per imbandire cene sontuose. Inoltre, non sopportando di cambiare letto ad ogni spostamento si portava dietro quello suo personale, già sistemato con cuscini e lenzuola. Certo era un modo di viaggiare assai ostentato per dimostrare le sue rendite, ma non solo.

Un viaggio con l'antenata della roulotte

Altri, turisti usavano quella che si può definire a buon diritto l'antenata della odierna roulotte, una carrozza che in realtà era una vera e propria casa in miniatura: c'era la camera da letto, un salottino con biblioteca e una piccola cucina, i servizi igienici non c'erano, ma la natura aiutava alla bisogna. Amante di questa novità fu la contessa di Blessington, che assieme al marito soggiornò lungamente all'estero, iniziando da Avignone nel novembre del 1822 e proseguendo per Genova dove trascorse quattro incontrando numerose volte il conte Byron, ricavandone una buona dose di materiale per il suo libro Conversazione con Lord Byron, del 1834. Dopo una permanenza a Roma, Napoli e a Firenze, Marguerite lasciò con grande nostalgia l'Italia, non senza raccogliere altri spunti per il suo Vagabondaggio in Italia pubblicato nel 1839. In quest'ultimo libro descrive, come già accennato, questa nuova moda, quella cioè di portarsi la casa dietro durante i viaggi.

Ne proponiamo un breve , ma significativo stralcio: "Metà degli scomodi del viaggiare possono essere evitati procurandosi un capace furgone , vera benedizione per le signore con tutto il necessario: un ottimo letto in ottone e una buona provvista di libri per i momenti di svago durante il giorno. Contengono poi quelle moderne poltrone e sofà che occupano poco posto quando sono imballate, così batterie da cucina che consentono al cuoco di disimpegnare i suoi compiti, ed infine le cappellerie per delicati copricapi Tocques e cuffie troppo fragili per resistere alle scosse che subiscono le valigie di cuoio, legate sugli appositi spazi". Insomma, una soluzione pratica e di sicuro successo anche perché all'epoca, può sembrare strano, ma la condizione delle strade, escluse alcune zone del Sud, erano considerate dai viaggiatori abbastanza buone, addirittura gli stranieri sono affascinati da alcune particolarità delle nostre strade.

François René de Chateaubriand le trovò eccellenti, inoltre in quelle cittadine, parliamo di Torino e Milano, il traffico era agevolato da un accorgimento innovativo "Nel mezzo di Milano - affermava lo scrittore francese - perché il movimento delle vetture sia più comodo, hanno sistemato due fine parallele di pietre piatte su cui scorrono agevolmente le ruote delle vetture evitando così le asperità del selciato". Perciò la sicurezza, il comfort, la rapidità (non ultimo anche il decoro del mezzo) erano tutte preoccupazioni non complementari, ma vitali per un viaggiare in comodità, requisito fondamentale di tutta l'organizzazione. Naturalmente c'è da intendersi sulla parola "comodità". Non solo le disponibilità finanziarie erano ben diverse tra viaggiatore e viaggiatore, ma anche le disposizioni.

Più che un viaggio era spesso una vera avventura

C'era chi come oggi desiderava la velocità o gradiva la lentezza, alcuni ritenevano indispensabili gli agi di casa propria o si riteneva che il viaggio constasse anche nel sacrificare le proprie abitudini a vantaggio dell'avventura e della scoperta, altri si apprezzavano la compagnia, altri detestavano le chiacchiere, tutte queste sacrosante differenze, e soprattutto, naturalmente, il denaro, decidevano le diverse scelte e modalità del viaggio. Sui disagi che il viaggiatore doveva sostenere in varie situazioni, l'illustratore francese Auguste-Xavier Leprince ci ha lasciato una divertente documentazione iconografica in dodici litografie intitolata Dodici inconvenienti dell'andare in carrozza, i cui titoli vanno da Effetti crudeli di una digestione interrotta a Il divertimento dei gentili doganieri! a Sacrificio forzato, che riproduce una carrozza sommersa di fango, caso assai frequente, e i viaggiatori implicati nel suo salvataggio, a Il coraggio alla prova, che accenna alle romanzate avventure di briganti di cui i viaggiatori amavano raccontare, nel calore accogliente delle locande, storie terribili e romantiche più o meno autentiche.

Si pensi che nel 1740, per raggiungere Firenze da Bologna, l'umanista Charles de Brosses, consulente della famosa Enciclopedia di Diderot, affrontò una giornata di viaggio faticosissima; salire e scendere lungo gli Appennini non era cosa facile percorrendo più che strade dei sentieri. Solamente arrivando nello Stato pontificio, allora l'Emilia era un dominio del Papa, le strade erano migliori tanto da fargli esclamare: "dei bravi diavolacci di Appennini", mentre quelli del versante toscano erano un vero incubo:" più difficili da abbordare, rustici e selvaggi".

Un innamorato dell'Italia e soprattutto di Roma, anche se non privo di critiche, fu certamente il visconte François René de Chateaubriand. Arrivato come segretario d'Ambasciata, rimase colpito dalla città, pur criticandone alcuni aspetti popolari e di degrado, provò davanti alla maestà della Città e a ciò che rappresentava per la storia dell'umanità, una commozione insieme religiosa ed estetica. Un'emozione che lo accompagnerà tutta vita facendo della descrizione delle rovine dell'antica Urbe il simbolo per il Romanticismo francese. Dopo di lui, arrivò a Roma proveniente da Firenze, sempre come segretario dell'ambasciata francese, un altro poeta, Alphonse de Lamartine. A differenza di altri, era già stato in Italia con la famiglia da giovane e fin d'allora aveva ammirato le bellezze del Golfo di Napoli e addirittura a Procida aveva avuto un legame sentimentale con la figlia di un pescatore, morta, si disse, di dolore alla sua partenza.

La miseria politica dell'Italia

Il successo che lo accompagnò come letterato fu per l'edizione italiana La terra dei morti. Nel libro, l'autore, rinfaccia la decadenza morale e civile del suo popolo in contrasto con la sua millenaria storia e civiltà. Il libro fu accolto con sdegno in Italia, ancora lontana dai sussulti risorgimentali, da chi aveva un sentimento nazionale come il generale napoletano in esilio a Firenze, Gabriele Pepe che lo sfidò a duello nei pressi dell'allora Porta san Gallo. Davanti ai fiorentini attoniti si svolse il duello dove il francese ebbe la peggio, ma solo per una leggera ferita al braccio che lo stesso Pepe si precipitò a curare il ferito. Il duello si concluse con un banchetto offerto dallo stesso Lamartine per onorare il suo generoso avversario vittorioso. Altri tempi!

Ma le polemiche per le tesi del libro non finirono. Lo scrittore francese aveva colpito un tasto delicato ed era, purtroppo, una amara verità per gli italiani più sensibili del tempo. Le aspirazioni alla libertà e all'unità nazionale appartenevano a una ristretta élite e il pensiero di Lamartine non era isolato. Leggendo i diari di tanti viaggiatori del primo Ottocento, troviamo espressioni assai più dure e tutti concordano con la stridente differenza tra le grandezze artistiche e culturali di un tempo e lo squallore morale e civile dei "moderni" italiani e molti di loro erano assai scettici sul futuro di questo popolo che un domani potesse diventare una grande nazione.

Nonostante queste pesanti critiche, l'Italia per i forestieri rimaneva un luogo magico dove, con più di cento anni d'anticipo, divenne il simbolo della "Dolce Vita" e alla fine, la miseria della situazione politica diventava per loro un elemento del folclore italiano, come le gondole di Venezia o le imponenti rovine di Roma antica. Ma l'Italia non era solo arte, bellezza, gioia di vivere, ma anche amore, nel senso più letterale del termine. Venivano attratti dalla Penisola spesso coppie illegittime in fuga dallo scandalo nei loro Paesi, per questo l'Italia era attraversato da bellissime donne straniere che non esitavano a affermare i diritti del cuore per giustificare in qualche modo viaggiare per il mondo con uomini che non erano i loro mariti.

Le fughe d'amore

A seguire questa moda, troviamo, tra i tanti, il grande musicista Franz Liszt, un vero idolo delle sale di concerto che scelse l'Italia per coronare il suo sogno d'amore con Marie d'Agoult, moglie di un importante banchiere francese che non esitò di lasciare con grande scandalo, oltre al marito, due figlie in tenera età per amore di Liszt.
Marie era certamente una donna di bella presenza, alta, bionda, ma con la presunzione di essere anche una poetessa. Non suscitava in chi la incontrava simpatia, anzi, era considerata da tutti una donna antipatica, una definizione che creerà alla coppia un isolamento sociale tra i loro stessi compatrioti e tra i nuovi conoscenti italiani. Da questa unione nasceranno comunque due figli, una femmina di nome Cosima e il maschio Daniel che morirà poco più che ventenne, mentre la figlia seguirà le orme della madre abbandonando i marito per seguire un altro grande della musica, Richard Wagner.

Altra celebre coppia, come si diceva allora, illegittima, consumerà la propria passione lungo i canali di Venezia; erano il poeta Albert de Musset e della scrittrice Aurore Dupin, baronessa Dudevant, meglio conosciuta con il suo pseudonimo di uomo: George Sand. Le pose anticonformiste della Sand, in un epoca in cui per una donna il solo mostrare una caviglia era sinonimo di donna poca serietà, lasciavano a dir poco sconcertati. Chi li incontrava per le calle di Venezia, loro ultimo rifugio per ritrovare un amore burrascoso, rimaneva sdegnato dalla loro vita, non certo morigerata. La Sand, tanto per scandalizzare, fumava enormi sigari e non esitava a fare pubblicamente la "corte", lei una donna, ad un uomo se gli piaceva, non esitando a raccontare in pubblico l'intimità del rapporto con i suoi numerosi amanti, creando, così, una leggenda nera intorno a lei.

La Sand non indietreggiava davanti a nulla. A causa di una vita di eccessi, Alfred de Musset venne colto da un attacco di febbre celebrale che lo portò a stati di autentico delirio. Venne chiamato per curarlo un giovane medico, bello, biondo, aitante che certo non lasciò indifferente la scrittrice che appena colse l'attimo non esitò a dichiarargli la sua passione. Delirante, ma non pazzo, de Musset, si accorse della tresca tra i due che in sua presenza non esitavano a concedersi all'intimità più sfrenata. Così, appena le forze glielo permisero scappò letteralmente da Venezia per Parigi, lasciando per sempre un rapporto amoroso ormai crudele.

Dobbiamo prender atto che l'aria del nostro Paese doveva esercitare, agli occhi dei viaggiatori stranieri, qualcosa di esotico, una terra quasi incantata, anzi, eccitante dove si può fare ciò che si vuole o quasi, lontano dagli occhi indiscreti dei propri connazionali, ma del quale spesso prima di arrivarci non sapevano quasi nulla. Gli snodi principali del viaggio nella Penisola, da Nord-Sud, fino a quando, nell'Ottocento, la Sicilia e il Mezzogiorno costituirono motivo di attrazione grazie anche agli scavi di Pompei, furono e rimasero le città d'arte come Roma, Venezia, Firenze e Napoli.

Viaggi sempre ben organizzati

Una curiosità, nonostante la gran massa di viaggiatori e di mete da visitare era logico aspettarsi una mappa intricatissima di percorsi, ma così, ieri come oggi, viaggiatori si spostavano coesi lungo un tracciato quasi sempre invariato e, dunque, sicuro, con minime variazioni personali. Un caso che merita di essere citato è quello del romanziere irlandese, Charles James Lever, il quale pensò bene scendendo in Italia di far vestire insieme a lui tutta la famiglia con presunti costumi italiani, prima di arrivare a Firenze allora considerata dai sudditi di sua Maestà la vera capitale d'Italia. In realtà erano dei approssimati vestiti psudo-tirolesi con cappellucci a cono adorni di nappe dorate e per il massimo della sobrietà anche delle piume di pavone.

Arrivati nella città di Dante conciati in questa maniera, furono scambiati per membri di un circo equestre e Lever ebbe subito una scrittura da un impresario locale che vide in questa carovana veramente qualcosa di buffo. Peccato che Lever non poté accettare perché di li a pochi giorni doveva raggiungere Trieste per prendere il suo posto di Console e certamente non era cosa molto indicata lavorare in un circo per un neo-diplomatico. In quel periodo, sempre a Firenze, viveva un altro inglese purosangue Walter Savage Landon, poeta e scrittore amante dell'Italia e della nostra cultura tanto che alla sua morte nel 1864 volle essere seppellito a Firenze. Uomo amante delle belle lettere, ma non certo delle buone maniere, era iroso e nei momenti di follia amava lanciare, con grave pericolo per l'incolumità di chi gli era vicino, ogni tipo di vettovaglie che spesso venivano lanciate anche fuori la finestra. Un giorno fuori dalla finestra per fortuna al piano terra fece volare letteralmente il suo cuoco che atterrò sulla aiuola di violette a cui il poeta teneva moltissimo e non esitò a mettersi le mani tra i capelli e gridare:"Oh le mie viole, le mie povere viole", trascurando completamente il povero cuoco.

William Gell fece parte della Society of Antiquaries di Londra e viaggiò sia in Grecia che in Asia Minore, fu membro della Society of Dilettant e della Royal Society, arrivò l'Italia nel 1814. A lui dobbiamo importanti lavori archeologici presso gli scavi di Pompei e le Mura di Roma. Dilettante, archeologo e cortigiano, William Gell ebbe un ruolo importante nella Roma di quegli anni come topografo di antichità classiche ed anche come novello "Cicerone" per tanti personaggi illustri in visita in Italia, tra cui Walter Scott , l'autore del libro Ivanhoe.

Ma tutto stava cambiando anche per i Gran Tour, il progresso rendeva i viaggi più celeri e soprattutto più comodi portando, come abbiamo già accennato grandi folle di stranieri in Italia. Non tutti accettavano questo progresso tra cui John Ruskin, scrittore, pittore, poeta e critico d'arte britannico, alla metà dell' Ottocento ebbe già parole di nostalgia per il viaggio in carrozza e di critica per quello pubblico e organizzato che si serviva della ferrovia e affermava: "quei miseri schiavi e sempliciotti che si fanno trascinare come bestie o come legname da costruzione attraverso i paesi che credono di visitare [...] non hanno la minima idea delle complesse gioie e delle ingegnose aspettative legate alla scelta e alla predilezione della carrozza da viaggio di un tempo".

Una volta, a margine di una conferenza, ho domandato a un noto tour operator se era possibile ripristinare il gusto per il Gran Tour "Certo - mi rispose - oggi ci sono molti più soldi di un tempo, (eravamo, però, nel 2006, ndr) ma mancano due ingredienti fondamentali; i luoghi incontaminati da scoprire e la qualità delle persone che viaggiano per capire e amare un luogo che non serve solo per mandare le foto con il cellulare agli amici".