Il lavoro di Simona Muzzeddu si può intendere come una continua ricerca espressiva, predilige la foto installazione perché, secondo il parere dell’artista, questa finalizza meglio l’immediatezza espressiva dei modi di essere della persona e permette di concepire l’esistente secondo sensibilità proprie. In realtà, la fotografia, per la particolare prospettiva scelta dall’autrice consente di analizzare l’Uomo e le sue relazioni psico-sociali. Si tratta considerando il tutto con una diversa prospettiva di rendere omaggio alla vita e, nello stesso tempo, di cogliere, senza traumi, gli aspetti che la mortificano o la rendono disumana o quasi inaccettabile. In questa metamorfosi comunicativa, nella quale il bello e l’orrendo, si fondono in un’opera traslata che conduce ai limiti della percezione e dell’accettazione, ha avuto un notevole peso la malattia invalidante e la conseguente morte prematura del padre. Una reazione istintiva ed emotiva insieme (colpita negli affetti) ha acuito in lei l’irrefrenabile desiderio di avvalersi dell’Arte come strumento di devozione e passione. Una sorta di “viatico figurato” che consente di comunicare con “la vita oltre la vita”. Il “coma” del padre ha aperto l’uscio della “dimensione altra” in cui l’aspetto naturale della comunicazione sociale deve assumere nuove dimensioni, intraprendere altre vie. Ed è questa nuova via l’attuale campo di lavoro artistico di Simona.

Chi è Simona Muzzeddu? Simona è essenza.

Cosa, del mondo che ti circonda, attrae la tua attenzione e cosa riesce ad avere un effetto tale da influenzare la tua ricerca artistica?

Il senso della vita, lo cerco in ogni dove. Dal contatto con la natura alle esperienze vissute sin ora. Il mio modo di elaborare tutte le emozioni nei miei progetti è viscerale. Sembra quasi assurdo, ma a volte penso che più una persona abbia sofferto in passato e più abbia da raccontare con l’arte. È una specie di bioritmo dove dopo la grande caduta si ha una grande risalita e nella risalita creo.

Qual è il pensiero/progetto che sta dietro le tue opere: il tuo lavoro nasce dall’impulso che segue a un’idea o a una necessità?

I miei lavori sono rivolti al sociale: dall’indagine sul degrado ambientale della serie “Dolls Orphan” a quella sulle malattie fisiche e psicologiche di “Borderline la linea di confine” e “Borderline psychotic activity”, e tutte le tematiche sono in strettissima relazione con la mia vita. Direi che creare per me è necessità!! Vivo vicino ai boschi e spesso vado a fare delle lunghe passeggiate con il cane. È davvero angosciante dovermi imbattere in discariche abusive create dall’uomo, è qualcosa che scatena in me parecchia rabbia: l’unico modo che ho per denunciare uno scempio come questo è correre a prendere la macchina fotografica e “scattare”. Per quanto riguarda tutta la serie “Borderline” che sto portando avanti con il lavoro sulla malattia mentale, ho, sentito l’esigenza, in seguito alla grave malattia di mio padre, di dover raccontare una situazione che vivono moltissime persone e che spesso vengono dimenticate e messe in disparte… Vivere una situazione di grave malattia permette di comprenderne le difficoltà, di comprendere tutto ciò che sta alle spalle del malato, partendo dai tagli alla sanità che creano problematiche non indifferenti al personale degli ospedali fino ad arrivare alle conseguenze e le ricadute sulle famiglie dei degenti. È per questo che vado sempre alla ricerca di posti abbandonati come ex manicomi, ex ospedali, vecchie aziende dismesse: perché c’è un nesso tra l’abbandono e il degrado di luoghi che un tempo erano efficienti e l’abbandono e il menefreghismo delle persone nei confronti di una situazione che esiste, ma che spesso viene dimenticata dalla società, ovvero la malattia, il malato. Io mi faccio portavoce.

C come consapevolezza, M come memoria, P come persona... che significato hanno queste parole nella tua ricerca artistica?

La consapevolezza è nella mia decisione di affrontare delle tematiche “scomode”, in una società sempre più futile. La memoria è necessità, necessità di accompagnare le persone a ricordare e riflettere su chi siamo e dove andiamo, su come ci comportiamo nei confronti del prossimo e della nostra madre terra. La persona è sia fonte di ispirazione sia obiettivo da raggiungere, da sensibilizzare e a cui lasciare un messaggio chiaro, su cui riflettere.

Se ti chiedo di rivolgere la tua attenzione dal cosa ricordi (il contenuto di una determinata esperienza) al come la ricordi:

• ricordi soprattutto le sensazioni?
• oppure è più forte il ricordo dei colori? • ricordi soprattutto le voci o i suoni o il silenzio?
• oppure il volto delle persone?
• il profumo o l'odore di qualcosa in particolare?
• altro?

Dipende dal ricordo; se è un ricordo importante, che mi ha segnata, c’è tutto, sensazioni, odori, volti, suoni… se è meno importante ricordo solo la sensazione di ciò che è avvenuto.

Quale dei cinque sensi utilizzi più frequentemente, più volentieri e con più familiarità quando lavori?

La vista.

Quali delle tue opere ci proporresti come punti di snodo fondamentali nel tuo percorso?

“Coma profondo” della serie “Borderline, la linea di confine”; la foto installazione l’ho fatta il giorno dopo che hanno sotterrato mio padre in cimitero, è la foto più significativa ed è pregna di emozioni.

Che approccio hai con la fotografia per arrivare agli aspetti contenutistici e concettuali delle tue opere?

La fotografia è il prolungamento della mia mente! È il mio canale di comunicazione, diretto, proprio come sono io.

Quali sono le “sfide” che proponi a te stessa come artista? Come continui a sperimentare?

La sfida è contro me stessa! Ogni volta che devo andare a fare un set fotografico per un mio nuovo progetto, devo dare sempre più. Devo cercare di catturare in uno scatto l’energia che ho dentro e tirarla fuori, e non sempre è facile e veloce. Sperimentare è continuare a ricercare.

Cosa vuoi che le tue opere dicano a te stessa e a chi le osserva?

È agli altri che sto cercando di dare un segnale molto forte. È lo spettatore che voglio faccia suo il mio messaggio. Voglio dare un enorme scossone emotivo a chi osserva quella sedia a rotelle bianca.

Quali sono le motivazioni, le spinte, i condizionamenti, i limiti e le conseguenze di essere un artista oggi?

Io parlo per lo più di me stessa; creo perché ho proprio il bisogno di creare, se dovessi limitarmi e frenarmi credo che potrei seriamente impazzire. Sono una persona “visiva”, con ciò voglio dire che ho proprio la visione dell’opera che devo fare e se questa visione non la tiro fuori c’è il rischio di un collasso mentale e fisico. Io dico sempre che “vomito le mie fotografie” perché è proprio così. È come partorire… più o meno.

A che cosa può aprirsi il mondo attraverso l’arte?

Può aprire le menti e provare ad abbattere molti limiti mentali: lasciarsi andare alla visione è un po’ come essere liberi. E di persone legate e limitate, a questo mondo, ce ne sono parecchie. L’Arte è curativa, almeno, lo è per me.

Che progetti hai in cantiere?

Sto preparando una mostra per Settembre al Museo Archeologico di Anzio, curata da Manuela Vela, dal titolo “Amistade” dove esporrò sia Borderline che Borderline psychotic activity.

Dai la risposta alla domanda che volevi io ti facessi e che non ti ho fatto...

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