Teresa Guiccioli e George Byron: una delle coppie più celebrate, discusse e anche travisate in un alone di romanticismo di maniera che nascondeva retroscena, miserie (soprattutto maschili), ma anche dedizione e nobiltà d'animo (soprattutto femminili).

Cominciamo a inquadrare più realisticamente il bel poeta, rinomato tombeur des femmes: il suo intensivo consumo di sesso (etero e omo) sembra sia derivato dalla freddezza scostante della madre e dallo smacco subito da una bella cuginetta di cui era innamorato e che l'aveva rifiutato rinfacciandogli il suo camminare claudicante. Da quel momento George nutrì una misoginia, a volte malcelata a volte propalata, che lo portò a un atteggiamento di sessuale “usa e getta”, ma anche a esclamare: “L'amore? Che sfaticata!”. Nonostante questo, si sposò con una donna ricchissima, pretendendo che accogliesse sotto lo stesso tetto la sua vera e forse unica “fiamma”, la sorellastra Augusta, a cui era morbosamente legato. Dall'inevitabile scandalo che seguì, Byron, nel 1818, fu costretto ad abbandonare l'Inghilterra e a iniziare il suo pellegrinaggio europeo che lo portò a Ravenna.

Se passiamo al suo conclamato eroico impegno politico, è vero che in Ravenna frequentò i carbonari e che nascondeva armi nell'appartamento di palazzo Guiccioli che il suo rivale-paraninfo conte Alessandro marito di Teresa gli aveva concesso, ma è anche vero che, come “pari d'Inghilterra”, rischiava ben poco. In Grecia, poi, si recò con il suo codazzo di servitori, animali addomesticati e il paggio preferito, soprattutto spinto dalla noia e dal neoclassico mito dell'antica civiltà ellenica, dato che giudicava i greci moderni, bugiardi e inaffidabili. La sua morte, poi, purtroppo, non derivò da un atto esemplare, ma da una banale imprudenza che lo portò a una prostrazione fisica che, probabilmente, favorì l'insorgere delle febbri malariche che gli furono fatali.

E veniamo al capitolo Teresa Gamba: ne fu appassionatamente colpito fin dal primo incontro e giurò e spergiurò che avrebbe sfidato chiunque per potere passare il resto della sua vita con lei, fino a proporle di sposarla, sebbene giudicasse il matrimonio il miglior modo per far litigare due persone. Però, tutte le volte che il legittimo marito, in un interessato e ambiguo sussulto di dignità coniugale, propose alla moglie di scegliere tra lui e l'amante, George batté in ritirata consigliando all'amatissima Teresa di evitare scandali e di accettare le legittime pretese del consorte. Tant'è che la rottura definitiva tra i due coniugi avvenne solo per iniziativa di Teresa e della sua famiglia, che chiesero la separazione per “ingiurie gravi, sevizie e turpitudini”. Certamente Byron subì, non solo il fascino sensuale, ma anche la forte personalità di Teresa, sorprendente in una ragazza poco più che adolescente. La chiamò la sua “dittatora” e, in effetti, la bella ravennate, a poco a poco, gli fece sbollire gli ardori libertini, conducendolo a una vita di coppia che assomigliava sempre di più all'aborrito matrimonio. Forse anche per sfuggire a questo “ménage” che, una volta appassita l'attrazione sessuale, lo annoiava, George cercò in ogni modo di trovare una via d'uscita nell'“impresa” rischiosa e spettacolare, progettando, prima, di attraversare il mare per soccorrere i ribelli sudamericani, poi, di cercare la morte redentrice nella lotta contro la dominazione turca in Grecia.

Comunque, il comportamento più negativamente rivelatore della sua personalità, fu quello di “padre”. A parte la figlia legittima Ada che, praticamente, non vide mai, tra le tante avventure europee, gli capitò di sedurre, mettere incinta e abbandonare un'amica del suo grande conterraneo e poeta Shelley. Costretto a riconoscere la bambina natagli, nonostante le cure amorevoli di Teresa, preferì allogarla all'educandato delle Cappuccine di Bagnacavallo, impedendo assolutamente alla madre di incontrarla e quando la piccola di cinque anni, ammalata, gli chiese di poterlo rivedere, con una lettera che avrebbe commosso anche i sassi, il nostro eroe, capace di progettare impossibili imprese transoceaniche, nonostante fosse a conoscenza delle gravi condizioni di salute della piccola, non si scomodò ad affrontare il modesto tragitto da Pisa, dove si trovava, a Bagnacavallo, per portare alla figlia quell'affetto che avrebbe forse potuto salvarla. E Teresa, come era arrivata a rivestire quel ruolo di “amante” che la segnò per tutta la vita? Qui bisogna menzionare i “comprimari” che crearono le premesse a quello strano incastro che coinvolse la giovane donna, il legittimo marito e Byron.

In primis il padre di Teresa, Ruggero Gamba, che offerse la figlia sedicenne al ricco e anziano vedovo Alessandro Guiccioli, la cui pessima fama di intrallazzatore e di libertino doveva essergli ben nota. Da una testimonianza diretta sappiamo che il Guiccioli, impugnato un candeliere, girò attorno alla ragazza per valutarne le “misure” e, soddisfatto, diede l'assenso. Pochi mesi dopo fu celebrato il matrimonio e ancora pochi mesi dopo, Teresa conobbe George Byron. Bisogna tuttavia riconoscere che, almeno in parte, il Gamba si riscattò, appoggiando la richiesta di separazione da parte della figlia e scontando con carcere ed esilio il suo coinvolgimento nei moti antipapalini.

Più squallida la figura del marito di Teresa. Anzi tutto, ci si chiede come mai il Guiccioli, subodorando l'attrazione della moglie per il giovane Byron, l'abbia accolto in casa, affittandogli addirittura un piano del suo palazzo e cercando di coprire il più possibile la relazione dei due amanti. La ragione fu, molto probabilmente, ahimè, l'“argent”, il marito di Teresa era infatti un “furbetto” dagli investimenti “facili” che l'avevano portato anche in galera, e conoscendo le disponibilità finanziarie dell'autore del Caino, diventato ricco ereditiero, sperava in uno scambio di “favori”. Del resto, lo stesso atteggiamento aveva avuto il marito dell'altra, contemporanea, “bellissima” ravennate, Marianna Bacinetti, che aveva chiuso più di un occhio di fronte alla sua relazione con il re di Baviera, in cambio di prebende redditizie.

Teresa, nonostante l'adorato George avesse ormai mostrato, negli ultimi tempi della loro contrastata convivenza, di sopportare a fatica un vincolo che lo annoiava e lo aveva ridotto a uno pseudomarito, anche dopo la sua morte ne conservò e ne difese la memoria. Andò in Inghilterra a piangere e pregare sulla tomba del suo amato e fece di tutto per accreditare anche negli ambienti britannici una versione esaltante del suo amante. In là con gli anni sposò poi un Pari di Francia, il marchese di Boissy, che non si peritava di presentarla: “Madame la marquise … ancienne maitresse de Lord Byron”.

Così Paolo Costa, l'illustre studioso e politico ravennate, descrisse l'atteggiamento della donna in questo tragico frangente: “ ... La nostra Guiccioli ha saputo ieri la nuova funesta della morte del poeta Byron. Ella si duole di questo caso, ma con dignità. Se madonna Laura che amò un canonico trovò pietà tra i posteri, spero che anche questa, cui oggi non si perdona d'aver amato un letterato e filosofo, andrà almeno non vituperata e non derisa nel tempo avvenire. Noi certo non ci vergogneremo di compiangerla, anche al dì d'oggi”.

Al di là delle vicende di questa tormentata relazione e di ogni giudizio letterario o morale, la figura di lord Byron è comunque di grandissimo interesse storico e sociologico perché rappresenta l'anello di congiunzione tra la vecchia figura dell'aristocratico che si dilettava di belle lettere e la nuova dimensione borghese del letterato che vive nella realtà sociale e politica, che s'interessa ai gusti del pubblico e che, anzi, cerca di assecondarli. In lui, poi, c'è anche come l'anticipazione della figura del “poeta-vate”, che tanta fortuna ebbe in Italia, in cui l'insoddisfazione per un clima culturale asfittico portava alla “noia” e a quel desiderio di imprese e azioni “eroiche” esemplari che potessero dare un significato alla vita.

Più o meno negli stessi anni in cui Byron si dibatteva in questa contraddizione, un certo Giacomo Leopardi, che fu uno dei pochi a ridimensionare la figura del poeta inglese, lasciava senza rimpianti la famiglia, la sicurezza sociale e le ricchezze, per sbarcare stentatamente il lunario, ma orgoglioso della sua autonomia e della sua libertà di intellettuale. E la sua poesia, lontana da paludamenti di facile esotismo, riuscì ad anticipare ed esprimere, senza orpelli esotici o proclami superomistici, il malessere dell'uomo moderno.