Strade affollate dove circolano carrozze, omnibus e cavalli; grandi affiches che tappezzano i muri della città pubblicizzando prodotti e invitando i passanti a spettacoli teatrali e serate danzanti; un'atmosfera euforica di benessere e spensieratezza. E soprattutto le donne che, avvolte nei loro abiti di seta e taffetà, amano passeggiare sui boulevards accompagnate da eleganti gentiluomini.
Se Roma, alla fine dell'Ottocento, era una grande città con duecentodiecimila abitanti, Parigi era una metropoli che di abitanti ne contava ormai oltre due milioni. Una metropoli sfavillante di luci, colori e ottimismo.
Questa è la scena che il pittore veneziano Federico Zandomeneghi si trovò di fronte quando arrivò nella capitale francese nel giugno del 1874. La prima mostra degli impressionisti si era appena conclusa, l'intero mondo dell'arte era in fermento a causa delle polemiche tra i giovani artisti 'ribelli' e i numerosi 'pompieri' dell'Accademia tradizionale, ma libertà e entusiasmo aprivano grandi spazi anche al mondo dell'arte.
Erano passati solo quattro anni dalla cocente sconfitta dei francesi con i prussiani a Sedan e la conseguente fine del Secondo Impero. Archiviata anche l'esperienza della Comune, finita in un bagno di sangue nel maggio del 1871. Ormai i francesi volevano lasciarsi le guerre alle spalle e vivere un'epoca di prosperità che si pensava non avesse mai fine.
Le grandi scoperte, dall'elettricità al cinema, dalle automobili ai raggi X, aumentavano la fiducia nell'uomo e alimentavano certezze su un futuro radioso. E mentre si era capito con chiarezza che la storia ormai non era più dei re e degli imperatori bensì del popolo, e in particolare della nascente borghesia, Parigi diventava il centro del mondo intero, una calamita capace di attirare i più grandi talenti.
Più tardi, quando l'inizio della Prima Guerra Mondiale farà scoppiare la bolla dell'ottimismo dimostrando quanto fosse effimera quella sicurezza di pace e ricchezza, a quell'età dell'oro (1871-1914) verrà dato il nome di Belle Époque, con un'evidente punta di rimpianto e nostalgia. È proprio alla Belle Époque che Palazzo Blu di Pisa dedica una grande mostra che ci riporta nelle vie parigine di fine Ottocento tra belle fanciulle, corpetti, crinoline e paesaggi sognanti.
Per la verità, Zandomeneghi non fu l'unico italiano a restare affascinato dalla frenesia parigina. Prima di lui Giuseppe De Nittis, pugliese, e il ferrarese Giovanni Boldini si erano stabiliti nella capitale francese alla ricerca di successo. E dopo arriverà anche Vittorio Matteo Corcos, livornese dalla pittura di seta come gli abiti delle donne che ritraeva.
Eccoli allora i pittori italiani a Parigi nell'età dell'Impressionismo. Si erano tutti formati alla scuola dei Macchiaioli e si trovarono a confrontarsi con gli artisti dell'avanguardia francese in un continuo dare e avere che l’esposizione sottolinea accostando le loro opere con quelle di Renoir, Degas, Pissarro, Guillemin.
Gli italiani a Parigi hanno saputo trasformare la loro pittura in un linguaggio internazionale, mantenendo viva la memoria culturale italiana - afferma la curatrice della mostra, Francesca Dini. - Se la loro è una pittura bella e facile, tuttavia il nostro percorso propone una lettura critica in un viaggio emozionante che si svolge all'interno di una cornice storica ben definita.
L'incontro con gli impressionisti fu ovviamente inevitabile. Alcuni degli italiani ne furono più influenzati, altri, come Boldini, se ne allontanarono velocemente, ma non ci furono mai scontri. È vero, però, che gli impressionisti amavano più la campagna della città e, tranne Renoir, si dedicarono più ai paesaggi che ai ritratti. Al contrario gli italiani amarono tutti descrivere la vita parigina, con le sue abitudini, i costumi, gli abiti, le serate, i divertimenti, valorizzando la piacevole esteriorità dei personaggi sulla tela.
Furono i pittori flaneur, che girovagavano per la città osservando quello che li circondava e, da veri cronisti, immortalarono la tranche de vie parigina contribuendo a trasferire anche oltreoceano l'idea della metropoli francese, icona di eleganza e di modernità.
Per loro, innamorati di Parigi, non esistevano miserie e ombre in quella società così mondana. Eppure i problemi non mancarono neppure nella Belle Époque, a partire dal crollo economico del 1873, che mise in gravi difficoltà gran parte della popolazione, fino all'ondata antisemita che scosse letteralmente il Paese con “l'affare Dreyfus”, quando il capitano di origine ebraica Alfred Dreyfus fu accusato di tradimento e spionaggio a favore della Germania. Anni e anni di conflitti politici e sociali che divisero la Francia e i suoi intellettuali (Zola difendeva il capitano, mentre Degas era un convinto assertore della sua colpevolezza) prima di riconoscere l'errore giudiziario e finalmente liberare il condannato.
Ma les italiens de Paris non furono sfiorati da polemiche, povertà, vizi e sventure. E se Degas ci mostrava la tristezza delle bevitrici di assenzio e la dura vita delle ballerine, sfavillanti sul palco ma stanche e avvilite dietro le quinte a causa di un lavoro pesante e malpagato, gli occhi di De Nittis, come di Boldini, Zandomeneghi e Corcos si fermavano sulla joie de vivre di quegli anni, offrendoci un'immagine glorificata della Ville Lumiere.
Non ci sono dubbi che tutti loro furono attirati dal mercato e dalla possibilità di facili guadagni. La borghesia, nuova classe dominante, amava ritrovarsi nelle opere d'arte che andavano a decorare le pareti di dimore lussuose. Non era tanto interessata al contenuto di un dipinto quanto alla sua piacevolezza. Così i nuovi ricchi storcevano il naso davanti alle tele di Monet, Cezanne, Degas e gli altri e nello stesso tempo gridarono allo scandalo quando la Carmen di Bizet fu presentata per la prima volta al pubblico nel marzo del 1875. Troppo procace la protagonista e troppo sangue nel finale.
Nelle opere degli italiani, invece, si leggeva solo un desiderio di leggerezza, la voglia di una vita divertente espressa con uno stile pittorico a sua volta gradevole e rassicurante. In più sulla scena artistica si stava affacciando anche una nuova classe di collezionisti, soprattutto americani, che vedevano nel gusto parigino un simbolo di successo ed erano disposti a sborsare anche cifre ragguardevoli per portarsi a casa i loro trofei. Certo prima De Nittis, poi Boldini e Zandomeneghi e infine Corcos furono sedotti dalla possibilità di lauti guadagni e videro – giustamente – Parigi come un trampolino di lancio, nonostante le critiche degli amici Macchiaioli che li biasimarono per aver ceduto alle lusinghe del mercato.
D'altra parte, a questo quartetto di italiani non sono stati tributati i giusti riconoscimenti neanche negli anni successivi. Anzi, per un lungo periodo sono rimasti nell'ombra, schiacciati dalla fama degli impressionisti. Gli stessi francesi, convinti che l'Ottocento sia cosa loro, li hanno sempre considerati 'discepoli' più o meno brillanti.
Eppure, oltre ad averci raccontato un volto della vita parigina dell'epoca, quelle tele, quei pastelli meravigliosi sono un incanto per gli occhi. I loro ritratti sono l’esaltazione della bellezza femminile, sensuale, erotica o semplicemente formale. Le pennellate, veloci e raffinate, sono prova di grande maestria e fanno di loro non dei banali seguaci, bensì dei comprimari della scena parigina.
Guardiamole allora queste signore con cappellino e merletti sedute su una panchina degli Champs Elisée, mentre parlano animatamente; fermiamoci un momento con la damigella in abito nero che col binocolo guarda le gare di cavalli al Bois accanto ad un bambino; uniamoci al folto gruppo di gentiluomini col cilindro e gentildonne con o senza l'ombrellino che assistono festanti al ritorno delle carrozze dalle corse appena concluse.
Dipingere, ammirare, sognare è la vita per cui sono nato.
Scriveva l'autore di queste immagini, Giuseppe De Nittis, che ogni sabato invitava nella sua abitazione al numero 18 di Bois de Boulogne intellettuali, scrittori e artisti del tempo, da Zola a Manet e Degas, offrendogli piatti di maccheroni che lui stesso cucinava. E qui, nella sua casa, conosciamo Leontine, sua moglie, vestita con un elegante tailleur, guanti e un voluminoso copricapo, sguardo diretto e un po' enigmatico. De Nittis è affascinato dagli impressionisti e anche se manterrà sempre la sua originalità parteciperà alle loro mostre e per tutta la sua breve vita (morirà a soli 38 anni) continuerà le ricerche sulla luce.
Boldini invece si libererà presto dell'influenza delle avanguardie francesi per percorrere la sua strada. Carattere arrogante e atteggiamento a volte maleducato era in chiara concorrenza con De Nittis e dopo essersi 'sottomesso' alle esigenze commerciali del più importante mercante d'arte internazionale, Adolphe Goupil, divenne a poco a poco uno dei più reclamati ritrattisti della capitale francese.
Lui, che le donne sapeva svestirle, oltre che vestirle, ci ha lasciato immagini potenti, che si soffermano spesso sul collo, sulle spalle, sulle scollature ardite, ma cercano anche di valorizzare i tratti del volto per carpirne emozioni e fragilità. Lui stesso avrebbe detto che prima di cominciare un'opera parlava almeno quattro ore con la persona che doveva ritrarre, uomo o donna che fosse, per trovare la sua anima.
Comunque il realismo e l'arditezza delle sue composizioni non mancarono di procurargli qualche problema, come quando l'imprenditore siciliano Ignazio Florio, marito di donna Franca Florio, regina dei salotti palermitani, pretese che il pittore ritoccasse l'audace scollatura e allungasse l'orlo della gonna perché non si vedesse la caviglia.
Spesso i ritratti di Boldini non hanno ambientazione, così che le figure sembrano quasi uscire dal quadro e le sete sconvolte degli abiti femminili frusciano ancora sotto il nostro sguardo. Altre volte il colloquio delle sue muse è con i fiori, come nel caso della giovinetta seduta Sulla panchina al Bois. Lei è Berthe, la sua prima musa e amante, a cui ne sarebbero seguite molte altre. L'ultima sarà Emilia Cardona, sposata nel 1929, quando lei aveva 20 anni e lui 87.
Tra gli italiani, il più legato agli impressionisti sarà Zandomeneghi, amante del colore, più che del disegno e grande estimatore della tecnica del pastello, in cui ottiene risultati eccellenti. In mostra lo troviamo seduto ad un tavolo con Susan Valandon, madre di Utrillò, sua grande amica e modella di molti impressionisti. Stanno bevendo vino rosso e mangiando frutta al Café Nouvelle Athenes, dove le avanguardie si incontravano.
Il pittore è di spalle, ma il suo volto è riflesso nello specchio, insieme al grande lampadario. Renoir non avrebbe potuto fare meglio.
Per Corcos, il più giovane, gli impressionisti non sembrano neanche esistere. Appena arrivato nella capitale francese si accontenterà di dipingere ventagli, ma presto svilupperà una tecnica micidiale che gli permetterà di eseguire ritratti di belle fanciulle con dettagli quasi fotografici. Certo, i volti non raggiungono mai la profondità di quelli di Boldini, ma le sete fruscianti e trasparenti e i delicatissimi tulle ci conquistano immediatamente.
Più che la realtà forse dipinge un sogno, ma diciamolo con franchezza, chi di noi non vorrebbe indossare uno di quegli abiti ed essere ritratta come se fosse un miraggio?
Illusioni e chimere invece non appartengono sicuramente al Bambino con pezzo di pane che porta la firma di un artista ancora oggi sconosciuto al grande pubblico, Antonio Mancini.
Ma cosa c'entra questo bambino dallo sguardo triste con la Belle Époque? In realtà lui non viene dai boulevards parigini ma dai vicoli di Napoli, così come il suo autore, approdato a Parigi in cerca di denaro e successo, come tutti gli altri pittori. Ma l'atmosfera brulicante di quella capitale e i suoi ritmi non facevano per lui, né mai cedette alle seduzioni della moda e ai richiami della borghesia. Descrivendo quel periodo disse che era stato “senza né capo, né coda, portato dal vento dell'agitazione”.
Così, influenzato più dalla povertà dei bassifondi della sua città che dal luccichio degli abiti parigini, dopo pochi mesi se ne tornò a Napoli rinunciando sia ai soldi che al successo. Solo lì, nei sorrisi malinconici degli scugnizzi, trovò la sua Belle Époque.















