Come scrisse il Professor Edoardo Boncinelli, nel suo libro dal titolo Mi ritorno in mente (attenzione, “non mi ritorna in mente”, come comunemente si dice, ma proprio “mi ritorno in mente”), è proprio vero: un tempo si esaltava maggiormente la razionalità, oggi invece si va sempre di più alla ricerca affannosa della felicità con tutte le sue sfumature. Tutti dicono che hanno provato una grande emozione nel fare questo o quest’altro, per avere vinto una gara importante, per un’avventura straordinaria, per avere sentito e poi magari rivisto dopo decenni un vero amico o altro di questo genere.

Innanzitutto quando si parla di emozioni, principalmente ci riferiamo a una sola emozione, cioè a quella della felicità, ma il punto è che di emozioni ne esistono altre e quasi tutte negative, cioè la tristezza, la rabbia, il disgusto e la paura, poi c’è anche la sorpresa che a seconda delle circostanze può essere piacevole ma anche spiacevole: incrociare un serpente velenoso nella foresta è una spiacevole sorpresa, mentre scoprire di avere vinto al superenalotto una cifra a sei zeri è una piacevolissima sorpresa. La felicità, la sorpresa e il disgusto sono associate a modificazioni psicofisiologiche che sono sotto il controllo dell’ipotalamo, del talamo, dell’amigdala, dell’ippocampo e del giro cingolato, con un abbassamento della frequenza cardiaca, mentre con la rabbia (o collera), con la paura e con la tristezza si innalza la frequenza cardiaca.

Con la rabbia e la felicità, insieme a un cambiamento della frequenza cardiaca, si innalza la temperatura cutanea con un coinvolgimento, e questo vale per tutte le emozioni, del sistema nervoso autonomo con i suoi due sottosistemi, cioè quello simpatico e quello parasimpatico che funzionano come regolatori del funzionamento degli organi interni quando ricevono segnali esterni di un certo tipo, ma anche interni all’organismo stesso tra cui il più importante di tutti è il cuore. Quante volte nel rivedere, dopo tanti anni, un figlio residente all’estero, dopo l’incontro affermiamo: “il mio cuore ha provato una grande emozione”, quando sappiamo benissimo che il cuore non prova niente, ma è il nostro sistema nervoso centrale a provare ed elaborare qualcosa. A suscitare tanto interesse per le emozioni sono stati filosofi e scrittori in un lontano passato, in primo luogo Aristotele che ne parlò nel suo De anima, ma anche in tempi relativamente recenti. Nel XVII secolo a parlare di emozioni sono stati Baruch Spinoza e Cartesio (René Descartes), poi, nel XX secolo Sigmund Freud le utilizzò nel contesto psicopatologico e terapeutico.

Insomma, a parlare delle emozioni fondamentali sono stati in molti, anche se a me pare che chi lo ha fatto con una maggiore competenza rispetto a tutti gli altri sia stato Charles Darwin, perché ne ha fatta una descrizione soprattutto comparativa, cioè mettendo a confronto le emozioni che provano gli esseri umani con quelle che provano alcune specie di scimmie, per esempio gli scimpanzé: emozioni come risposte adattative all’ambiente, o per meglio dire, coordinate ereditariamente, sebbene oggi, più di ieri, la teoria su cui si lavora maggiormente per comprenderle appieno sia di tipo cognitivo, per esempio quella dell’appraisal, fenomeno importantissimo che serve a preparare un individuo, per motivarlo e per poi alla fine metterlo nelle condizioni migliori di rispondere adeguatamente alle variazioni ambientali.

Esistono molti manuali sulle emozioni scritti in tutte le lingue del mondo e in molte Facoltà di Medicina e Biologia sono giustamente materia d’esame. Oggi, quindi, sulle emozioni sappiamo moltissimo, ma quello che invece sappiamo di meno, rifacendoci alla domanda che ci siamo posti all’inizio di questo articolo, è: perché esiste e continua a esistere questa contrapposizione tra emozione e razionalità e perché noi uomini abbiamo sempre propeso nel dare molta più importanza a quest’ultima rispetto alla prima? Perché essere razionali per noi è sinonimo di intelligenza, saggezza o altro di questo genere, quando nella realtà non è così, quando sappiamo che per tenerci in vita, a volte, è più importante saper elaborare adeguatamente un’emozione, per esempio la paura, rispetto a un ragionamento razionale che possiamo fare su di essa basandoci poi su una valutazione che noi crediamo assolutamente obiettiva ma che forse non lo è?

Quasi sempre pensiamo che le cose stiano nel modo in cui pensiamo che siano razionalmente. La domanda quindi è: la ragione è la fonte unica e principale della conoscenza e della verità? Allora, dove sono andati a finire l’intuito, la predisposizione a fare una cosa piuttosto che un’altra e i nostri comportamenti coordinati ereditariamente, cioè quelli innati? Non è forse che al pensiero razionale sia sempre stato attribuito un valore eccessivo, e che poi questo ci abbia portati spesso fuori strada? Come sostenevano gli scienziati psicologi Stanley Schachter e Jerome Singer quando hanno costruito un nuovo modello cognitivo attivazionale, chiamato “Teoria della doppia competenza emozionale”, non sarà che le emozioni dipendono soprattutto dall’interpretazione cognitiva che un individuo fa dei suoi cambiamenti fisiologici, soprattutto quando si trova in un certo contesto sociale piuttosto che in un altro?

Senza entrare nei particolari di questa sperimentazione molto interessante, potremmo semplicemente dire quanto sia facile, in questi casi, la manipolazione di qualcuno da parte di qualcun altro, indipendentemente dall’attivazione fisiologica specifica indotta e fondamentalmente utilizzata per ingannare. Che cosa c’entra tutto questo con la razionalità? Semplice, nessun ragionamento razionale avrebbe potuto prevedere che un’attivazione fisiologica di un certo tipo avrebbe potuto spingere tanto facilmente un individuo verso una determinata risposta, in verità relativa a un’altra emozione, per esempio con uno stato euforico o un comportamento piuttosto aggressivo non previsti. Queste cose le sanno molto bene gli psicologi delle emozioni e persino i pubblicitari. Spesso alcuni politici, senza saperlo, se ne servono ambiguamente.

Questo non vuol dire che non si debba essere sempre razionali ma che qualche volta, quando si tratta di prendere delle decisioni immediate, è meglio affidarsi più che altro al ruolo che hanno le emozioni nella nostra vita quotidiana. Come disse il Professor Edoardo Boncinelli, un conto è prendere una decisione che riguarda la scelta sulla nostra futura Facoltà universitaria, potremmo pensarci e rifletterci razionalmente per mesi interi se non per anni, un altro è per un ragazzo se accettare o non accettare all’istante l’invito di una bella ragazza. Spesso decidere su una base emotiva è meglio che decidere su una base razionale, come nell’ultimo caso. Quando siamo distratti mentre guidiamo e ci troviamo improvvisamente di fronte un pedone che ci attraversa la strada, in quel momento non dobbiamo stare a pensare come fornire una risposta il più razionale possibile, ci vorrebbe troppo tempo, dobbiamo rispondere all’istante per non mettere in pericolo la vita del pedone e per non pagarne poi le conseguenze.

Per concludere, quando all’inizio si diceva del ruolo importante che oggi, soprattutto i giovani, attribuiscono alle emozioni (a volte illusoriamente) spesso ricercandole, in particolare quella della felicità, a discapito dei ragionamenti razionali in quanto la ragione non sarebbe secondo loro risolutiva ai fini dell’esistenza, ebbene, in un certo senso hanno ragione, bisognerebbe solo conoscere meglio come funzionano le emozioni e come esse possono essere in realtà manipolate dagli altri, sia in buona sia in cattiva fede. Allora sì che poi la razionalità potrebbe aiutarci nella nostra quotidianità. Quindi, molto dipende dal tempo che abbiamo a disposizione per fare una scelta piuttosto che un’altra, anche se spesso ciò che poi alla fine scegliamo di fare, inconsapevolmente, il cervello, in base alla sua grande esperienza, l’ha già deciso, anche se per una frazione di secondo prima di noi, ma quasi sempre avvedutamente.