‘Come realizzare un mondo dove regni la pace?’

Primo fondamentale passo è realizzare la pace dentro di noi, esseri umani ancora in uno stato di coscienza adolescenziale con la pretesa di essere già adulti.

Se la gente iniziasse a non fregarsene di ciò che accade nel mondo, credendo che riguardi solo quei popoli massacrati, se iniziasse a pensare che invece riguarda tutti le cose cambierebbero. Se ogni essere umano rivolgesse lo sguardo al proprio mondo interiore, abitato da pensieri di rabbia, di rancore, di odio, di violenza e facesse pace dentro di sé allora sì, il mondo esteriore rifletterebbe tale pace, ma così non è, purtroppo si fugge da tali emozioni e così facendo esse ingrassano come le oche imboccate violentemente al solo scopo di produrre il succulento foie gras. Povere oche e poveri noi, imboccati con tutto ciò che il mainstream impone come necessario per essere successful, distratti dai giochini che l’élite offre lucifericamente con lo scopo di mantenere l’illusoria credenza di essere così felici.

L’umanità si dovrebbe emancipare dal bisogno di dipendere da entità esterne, che siano capi di stato, autorità religiose, rappresentanti del popolo che, nella quasi totalità, rappresentano solo i loro affari e il loro potere, in altri termini dovrebbe emanciparsi dal padre. Diventare adulti significa emanciparsi dalle figure genitoriali, divenire indipendenti nel pensiero e nell’azione. Non delegare ad altri le scelte, ribellarsi al pensiero lineare, unico che impone ciò che la gente deve desiderare e comprare, cosa deve pensare, come deve comportarsi per sentirsi integrata nella società, che impone ideologie disumane e disumanizzanti che nulla hanno a che vedere con il benessere e l’evoluzione coscienziale dei popoli.

Le guerre di cui tutti siamo testimoni sono gli strumenti utilizzati dall’élite per dominare e addirittura annientare i popoli, creano l’antefatto per giustificare le loro nefandezze, e pensate che gli importi dei morti innocenti?

Il mondo riflette la coscienza degli uomini.

Questa è l’amara verità e come disse un grande filosofo del IV sec. a.C., Diogene di Sinope detto il cinico:

La verità è una punta, la più sottile e la più fine, più dura di un diamante; non può essere spezzata, consumata o spuntata. Il suo solo difetto è di ferire immancabilmente chi la tocca; e probabilmente di spillare sangue, e magari la linfa vitale, di coloro che zelantemente la opprimono.

Diogene fu uno dei principali rappresentanti della scuola cinica, un movimento che promuoveva uno stile di vita semplice, naturale e libero da desideri superflui. Egli ci invita a vivere secondo natura, ma in questo mondo artefatto, artificioso, innaturale è possibile vivere secondo natura?

Certamente, liberandosi da ciò che è fittizio, dai falsi e indotti bisogni, dalla morale che pietrifica l’energia vitale, dal voler possedere ogni cosa, financo le persone, dal mercificare sentimenti, corpi, idee. Il filosofo suddetto aveva scelto di vivere in una botte abbandonata, assecondando il rifiuto del possesso e promuovendo con coerenza la sottrazione, nudo, essenziale, privo di filtri e spogliato di qualsivoglia maschera, senza vergogna.

Armato unicamente di una lanterna accesa, Diogene camminava cercando l’uomo, l’essere umano autentico e degno di se stesso. La sua è una provocazione che invita a riflettere su quanto l’uomo sia lontano dall’autosufficienza e condizionato dalle convenzioni sociali.

Secondo il saggio il vero potere è non avere padroni, essere libero dalle dipendenze materiali. Diogene utilizza l’ironia come strumento di critica sociale.

Per esempio, si racconta che, quando Alessandro Magno gli chiese se potesse fare qualcosa per lui, Diogene rispose: "Smetti di bloccarmi il sole", sottolineando il suo desiderio di vivere libero da ogni potere o influenza esterna. Alessandro Magno fu colpito dalla sua risposta e disse che se non fosse stato un uomo potente avrebbe voluto essere come Diogene.

Nel Dialogo tra Platone e Diogene, una lettura che consiglio vivamente, Diogene chiama potente l’uomo che controlla le tempeste della sua mente, e trasforma in vantaggio le peggiori disgrazie del suo destino. Ma il grand’uomo è qualcosa di più, dev’essere capace di fare questo e deve avere un’intelligenza che metta in moto quella degli altri poiché non ha niente da temere o sperare da un altro uomo.

Il grande uomo ha il controllo dei suoi pensieri, può selezionarli, trattenerli, mandarli via o metterli insieme, mentre gli imbecilli non possono farlo poiché i loro pensieri sono dispersivi, incerti, intrisi di desideri fallaci, contaminati dall’ambizione e quindi deboli.

Certamente se guardiamo agli uomini di potere possiamo constatare quanto siano distanti dalla visione di Diogene, rasati e col viso pulito ma con le mani sporche.

Colloquiando con Platone sulla questione del potere, Diogene così parla:

Provo simpatia per gli uomini coraggiosi nell’avversità e nell’afflizione, perché sento nel mio petto la fiamma che brucia nel loro, e non ne provo per gli altri perché nelle nostre vene scorre un sangue diverso. Non ho più simpatia per la specie umana in generale di quanta ne abbia per gli uccelli, i pesci e gli insetti. Siamo fatti certamente della stessa sostanza, ma non abbiamo la stessa anima né lo stesso spirito. E tuttavia cerca nella tua memoria e dimmi se puoi ricordare che, con le mie azioni, abbia mai inflitto una sofferenza, fisica o mentale, a una creatura dotata di ragione.

Nessun despota o conquistatore eserciterebbe invero la sua autorità, nemmeno per un’ora, se il mio braccio o le mie esortazioni potessero ridurlo all’impotenza. Ma che dico, nessuno lascerebbe la terra senza essere stato fustigato, condannato e ricoperto d’ignominia sulla pubblica piazza della città dove ha governato. È il solo mezzo che conosco per persuadere gli uomini della giustizia divina. Ed essi non dovrebbero mai esserne persuasi se ci fosse bisogno che venissero convinti dell’equità dei loro simili, anche se questa è imperfetta. Perché i despoti infliggono più sofferenze fisiche di quante il corpo possa sopportarne.

Così ora vedi tutta l’ampiezza di quella che chiamavi la mia crudeltà. Noi che abbiamo la barba arruffata siamo giudicati crudeli per vocazione o per scelta, mentre coloro che hanno il volto rasato di fresco e i capelli profumati sono tacciati di crudeltà solo nei momenti di calma o quando si placa la loro irritazione.

Concludendo Diogene ci invita ancor oggi a spogliarci di tutte le maschere, le etichette, le categorizzazioni che ci allontanano dalla nostra vera essenza, di uomini liberi e liberati dal superfluo, che si autodeterminano e che vivono armoniosamente nella natura come un’unità indivisibile.