Stavo facendo le fotocopie, quando ho notato a terra un pezzo di carta.

Tempo di finire le fotocopie – penso – e lo raccolgo per gettarlo nella spazzatura.

Forse è caduto dalla tasca di qualcuno un attimo prima o forse, quel qualcuno, lo ha gettato con indifferenza a terra.

Il ragazzo che lavora proprio accanto alla nostra segreteria passa accanto a quella pallina di carta. La vede. Le dà un lieve calcio, giusto per spostarla fuori dalla sua visuale. É un gesto impercettibile, solo un passo più lungo che permette al piede di colpire la carta, senza modificare la camminata, né deviare la direzione.

La fotocopiatrice finisce il suo lavoro, riordino i fogli, faccio tre passi, mi abbasso, raccolgo il pezzo di carta e lo butto nel cestino.

Il migliore riconoscimento per la fatica fatta non è ciò che se ne ricava, ma ciò che si diventa grazie ad essa.

(John Ruskin)

Abbiamo perso il valore della fatica. Abbiamo smesso di apprezzare gli sforzi. Ci accontentiamo del premio per la partecipazione. Convinti che tanto ci penserà qualcun altro, diamo un calcetto ai pezzetti della nostra vita e facciamo rotolare via le nostre responsabilità.

Questo tempo moderno ci permette di vivere vite comode e di assecondare la gratificazione immediata, eppure senza impegno, senza fatica, senza sacrificio non c’è crescita. E quando non stai evolvendo, stai regredendo. Lo dicono gli studi e le ricerche, lo mostrano la Regola di Riccioli d’Oro e la Teoria della U Invertita, te lo spiego nelle prossime righe.

Goldilocks Rule per la vita

Ricordi la favola di Riccioli d’Oro?

È quella in cui una bambina dai lunghi capelli ricci e biondi si perde nel bosco ed entra nella caverna dei tre orsi per trovare riparo. Lì trova tre sedie di misure diverse: piccola, media, grande. Una volta provate tutte, si accomoda su quella di mezzo, adatta alla sua statura per poter mangiare una scodella di zuppa. Assaggia un cucchiaio per ogni scodella e sceglie quella con la temperatura migliore, né troppo calda, né troppo fredda.

Infine, si accomoda su uno dei tre letti e… indovina? Si adagia su quello più comodo per lei.

Da qui la Regola di Riccioli d’Oro che dice che gli esseri umani sperimentano la massima motivazione quando lavorano su compiti poco al di sopra delle proprie capacità.

Né troppo difficili, né troppo facili. Semplicemente il giusto: just right.

Dalla fiaba alla psicologia è un attimo.

Questa regola trova fondamento anche in ricerche psicologiche più recenti, come la legge di Yerkes-Dodson, che approfondisce il rapporto tra attivazione e prestazioni.

Nel 1908 gli psicologi Robert M. Yerkes e John Dillingham Dodson sviluppano una teoria secondo cui esiste una correlazione tra l'arousal o l'eccitazione emotiva e le prestazioni cognitive o comportamentali.

Secondo la legge di Yerkes-Dodson, c'è una curva a forma di U invertita che rappresenta questa relazione. Questo significa che esiste un livello ottimale di stimolazione per ottenere le migliori prestazioni. L’attivazione mentale ed emotiva, però, è utile fino a un certo punto: se è troppo bassa siamo demotivati, se è troppo alta ci sentiamo sopraffatti.

In altre parole, conviene fare come Riccioli d’Oro e trovare la misura migliore per te stesso. Trovare la misura richiede di fare dei tentativi e di sbagliare prima di ottenere risultati concreti e soddisfacenti.

In due parole: fare fatica.

La fortuna non è dovuta al caso ma alla fatica, il costoso sorriso della buona sorte si deve guadagnare.

(Emily Dickinson)

Eppure i più evitano la fatica come la peste, a tal punto da spostare con un piede quel piccolo pezzo di carta piuttosto che raccoglierlo. E il modo in cui fai una cosa, è il modo in cui fai ogni cosa.

Questo atteggiamento diventa osservabile, quindi, nel lavoro, negli hobby, in famiglia e nelle relazioni. Scalciare via la fatica si traduce nell’attribuire la responsabilità della propria condizione all’esterno, agli altri, al mondo brutto e cattivo.

Il rischio, nel lungo periodo, è prendere l’abitudine a muoversi sull’asse piacere – dolore: faccio ciò che mi dà piacere, evito ciò che mi dà dolore. Prendendo le proprie decisioni in base a questo principio, la mia parte adulta viene messa in ombra da una parte più antica, meno evoluta, più bambina, incapace di gestire le emozioni e gerarchizzare i bisogni.

Preda di sensazioni sgradevoli, rapite da emozioni fuori controllo, le persone vivono una costante frustrazione dei bisogni reali che porta al mal-essere. E per mal-essere intendo proprio essere male, provare dolore, insoddisfazione, mancanza di significato.

E come uscire da questo mal-essere?

Attraverso la fatica. La fatica di osservarsi nei processi, nelle dinamiche, nelle modalità di pensiero, nelle azioni e nelle relazioni. La fatica di prendersi la responsabilità dei propri comportamenti per accedere alla possibilità di poter cambiare, evolvere, migliorare, essere bene.

Vivere nel ben-essere.

Uno dei miei valori personali è la fatica. Questo valore si traduce in uno dei principi dello sviluppo personale integrato che propongo nel counseling e nei workshop. Ma non la fatica fine a sé stessa, quella che nasce dalla spinta psicologica “sforzati”, no. La fatica di passare attraverso tutte le resistenze al cambiamento, all’evoluzione per arrivare a essere migliori, un pezzetto di carta alla volta.

Starsene nella zona di comfort, là dove non c’è arousal, è come accontentarsi di una sedia troppo piccola, di una zuppa troppo fredda e di un letto troppo scomodo. In medio stat virtus, lo diceva già Aristotele. All’apice della U invertita c’è il punto just right, lo dicono Yerkes e Dodson. Nella fatica di fare dei tentativi, si trova la propria misura, racconta la favola di Riccioli d’Oro.

Prova a metterti alla prova oggi: scoprirai che il vero ben-essere arriva solo dopo la fatica.