Esistono luoghi al mondo la cui essenza trascende la mera dimensione fisica, trasformandosi in autentici paesaggi interiori, custodi silenziosi di emozioni profonde e identità molto più stratificate di quanto non sembrino ad un occhio poco allenato. Venezia è senza dubbio la serenissima di queste essenze di questi, città che respira storia e malinconia ad ogni canale, nei riflessi dorati sull'acqua.

Tra gli artisti che hanno saputo decifrare e restituire questa dimensione intrinseca, pochi hanno eguagliato la profondità e la sensibilità di Fulvio Roiter. Egli non si è limitato a ritrarre la bellezza visibile delle lagune, svelando invece le sue geografie dell’anima. Tramite questo invito, ha spinto l’osservatore, parte integrante dell’esperienza artistica, ad un viaggio che andasse oltre la superficie lucida delle sue acque. Con l’approccio di Roiter, e la sua tecnica distintiva, Venezia, sotto il suo obiettivo, si è trasformata da semplice soggetto in una vera e propria entità narrativa e sentimentale.

Uno sguardo che nasce e cresce

Fulvio Roiter nasce a Meolo, in provincia di Venezia, nel 1926, e si diploma come perito chimico, esaudendo le aspettative familiari. Se consideriamo la chimica come parte del processo fotografico, nella stampa degli scatti che verranno e lo celebreranno come uno dei giganti della fotografia italiana, allora Fulvio Roiter ha un percorso lineare. La verità sta nel fatto che quando si hanno gli occhi fatti per respirare tramite il mirino, abbandonare la propria visione è pressocché impossibile, e Roiter non se ne distacca.

Il suo percorso nel mondo della fotografia iniziò ufficialmente nel 1947, sebbene la sua attività divenne professionale a tutti gli effetti dal 1953. Già nel 1949, Roiter aderì al circolo fotografico La Gondola di Venezia, fondato due anni prima dall'amico Paolo Monti, esperienza che segnò profondamente la sua visione artistica. Il 1953 fu un anno cruciale, segnato dal suo primo viaggio fotografico in Sicilia, l'inizio di una lunga serie di spedizioni in ogni angolo di mondo. La pubblicazione, nel gennaio del 1954, di alcuni suoi scatti siciliani sulla prestigiosa rivista Camera segnò il suo debutto ufficiale sulla scena internazionale.

Dopo aver realizzato numerosi reportage per diverse riviste, Roiter pubblicò nello stesso anno, il 1954, il suo primo libro fotografico: il volume in bianco e nero Venise à fleur d'eau, dedicato interamente a Venezia.

Il libro fotografico fu sin dal principio il contenitore e veicolo ideale dell'opera artistica di Fulvio Roiter. La sua completa dedizione verso questo formato gli valse numerosi riconoscimenti, primo tra tutti il Premio Nadar, nel 1956. Roiter vinse la seconda edizione con il suo volume Umbria. Terra di San Francesco (Ombrie. Terre de Saint-François), composto esclusivamente da foto in bianco e nero. La consacrazione sulla scena internazionale arrivò però con il libro Essere Venezia del 1977.

Stampato in quattro lingue con una tiratura di circa un milione di copie, questo volume divenne un best seller unico per l'editoria fotografica, e gli valse il Grand Prix a Les Rencontres de la Photographie d’Arles nel 1978. Nel corso della sua carriera, Fulvio Roiter ha pubblicato circa un centinaio di volumi fotografici, frutto dei suoi innumerevoli viaggi, e visioni, in ogni parte del mondo.

La sua visione artistica è stata segnata da una profonda ricerca di autenticità, una volontà di andare oltre la rappresentazione superficiale per cogliere l'essenza più recondita del soggetto, sebbene a pelo d’acqua. Roiter non era interessato alla mera documentazione, piuttosto ad un'interpretazione sentita e personale della realtà, in un colloquio intimo tra l'occhio del fotografo e il cuore del luogo.

Il bianco e nero che indagano le essenze

La sua predilezione per il bianco e nero non rappresentava una limitazione tecnica, quanto più una scelta filosofica consapevole, tanto da costituire il potente strumento espressivo e comunicativo durante tutta la sua esperienza. Roiter impiegava questa filosofia bicroma, fatta di sfumature di grigi, orme sulla neve, rami che ricordavano i cieli di vetro Pascoliani, per spogliare la realtà dal superfluo, spesso cromatico.

Costringendo l'occhio a concentrarsi sulle forme, sui contrasti di luce e ombra, poteva rivelare una verità fatta di linee pulite, e l'anima intrinseca dei soggetti, anche quando non avevano nome. La tecnica permetteva di creare immagini con una precisione scientifica, tramite cui le forme naturali ed urbane potevano essere trasfigurate e trascese, in composizioni suggestive, cariche di simbolismo.

Il bianco e nero di Roiter non era assenza di colore, era esaltazione di luce e ombra, capace di scavare nelle profondità emotive e di evidenziare dettagli che altrimenti sarebbero andati persi nella cromatica ridondanza dei paesaggi. Attraverso questa lente, i suoi luoghi, la sua Venezia, si rivelavano in una purezza essenziale, fatta di chiaroscuri millenari e lagunari.

Le geografie dell'anima: Venezia oltre il visibile

Il concetto di geografie dell’anima trova in Fulvio Roiter, e nella sua Venezia, una delle sue massime espressioni. Al di là di della mera mappatura topografica o di una documentazione paesaggistica, queste geografie rappresentano visivamente emozioni, ricordi collettivi, atmosfere sottili, silenzi e le malinconie intrinseche che la città lagunare evoca e custodisce da secoli.

Le sue fotografie diventano dei veri e propri ritratti psicologici di Venezia, capaci di mostrare non solo la sua grandezza storica e architettonica, ma anche la sua fragilità, una solitudine quasi palpabile ed una magia senza tempo. Roiter ci invita a sentire la città, a percepirne le vibrazioni, a leggerne la storia incisa nelle pietre e riflessa a fiore d’acqua.

In questo senso, Venezia non era per Roiter un semplice soggetto da immortalare, ma musa e co-protagonista delle sue opere: il suo sguardo era attratto dall'insolito, dall'angolo nascosto, dalla vita quotidiana che si svolgeva lontano dalle folle, dalle sfumature di luce all'alba o al tramonto, in atmosfere velate dalla nebbia. Roiter cercava e trovava la Venezia più autentica, quella che respira nelle calli silenziose, che si rifletteva nelle acque increspate dei rii meno battuti, che pulsava nei gesti lenti dei suoi abitanti. Venezia, sotto il suo obiettivo attento, si trasformava in un'entità viva, intrisa di una femminilità audace e indipendente, un'anima complessa e mutevole che si rivelava in ogni scatto. Le sue fotografie mostrano una Venezia dinamica, in costante dialogo con la luce e l'acqua, una narrazione visiva che ne catturava la profonda essenza.

L'uso magistrale della luce e dell'ombra da parte di Roiter è fondamentale per creare questa profondità emotiva e per evocare un senso di mistero che svela l'immateriale. Modellando la luce per disegnare i contorni, aggiungeva strati di significato all’immagine. Ad indagare le profondità universali che ricerca non è solo la luce del sole, ma anche quella che si insinua negli angoli più bui, rivelando ciò che è nascosto. Il silenzio visivo nelle sue fotografie è parte dei suoi elementi distintivi. Tramite immagini che sono spesso quiete, quasi sospese nel tempo Roiter riesce a comunicare sensazioni profonde senza il frastuono o ridondanza, invitando l’osservatore alla contemplazione ed a riempire questi spazi con le proprie emozioni e riflessioni.

Le presenze umane e l’eredità di Roiter

La presenza umana, o talvolta la sua eloquente assenza, contribuisce in modo significativo a definire queste geografie dell'anima. Quando presenti, le figure umane sono spesso integrate armoniosamente nel paesaggio, quasi fossero elementi organici della geografia stessa, non intrusi ma parte integrante dell'anima veneziana. Sono i pescatori al lavoro, le donne affacciate ai balconi, i bambini che giocano nelle calli; non sono solo individui, ma incarnano lo spirito di una comunità, le sue tradizioni e la sua resilienza.

L'assenza di figure, d'altro canto, può amplificare la sensazione di un luogo "animato" dalla sua stessa storia, dalle sue leggende e dalla sua atmosfera unica, consentendo all'osservatore di percepire la "voce" di Venezia nel silenzio delle sue pietre e delle sue acque. Questa dualità, tra presenza e assenza, tra animazione e quiete, rivela le molteplici sfaccettature dell'anima nascosta di Venezia.

Venezia, attraverso l'obiettivo di Roiter, si eleva da città-icona a simbolo universale. Essa diventa un archetipo di quei luoghi che possiedono un'anima profonda, che ci parlano, che ci provocano emozioni e che ci lasciano un'impronta indelebile nell'anima. Roiter, con le sue immagini, ci ha mostrato come l'architettura, l'acqua, la luce e l'ombra possano trasformarsi in un'esperienza emotiva e spirituale autentica.

In conclusione, il contributo unico di Fulvio Roiter risiede nella sua straordinaria capacità di svelare le geografie dell'anima dei luoghi che ha abitato e visitato. Rendendo visibile l'invisibile, ha trasformato il paesaggio urbano in un regno di sentimenti e riflessioni. La sua opera, in questo senso, invita lo spettatore a un'esperienza estetica profonda e personale, che aprendo la mente a nuovi scorci di interpretazione e di connessione con il mondo.

La fotografia di Roiter ci insegna l'importanza di capire e rispettare non solo ciò che ci nutre, ma anche i luoghi che ci circondano, riconoscendo che dietro il riflesso, l’ombra, c'è una storia universale e particolare, un universo in nuce, sulla carta stampata, lucida a volte, come i suoi scatti di vita.