Qualche tempo fa, nel corso di una conversazione via whatsapp con un gruppo di amici, ho fatto questa domanda: che c’è che mantiene “costanti” le costanti?
Le persone con cui stavo parlando hanno tre cose in comune: sono di qualche anno più giovani di me, hanno una solida base accademica in materie scientifiche, e sono prevalentemente agnostici.
La conversazione non aveva lo scopo di convincere nessuno. Non ho problemi nel rapportarmi con persone che hanno un’idea del sacro diversa dalla mia, o che mancano di un’idea dal sacro. Però sono curioso, e piuttosto ignorante per quanto riguarda le materie scientifiche. In matematica ero un disastro, in fisica non ne parliamo. Le ho sempre trovate desolantemente aride rispetto alle materie umanistiche, ma è una mia percezione, peraltro errata, frutto di incontri poco piacevoli con le suddette materie durante gli anni della scuola.
Nella mia ignoranza, so però che nell’universo esistono delle costanti, come la velocità della luce e la gravitazione. In un certo senso, sono le leggi fondamentali che sostengono la realtà. So anche, perché ricordo di averlo studiato, che il secondo principio della termodinamica dice che la realtà si sposta continuamente verso l’entropia. In altre parole, che tutta la realtà tende a passare da uno stato di ordine a uno stato di caos, e che quest’ultimo aumenta con il tempo.
Prendendo per veri questi presupposti, com’è che le costanti non vengono alterate dall’entropia? Cos’è che le mantiene “immuni”, come si dice in gergo?
Non lo sapevo, ma stavamo discutendo di un tema molto spinoso. A quanto pare, la teoria è che l’entropia ha effetto su tutta la realtà, ma non sulle costanti che permettono alla realtà di esistere. Il discorso mi suonava familiare.
Ricordo una conversazione molto interessante con l’ abate del tempio Myōshinji in Hokkaidō. Stavamo discutendo il concetto di kū 空 , o “vuoto”, cioè il fatto che tutto quello che esiste è stato portato in essere da qualcos’altro, quindi non c’è nulla di autosufficiente e indipendente. Questa è una delle principali obiezioni che il Buddhismo muove all’idea di Dio come concepito nel Cristianesimo. L’abate mi spiegò che nella prospettiva buddhista il “vuoto” è la verità di tutto ciò che esiste, ma questa verità non è “vuota” a sua volta. Cioè, mentre tutto cambia e si trasforma, la verità relativa all’esistenza caratterizzata da kū 空 non cambia mai. È, in un certo senso, al di sopra e al di fuori della realtà mutevole e impermanente.
Un discorso estremamente simile viene proposto dai molti teologi cristiani, compreso Tommaso d’Acquino, in riferimento al fatto che Dio si colloca al di fuori del tempo e dello spazio, quindi non è soggetto alle loro limitazioni. Ciò è perché Dio non è solo la prima causa della realtà, simile al motore immobile di Aristotele, ma è anche il fondamento su cui la realtà risiede.
Confrontando le rispettive posizioni:
Questo naturalmente non vuol dire che Shakyamuni o Cristo avessero le conoscenze di fisica di cui disponiamo oggi, o una visione dell’universo basata su osservazioni dirette e calcoli matematici. C’è però una congruenza interessante per quanto riguarda la strategia usata per risolvere il problema: sia nella fisica che nel buddhismo che nel cristianesimo, ciò che sorregge la realtà è all’esterno di essa e da essa non è influenzato.
A mio modo di vedere, la risposta alla domanda “cos’è che mantiene costanti le costanti” non è difficile. È indigesta per chi ha scelto di vedere il mondo solo in termini di dati empirici verificabili.
Ciò premesso, è doveroso fare una precisazione. Gli esseri umani tendono per loro natura a vedere schemi e collegamenti dovunque, anche dove in realtà non ce ne sono. Gli esempi eclatanti non mancano, come i cosiddetti “Canali su Marte” che l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli credette di avere individuato nel 1877, e il “Volto di Marte”, fotografata dalla sonda Viking 1 nel 1977, da alcuni ritenuta una formazione artificiale fino a quando nuove immagini a più alta risoluzione permisero di identificarla come una semplice formazione rocciosa.
Sottolineare dei potenziali paralleli tra scienza e teologia non equivale, e non autorizza, a considerare la questione risolta in maniera definitiva. Esiste la possibilità concreta che questa convergenza sia dovuta al fatto che sia gli scienziati che i teologi affrontano gli stessi problemi fondamentali, e trovano quindi risposte che in una certa misura si assomigliano.
Se c’è una cosa di cui la scienza ha fornito ampie dimostrazioni è che la realtà è così complessa da sfidare qualsiasi spiegazione semplicistica, soprattutto quella del materialismo puro.