Spirito ardente, Gabriele d’Annunzio intrattenne connessioni e rapporti con l’estero, estremamente vari e degli di nota. Analizzando gli aspetti prettamente artistico-letterari e volgendo lo sguardo verso Gran Bretagna e Irlanda, si noterà che il Vate mutuò molto dalla cultura d’oltremanica, della quale adottò il gusto estetico d’avanguardia, nonché l’impareggiabile preraffaellismo nell’uso di simboli e nella creazione di versi.

Emanuela Borgatta, docente, scrittrice indipendente ed articolista cura un saggio documentato, risultato di un pluriennale lavoro di ricerca in ambito dannunziano. Passando per le scoperte incontrate durante il percorso, l’autrice di D’Annunzio – Connessioni d’Oltremanica, edito da Ianieri Edizioni (in versione: italiano-inglese), ci guida verso un d’Annunzio inedito: un nuovo viaggio (accessibile a tutti e rivolto sia ai lettori italiani, sia ai lettori anglosassoni) a testimonianza dell’eterna contemporaneità del Poeta.

Il volume è accompagnato dalle introduzioni di Franco Di Tizio e Rebecca Lipkin, nonché da un corollario di interviste a scrittori e curatori; fino ad arrivare a un incontro con Giordano Bruno Guerri, dedicato al futuro del Vittoriale.

Di seguito, proponiamo un estratto dedicato all’ammirazione di d'Annunzio per il pittore Alma-Tadema.

Alma-Tadema nasce l’anno precedente l’ascensione al trono della Regina Vittoria e più di ogni altro è in grado di tradurre in pittura i desiderata e le contraddizioni di un’epoca che cerca, a tutti i costi, di sublimarli nelle opere d’arte.

I dipinti commissionati da istituzioni pubbliche e private privilegiano atmosfere oniriche, ideali femminili beatificati o demonizzati ma sempre irraggiungibili, chiaramente ispirati ad una fittizia antichità. Durante la sua lunga, poliedrica carriera (anch’egli forte dell’appoggio di John Ruskin) cambia spesso stile e contesti, passando da una raffigurazione di ispirazione greco-romana a soggetti merovingi ed egizi, pur mantenendosi preraffaellita nello sviluppo tecnico, lavorando prettamente su tele precedentemente dipinte di bianco, in modo da esaltare la luminosità delle pennellate apposte successivamente.

Il mirabile gusto nel disegnare le venature del marmo ne decreta l’unicità stilistica, così come l’inimitabile tocco nel creare paralleli tra l’Antica Roma e l’età d’oro dell’Impero Britannico, per incontrare il gusto dei mecenati dell’epoca, anche grazie a sottili rimandi erotici.

Venature e rimandi che non passano inosservati all’attento occhio del Vate, come dimostra la descrizione della pennellata di Alma-Tadema, tramite la quale d’Annunzio coglie con immediatezza preraffaellismo e simbolismo. In occasione dell’Esposizione di Belle Arti in Roma del 1883, infatti, pubblica sul Fanfulla svariati articoli, di cui riportiamo i più significativi estratti dalle pagine dedicate al pittore olandese, naturalizzato britannico:

È una pittura gemmea, qualche cosa come un pezzo raro di argenteria antica, qualche cosa come un gioiello carico di cesellature, un avorio scolpito e inciso, un alabastro miracolosamente traforato; così. Si resta lì a guardare, ad osservare, a ricercare con una curiosità di antiquario che abbia la passione dei cimelii, delle miniature sulla pergamena, dei fogliami esili intorno ai capitelli, dei frammenti di bassorilievi fioriti, dei cammei antichi; così. Effetto singolare: guardando, osservando, ricercando, da prima non si pensa a pittura, non si pensa ad opera di pennello sapiente paziente. Quelle tele paiono avere una rigidezza quasi jalina, una consistenza quasi di pietra dura; certi pezzi paiono ad intarsio, certi altri a musaico fiorentino, certi altri a smalto. Il colore qua e là prende come una trasparenza ambrata, quella specie di tono aureo diffuso di cui il tempo arricchisce i ritratti veneziani. Si sente che molti effetti di superficie e di qualità sono ottenuti con procedimenti tecnici seriissimi, con preparazioni di tinte sovrapposte per lo più. Il pennello non si vede mai, non si vede mai il tocco; la diversità di materia nelli oggetti che empiono quelli interni non è resa con la diversità della pennellata, con le grossezze, con le grattature, con i martellamenti, con i picchiettamenti, con tutti insomma quei piccoli mezzi di cui molti pittori oggi si servono. No; la fattura è uguale sempre, l'apparenza della tela colorita è sempre quella di una miniatura su una lamina liscia di avorio. Ma le differenze materiali risultano non di meno con evidenza mirabile, risultano per composizione di colore: i metalli sono metalli, i marmi sono marmi, i legni sono legni. Tutte quelle fini fioritura architettoniche e quelle suppellettili sacre e quelli ornamenti eleganti; tutti quei fondi mitemente armonici di pareti a rilievi e di colonne a fuga sono studiati ed eseguiti con amorosità ricercatrice, con una minutezza instancabile, con una cura eguale. Pare che l'artista prediliga tutte quelle cose morte; tutta quella in animata compostezza di statue pare che per lui abbia un incanto. La marmoreità, per così dire, irrigidisce anche le figure umane che in quella luce si levano. Le carni prendono una nitidezza gemmea, le vesti non hanno fluidità di pieghe, non hanno mollezze. Pure, quelle figure attraggono: sono tipi finissimi, hanno tutti qualche cosa di signorile nell'atteggiamento e nell'espressione, pochissimo carattere di romanità. Il tipo muliebre amato da Alma Tadema è di chiome di un rosso ardente di oro, diafano nel viso, pieno di grazia tranquilla. Codesto ideale di bellezza antica, sognato da un fiammingo nelle primavere vaporose d'Inghilterra, appare quasi sempre in una tunica rosea o bianca; ha una castità di vergine nordica; ha le iridi di turchesia serene, talvolta attonite.

Lo sguardo indugia su una figura presente al centro del dipinto La Galleria della Sculture II, presaga del futuro preraffaellismo dannunziano:

Ma la figura di dea, che io vorrei avere dinanzi a me dipinta su una striscia di avorio, la figura ideale e dell'Atelier de Sculpture, alta, diritta, tutta in una veste rosea che fa pensare alla nudità. Pare balzata fuori da un meraviglioso pezzo di alabastro; è fulgente. La testa pura dalla pura bocca, dai puri occhi, si leva come in una specie di nimbo fiammeggiante, nel nimbo dei capelli rossi che coprono per due grandi ciocche la nuca. Il godimento sereno della contemplazione dell'opera d'arte le anima la faccia. Ella guarda, poggiata la mano su ‘l capo bruno di un fanciullo. [La modella, menzionata da d'Annunzio, è la seconda moglie di Alma-Tadema: Laura Therese Alma-Tadema, anch’ella pittrice]. Quella fanciulla dubbiosa, nell'insidia d'amore, ha dentro li occhi come uno stupore intento; pare come ascolti qualche cosa dentro di sé, un’eco del sussurro insidiante, un ondeggiamento d’abbandono che la invade, un vibramento sconosciuto che la turba. Ella resta perplessa, china verso il giovane, come in un fascino, con le dita su le labbra, con un braccio appoggiato alla spalliera di marmo: sulle ginocchia le rose le odorano, le vesti bianche fluiscono, e su quel bianco quasi caldo il busto legato con nastri d’amaranto mette un’armonia incerta di viola e di leggeri accenni gialli. Ella ascolta: su ‘l tono fine del cielo la sua chioma fa come una macchia d'oro rosso.

Simili i toni rapiti utilizzati per la descrizione della protagonista di Una Domanda:

In mezzo, luminosa, radiosa la donna bionda stacca dal fondo di marmo; ella solleva li occhi da un lungo papiro e li volge al quadro: è di una biondezza chiara, di spiche, anche nelle carni, anche nelli occhi; le pieghe di rosa la recingono voluttuosamente. Sotto di lei, il pavimento a mosaico bianco; intorno, un'area di poesia, un fascino raccolto di arte.

Per concludere, d’Annunzio si lancia in un brillante parallelo tra pittura e poesia:

E poi è curiosa, per noi avvezzi alli effetti larghi della macchia, alle sprezzature, alle trascuratezze, alle indecisioni del contorno, è curiosa quella ricerca fine di tutti li accessorii, quella pazienza sapiente di fiammingo che non tralascia un punto, che vede ogni cosa con una nettezza, con una purezza di intaglio inesorabile. Ma sono ingiusti coloro che giudicano le tele di Tadema come ricostruzioni archeologiche eseguite con più o meno felicità, soltanto. C'è in molte di queste tele, in vece, un senso finissimo di poesia, un amore di effetti pittorici, talvolta una arguzia amabile di artista che si compiace di certi atteggiamenti di certe espressioni colte nella realtà moderna della vita.