Nelle Etiopiche di Eliodoro il mito non è solo favola evasiva o pretesto narrativo, ma tende l’essenza del racconto manifestandosi quale “mito misterico” cioè mito depositario di sapienza iniziatica, mito vivente e rituale.

Quando Teagene, il “nato dalla dea”, incontra Cariclea, colei che reca la grazia, si attualizza il mito e la cerimonia religiosa celebrata inizia a vivere nel massimo della sua forza simbolica: il tessalo Teagene diventa simile ad Achille, di cui è discendente e Cariclea svolge il ruolo di Pentesilea, la donna guerriera devota della Grande Madre, figura simile a Teti. Achille amò Pentesilea, seppur si unì a lei solo alla sua morte.

L’incontro magico avviene al culmine della cerimonia che ricorda l’eroe Neottolemo, figlio di Achille, presso il suo sepolcro a Delfi e in occasione dei giochi Pitici. La festa serale dell’eroe diventa un reciproco ferimento d’amore che trasfigura le anime dei giovani. La visione si fa sintesi con l’azione e il rito continua nella vita. I giochi festivi del giorno dopo rappresentano come la continuazione dei giochi funebri per la morte di Neottolemo, così come era accaduto per Patroclo e Achille, e così come Odisseo vinse la gara della corsa per Penelope.

E i vincitori dei giochi si assimilavano agli eroi e ai semidei. Cariclea “investe” Teagene, lo premia, come Teti armò Achille. È infatti Cariclea che dona la fiaccola a Teagene per appiccare il fuoco alla pira su cui giacciono le offerte sacre. Senza questo gesto tutto il rito decade. La posizione di Cariclea è di superiorità su Teagene, come Teti era superiore a Peleo. Durante il corteo si canta infatti inneggiando a Teti, paragonata ad Afrodite, e solo in secondo piano ad Achille e Neottoleno.

I due cortei esprimono una forza mitica e simbolica notevole:

  • un’ecatombe di tori neri viene condotta da giovani vestiti di bianco e vestiti da contadini (mascherati come Crono) con scuri bipenni, segno della folgore e di Dioniso;
  • seguono suonatori di flauti e zampogne, strumenti di Dioniso;
  • il corteo delle donne tessale invece le vede danzare e recare sul capo vasi con offerte di fiori, mele, frutta e aromi, altro segno di Dioniso;
  • Cariclea appare vestita di porpora e oro con una cintura al petto, al mondo di Atena, fatta da due serpenti di oro scuro, segno della cottura della pietra filosofale e indice della grande madre di Creta, nonché del nume oracolare Pitone;
  • infine, si scorgono i cavalieri tessali vestiti di rosso e azzurro, segni del compimento dell’Opera;
  • Teagene invece appare vestito con gli stressi colori di Cariclea: porpora e oro. Sulla sua veste decorata la scena della lotta fra centauri e lapiti, antefatto delle Argonautiche; l’eroe reca una lancia di frassino, legno di Crono e cavalca un cavallo ricoperto di piastre aureoargentee.

Nel santuario di Apollo si celebra una ninfa del mare con il coinvolgimento di Artemide e secondo canoni di Dioniso. L’eccentricità risulta solo apparente: come ha evidenziato Calasso a Delfi Dioniso viene limitato e ridotto ma non scacciato del tutto dal luogo sacro. Il ratto simulato e notturno di Cariclea invece ricorda i rapimenti divini delle ninfe e i riti degli inseguimenti notturni dedicati a Dioniso. Questa intimità fra Dioniso e Apollo ricorda la parola “IAO” presente nell’iconografia dell’Abraxas, riferita ad entrambi. II L’ulteriore dimensione narrativa che manifesta simbolicamente il mistero è data dallo stesso viaggio che, prima quasi inconsapevolmente e poi sempre più lucidamente, li porta in Etiopia. Un viaggio sacro che parte dal santuario di Delfi, da Caricle sacerdote di Iside, guidato da Calasiri un sacerdote di Apollo, un viaggio verso il Sole. L’Etiopia è la Terra interna, la Terra nera, e quindi allude all’Alchimia stessa una delle cui immagini più antiche è data dal limo del Nilo. Un Etiopia Terra sacra e nascosta, che continuerà poi nei secoli a donare incanto fino al mito del Regno del Prete Gianni.

Cericle rivela il senso misterico della geografia che attraversano: il Nilo è Osiride e la terra rappresenta Iside secondo gli Egizi. Un viaggio quindi, quello di Teagene e Cleide, verso l’Origine, la Luce e la Liberazione, verso la propria stirpe natale e regale. Da vergine sacra a sposa: un percorso irti di pericoli e sotto la minaccia della gelosia di Artemide. Per questo si mantengono casti e per questo devono sopportare prigionie e battaglie. Cariclea passa attraverso il fuoco a Menfi: la “materia ninfica” va provata con il fuoco come l’oro delle Sacre Scritture e dell’arte regia. La profezia della Pizia sui due amanti racchiude tutto il senso sapienziale e misterico della vicenda: il viaggio sacrale da Delfi all’Etiopia, da Occidente ad Oriente, la Grazia che ritorna alla divinità da cui deriva, la trasfigurazione dello spirito attraverso il passaggio marino e recando la fascia di porpora, analogo simbolico dell’attraversamento del Mar Rosso, fino all’incoronazione degli sposi con la candida Mithra sacerdotale. L’oracolo fa riferimento all’abbronzatura finale delle tempie degli amanti sul cui capo verrà posta la candida Mithra, segno sapienziale corrispondente al “Sono bruna ma bella” proprio del Cantico dei Cantici, allusione chiara all’assimilazione al Sole divino dell’anima dell’iniziato. La terza dimensione misterica si rivela alla fine nella narrazione del riconoscimento dei segni di regalità di Cleide e nelle prove a cui i due amanti sono sottoposti.

I segni sono: un anello, la fascia di porpora con i geroglifici e una macchia d’ebano sul braccio color avorio, segno della sintesi ermetica degli opposti. Gli eroi, cioè l’androgino ermetico, rischiano tuttavia di divenire vittime di un sacrificio umano. A chi li vogliono sacrificare gli Etiopi per ringraziare della vittoria sui Persiani? A Helios e Semele, segni del compimento dell’Opera.

La vittoria sui persiani ricorda le immagini bibliche e mosaiche delle vittorie sugli egiziani, utilizzate nell’epoca cristiana in senso alchemico quale espressione del dominio dei tre princìpi sulla materia grezza. Sarà allora Teagene, novello Mithra, a liberare e rinnovare la loro vita con una cerimonia di vittoriosa tauromachia e con la sconfitta del gigante etiope, segno del mercurio volgare.

La terra ermetica è divenuta mobile e fiammante, il toro, e va sottomessa per il trionfo ermetico. Teagene con il cavallo di Helios raggiunge il toro di Selene (citazione di astrologia sacra) fino a cavalcarlo e a lasciarlo, sfinito e capovolto, con le corna conficcate nella terra, segno della liberazione della Pietra filosofale. Gli amanti diventano sacerdoti di Helios e Selene, madre del sapiente Dioniso, come Idaspe e Porsinna, sposi sacri, come i faraoni. Le nozze alchemiche e mistiche, regali e sacerdotali, sono celebrate e compiute! Idaspe poi è il nome di un fiume indiano dove avvenne l’ultima battaglia di Alessandro Magno, ma tradizionalmente è anche considerato uno dei quattro fiumi che escono dal Paradiso terrestre. India ed Etiopia si confondono nel mito del solare Dioniso quale segno della sapienza iniziatica. Dioniso, esotericamente, ed Helios, essotericamente, appare l’anima spirituale dell’Avventura narrata meravigliosamente da Eliodoro, il cui percorso di vita ricorda quello di Nonno di Panopoli.

Va spesa ancora qualche parola sui riferimenti mitici fatti nell’opera in relazione a Teagene. Gli Eniani, popolo tessalo a cui appartiene, era guidati da Filottete al tempo della guerra contro Ilio. Filottete partecipò alla spedizione con sette navi. Il piede incancrenito dell’eroe è segno della putrefatio ermetica. Non a caso Filottete accese la pira di Eracle furente e fiammante per la camicia di Nesso, come piroforo è Teagene. Nel territorio tessalo degli Eniani non solo sorge il monte Eta dovè morì Eracle, ma è anche il monte di Driope e delle Amadriadi, e del sacrificio di Frisso e del Vello aureo, emblema dell’Opera. Dal canto suo Cariclea viene assimilata ad Andromeda, figlia del Re d’Etiopia Cefeo, figlio di Zeus e Io, e della ninfa Cassiopea. Cefeo è anche il nome di un argonauta.

Teagene e Cariclea come Perseo e Andromeda, come Dioniso e Arianna. I figli di Andromeda furono Perse, capostipite dei persiani e Gorgofonte, padre di Tindaro Re di Sparta. Riguardo poi il golfo Maliaco, da dove proviene Teagene, viene citato da Erodoto quale punto di passaggio sulla via delle offerte che gli Iperborei inviano periodicamente a Delo e a cui si connette il taglio rituale di ciocche di capelli offerte ad Artemide. L’inizio e la fine del rito, da Teti e Achille a Selene ed Helios, come già accennato, manifesta numerose allusioni al solare e sapiente Dioniso e ai suoi attributi.

Al corteo fiorito e fruttuoso di Delfi corrisponde Dioniso Euànthes, Dioniso della "feconda fioritura, mentre al rito del toro compiuto da Teagene corrisponde Dioniso Bougenès, Eriphos, Taùros, cioè Dioniso vittima e furia nel contempo, come Teagene incoronato dagli etiopi sia per la vittoria che come vittima, mentre entrambi i protagonisti sono cacciatori rituali e quindi manifestazioni di Dioniso Zagreùs, il "grande cacciatore". Consideriamo infine un'altra precisa concordanza significativa: alla cerimonia pitica vengono portate in corteo scuri bipenni (le stesse che compaiono a Creta per il sacrificio del Toro) ebbe Dioniso appare anche quale Pèlekys, Dioniso "doppia scure”, e ciò viene ricordato specificamente nella città portuale tessala di Pagase e Teagene viene dalla Tessaglia! Serpente e Toro, i segni di Dioniso e di Mithra, si richiamano nell’esprimere la metamorfosi ermetica nel racconto. Il rito di Delfi si rispecchia, attraverso Dioniso, nel rito d’Etiopia e viceversa, anche per l’ulteriore epiteto di Mitrephòros designa il "portatore di mitra".