In definitiva, della nostra giornata di oggi e forse di tutto il nostro transito terrestre ricorderemo un abbraccio, un sorriso, una passeggiata con gli amici in un luogo lontano dove scacciare le nubi dei nostri pensieri troppo aggrovigliati e dove cercare il senso di ogni cosa che c’è.

In definitiva, in quell’abbraccio, in quel sorriso, in quella passeggiata, in quelle parole cariche di emozioni sussurrate all’orecchio, in quei nomi semplici scritti a penna senza che gli aggettivi vadano a tingerli di bianco o di nero, in quel tozzo di pane imbevuto nel latte, in quello zaino così pesante da sollevare, ecco in tutto questo si schiude la sacralità della vita.

In definitiva, l’essenziale ha i contorni che si modificano ogni giorno adattandosi ai nostri palpiti e ai nostri cangianti desideri di senso.

La vera essenza dell’essenziale

Cerchiamo ogni giorno di comprendere l’essenziale delle situazioni, di accantonare il superfluo, di gettare alle ortiche ciò che ci si presenta come orpello non necessario. Eppure, ogni giorno inciampiamo su ciò che necessario non è.

Siamo alla ricerca, ci interroghiamo, comprendiamo l’importanza di stacciare il grano dal loglio e poi, per quei paradossi che rendono la vita sorprendente, meravigliante e meravigliosa, mescoliamo il tutto e generiamo nuove domande incapaci di raccogliere i perché e gli affinché che avrebbero dovuto restare nel setaccio dei nostri auspici.

Essenziale è l’aggettivo connesso al sostantivo essenza, dal latino tardo essentiālis -e, derivato di essentĭa. L’essenziale è innervato di essere che ciascuno di noi può contrapporre, a seconda delle stagioni della vita, al divenire, all’apparire, al sembrare, all’essere nel passato o all’essere nel futuro. L’essere è ciò che è, né ciò che è stato né ciò che sarà. In quell’essere però riconosciamo le tracce di ieri e il protenderci verso un domani incerto. Del resto, la radice della parola futuro, che appunto è il participio futuro del verbo essere, è la medesima di io fui, io fui stato.

Con questa consapevolezza, cerchiamo l’essenziale con rinnovato slancio ma sappiamo che sarà un asintoto della nostra mente innamorata e del nostro cuore pensante: proveremo ad afferrare l’essenziale e ci sfuggirà dalle mani come il dio del mare Proteo che si trasformava in continuazione e nel mutamento perenne non consentiva agli umani di agguantarlo.

Se è necessario, non possiamo ritirarci

Possiamo fare a meno di molto ma non dell’essenziale. L’essenziale non è solo utile e proficuo: è proprio necessario. Questo aggettivo ci riporta al suo progenitore latino, necessārĭus, cioè ‘inevitabile’, ‘indispensabile’, che a sua volta deriva dall’aggettivo neutro necesse, usato nell’ espressione impersonale necesse est, ‘è inevitabile’, ‘è indispensabile’.

Andando ancora più a ritroso alla ricerca dell’origine della parola, troviamo che necesse è composto di due parti: la particella ne che significa negazione e il verbo cēdĕre, che nella lingua degli antichi romani significava ‘andarsene’, ‘ritirarsi’. Ecco che allora necesse e quindi necessario indica questo dato di fatto: “non c’è modo di ritirarsi”, “non è possibile tornare sui propri passi”. L’essenziale è necessario, non siamo in grado di tornare indietro. Possiamo fare a meno di molto ma sul necessario nessun essere umano può pensare di girare su di sé, di sbattere la porta e di andarsene se non chiudendo con la vita.

L’essenziale ci riporta alla misura delle cose

L’essenziale non si disperde in rivoli, non si frastaglia, non si lascia irretire dalla prospettiva degli affluenti e delle diramazioni dell’acqua che procedono verso il chissà senza che li possiamo ordinare e misurare. L’essenziale resta nell’alveo principale, racchiuso tra gli argini del senso, nella sede che gli è propria, fiume possente portatore del significato della vita. Per questo è ridotto al minimo lo sbandamento, lo scarto, la deviazione data dalla fatalità. Un sinonimo di essenziale è misurato, cioè relativo alla misura, che è sostantivo derivato dal latino mensūra(m) ‘dimensione’, ‘grandezza’, a sua volta dal verbo metīri ‘misurare’.

La medesima radice di queste parole è nell’italiano mese e nel metro. L’essenziale, cioè il misurato, sta nel mese, e quindi nel tempo, e sta nel metro, e quindi nello spazio delle nostre profondità.

In greco antico gli stessi antenati di misura li troviamo in mêtis ‘avvedutezza’, ‘ragione’, ‘intelligenza’. Una caratteristica talmente potente da essere trasformata in una dea, la dea Metis, appunto, che con la ragione riesce a influenzare le prospettive della vita, i suoi andamenti, i suoi mille perché, contrapponendosi alla sorte, al fato, all’inciampo casuale. Per andare all’essenziale, dobbiamo qualche volta invocare la dea della ragione: quando arriva, può dilaniare il cuore e lacerare le carni, ma il suo influsso aiuta la mente e nel lungo periodo sappiamo che il suo influsso porta insieme benessere e bene. Quanto meno questa è la nostra umana, fragile speranza.

Non beviamo troppo

Osserviamo come è arredata quella casa: in modo sobrio. Cioè con un gusto morigerato, senza eccessi, castigato. I mobili non hanno orpelli, le pareti sono tinteggiate di fresco, niente suppellettili sopra le credenze.

La sobrietà è spesso una declinazione dell’essenzialità. Gli ambienti sobri, come le persone sobrie, sanno essere accoglienti e calorose proprio perché rifuggono l’annidarsi del barocco e del rococò.

L’aggettivo sobrio ha come papà il latino sōbrĭus, ‘non ubriaco’, da ēbrĭus, ‘ebbro’. L’origine della parola ēbrĭus è incerta ma per certo le sono parenti, oltre a sobrio, i sostantivi sbornia, sbronza e ubriachezza.

L’ebbro, cioè colui che ha bevuto troppo, colui che ci ha dato sotto con i calici di prosecco o di aglianico, se viene anticipato dal prefisso sō-, variante di se(d)-, che indica una negazione, diventa appunto non ebbro e quindi sobrio. Ecco la sobrietà è la capacità di resistere all’eccesso di Dioniso, che vorrebbe irrompere nelle vite degli umani, cerca di farsi varco con le sue mille lusinghe e che viene invece fermato dalla decisione di dire di no ai bicchieri di troppo, anche se avrebbero potuto donare attimi di pura felicità.

Da usare con parsimonia

Oltre che sobria, una persona che mira all’essenzialità è anche parca: punta ai frutti che serve davvero mangiare e in questo senso è frugale. Nella parola parco cova l’idea del risparmio, come negazione dello scialo. L’aggettivo latino parcus voleva dire ‘moderato’, derivato del verbo parcĕre, ‘risparmiare’. Da quel verbo è derivata anche la parsimonia, cioè l’oculatezza, la morigeratezza, l’atteggiamento di chi ha a cura l’economia, cioè la buona gestione della casa. Parsimonia deriva dal latino parsimonĭa, ‘frugalità’, ‘risparmio’, da parsus, appunto participio passato del verbo parcĕre da cui è fiorito in italiano anche l’aggettivo parco.

Il bisogno dell’essenza

È lontano dal superfluo, lo detesta, come detesta il futile e l’eccessivo. L’essenziale è invece contiguo al fabbisogno: non ne possiamo fare a meno. Fabbisogno è una parola giovane, ha poco più di duecento anni di vita, è comparsa per la prima volta in uno scritto dell’inizio dell’Ottocento. È un composto di fa, forma del verbo fare, e bisogno.

Bisogno è parola più antica, è di origine germanica e probabilmente deriva dall’antico francese bisunnia, che voleva dire ‘cura’, ‘premura’, ‘sollecitudine’. Oggi in francese soigner vuol dire prendersi cura; soignant è il badante, l’infermiere, la persona che assiste, il care-giver. Andando a prenderci cura di noi, procedendo verso noi stessi con la delicatezza con la quale un infermiere o un’infermiera assiste un paziente, agendo con l’impegno e la diligenza che impone la fragilità della vita, cogliamo il senso vero del fabbisogno e di conseguenza il senso vero dell’essenzialità.

Così canta Marco Mengoni. Con una melodia che scava l’anima e con versi che irrompono nelle giornate di tumultuosa ricerca, ricorda ad ogni mortale il fabbisogno di curare il tempo opportuno per comporre “nuovi spazi e desideri”: anche questi sono un bisogno che irrora la vita, chi li nega fa un torto alla propria umanità.

E mentre il mondo cade a pezzi
Io compongo nuovi spazi e desideri che
Appartengono anche a te
Che da sempre sei per me l'essenziale.

Non lo puoi spaccare

Essenziale è imprescindibile. Ancora una volta obbligatorio, vincolante, imperativo. Non puoi farne oggetto di rinuncia, come fosse un’eredità scomoda di cui ti vuoi liberare. Non lo puoi nemmeno scomporre in tante parti per cercare di comprendere se una di quelle parti possa essere di troppo. Essenziale è l’univoco, il tutto, il pieno, il non separabile. Imprescindibile vuol dire proprio questo. L’aggettivo ha due prefissi: in- che significa negazione e pre- (prae- in latino) che vuol dire davanti. Il cuore della parola è scindere, che ha il significato di ‘dividere’, ‘separare’, ‘disgiungere’, ‘staccare’.

L’imprescindibile non può essere frazionato: è fuso insieme, aggregato, unito. Il latino scindĕre si confronta con il greco antico skhízō, che vuol dire ‘separo’, da cui in italiano è derivata la parola scheggia.

L’essenziale non ammette schegge, non puoi immaginare frammenti di essenzialità, non puoi frantumare ciò che sta intessuto insieme.

Non lo puoi distribuire

L’essenziale è indispensabile: fa parte della tua vita che appassisce se non puoi coglierne l’essenza. Indispensabile vuol dire ‘necessario’, nel senso di ‘non dispensabile’: non solo è imprescindibile ma non ne puoi essere dispensato (e quindi ti resta tatuato sulla pelle) né puoi dispensarlo, ripartirlo, distribuirlo ad altri. L’indispensabile è tuo, si risveglia con te nelle tue albe felici, ti segue fedele durante le giornate di lavoro o di riposo, ti accompagna nelle tue riflessioni serali, sta sul tuo cuscino mentre ti addormenti.

In latino dispensare era una forma intensiva del verbo dispendĕre, nel senso di ‘pagare’, da cui in italiano è derivato il verbo spendere. E a sua volta quel dispendĕre era derivato di pendĕre ‘pesare’ per gli antichi romani, antenato delle parole italiane pendolo, appendere, pensile.

Ciò che è indispensabile, con quella negazione in- davanti all’aggettivo, in definitiva non ha prezzo, non si può pagare in monete, non può essere barattato con null’altro al mondo, non si può comprare. Indispensabile è fuori commercio, come un abbraccio, come sorriso, come una passeggiata con gli amici.