Giunta alla sua ventiseiesima edizione, la Fiera Internazionale di arte moderna e contemporanea di Milano, nota come Miart, si conferma essere una certezza per tutti quei collezionisti, nazionali e internazionali, che vogliono scoprire capolavori del Novecento artistico fino alle ultime creazioni delle nuove generazioni. Sotto la direzione artistica di Nicola Ricciardi, dal primo al tre aprile negli spazi di fieramilanocity saranno allestite le tre sezioni: “Established”, con una particolare attenzione alle relazioni tra arte visiva e arti applicate e sulla natura progettuale della proposta espositiva, “Decades”, a cura di Alberto Salvadori, Direttore della Fondazione ICA di Milano, con una esplorazione della storia del ventesimo secolo artistico in una scansione per decenni ed “Emergent”, a cura di Attilia Fattori Franchini, Curatrice indipendente, con un’attività espositiva focalizzata sulla promozione delle generazioni più recenti di artisti. Confermata anche quest’anno la presenza del Presidente di Herno, Claudio Marenzi, che assegnerà il Premio Herno, giunto alla sua settima edizione per Miart, con un riconoscimento di diecimila euro allo stand con il miglior progetto espositivo, capace di coniugare elevati componenti di ricerca, qualità e accuratezza nel particolare. In attesa del vernissage del 31 marzo, che si terrà negli spazi della fiera dalle 18 alle 21 e vedrà anche la partecipazione degli influencer Daniela Collu e Paolo Stella, che passeggeranno tra le gallerie espositrici insieme con la giuria e il direttore artistico Ricciardi, abbiamo chiesto al Presidente di Herno, Claudio Marenzi, di raccontarci come è nata questa collaborazione con Miart e di approfondire il legame che unisce l’arte al mondo della moda, declinato nei valori di estetica, creatività, funzionalità e fruibilità.

Nato dalla collaborazione tra Miart ed Herno e giunto alla sua settima edizione, Il Premio Herno conferma il riconoscimento di diecimila euro che sarà assegnato allo stand con il miglior progetto espositivo, durante la fiera di arte moderna e contemporanea a Milano. L’obiettivo per questa 26° edizione del Miart è dare il via ad una nuova fase: al primo movimento di una possibile sinfonia. “Primo movimento rappresenta non solo l’inizio di una forma musicale in più parti, ma anche un desiderio di accelerazione per un settore che oggi, dopo la positiva stagione autunnale di fiere internazionali, si sente pronta ad allungare il passo e a fare un salto in avanti”. Nel settore del fashion, secondo Lei, si ha più bisogno di accelerare o di decelerare, in quali ambiti?

Acceleriamo su innovazione, sostenibilità e economia circolare per decelerare su sfruttamento delle risorse naturali e spreco.

Come è nata nel 2015 questa partnership con il Miart? Il connubio arte e moda oggi sembra essere diventata una prerogativa importante per gli stilisti ma anche per gli artisti.

L’arte e la moda da sempre si incontrano e si influenzano a vicenda e, per fare qualcosa di attinente e nuovo nel valorizzare il lavoro degli artisti, abbiamo optato per un riconoscimento che premiasse non la creatività dell’artista quanto piuttosto il progetto che si costruisce per valorizzare l’artista stesso, quindi l’involucro che diventa parte del contenuto. Come è nel mondo della moda, dove il negozio, il suo design, i display, le luci, diventano parte del prodotto stesso e lo esaltano.

Il Premio Herno è un giusto riconoscimento per le realtà artistiche dove vi è un perfetto equilibrio tra creatività, estetica, funzionalità e fruibilità; nel campo della Moda, dato il successo della vostra realtà aziendale, si può riconoscere lo stesso questo equilibrio? Come vengono declinati i valori di creatività, estetica, funzionalità e fruibilità?

Come accennavamo sopra, che sia un’opera strumentale, artistica o un cappotto, si tratta sempre e solo di armonia, anche quando sembrano tra loro essere opposti, questi valori convivono in equilibrio perfetto. Per chi sa farlo. Non so dirle se c’è una composizione o una ricetta perfetta, credo che ogni brand o ogni artista abbia la sua. Si chiama ricetta o visione o ispirazione. Di sicuro in Herno perseveriamo nel testare e scoprire nuovi “accordi” creativi, funzionali ed estetici, lo facciamo dal 1948 e non intendo fermarmi.

Con il Premio Herno, Miart e Herno S.p.A. intendono dare inoltre nuovo valore all’exhibition making e al concetto di display, puntando su valori condivisi.

L’esposizione e la modalità con cui questa avviene è fondamentale per valorizzare l’oggetto stesso; che si tratti di un manufatto di moda oppure di un opera d’arte, in questo appunto c’è una condivisione di modalità, comunque innovazione e creatività ne amplificano l’essenza e rendono questi oggetti unici e indelebili.

Fondata nel 1948 a Lesa, sulle rive del Lago Maggiore, come azienda di impermeabili, Herno è da oltre 70 anni una delle eccellenze del made in Italy e ad oggi è una delle realtà imprenditoriali più virtuose nell’universo urban outerwear, che si muove tra innovazione e tradizione sartoriale. Cosa ha conservato della tradizione sartoriale e in quale ambito invece ha più avuto il ruolo di innovatore?

Sono tradizionale nel mantenere il processo produttivo nella sua sequenza naturale e quindi altamente funzionale. Sono innovatore rispetto a mio padre nell’aver ottimizzato e reso più efficiente il processo stesso con applicazioni tecnologiche avanzate e applicando strategie di gestione delle risorse umane più ampie e lungimiranti. Per me Herno è una realtà unica, completa e modulabile.

L’outfit Herno che non deve mai mancare nel suo armadio?

Non posso fare a meno dell’abito su misura fatto con certi tessuti che devo scegliere e toccare personalmente, e del gilet in cashmere, e dei cappelli.

Come nasce la sua passione per l’arte contemporanea?

Sin da adolescente sono stato attratto da chi era dotato di “magia” artistica, e già da giovanissimo ho avuto modo di frequentare artisti locali e non, consentendomi di approcciare e poi diventare appassionato d’arte. Ricordo che intorno ai miei vent’anni fu proprio uno degli stilisti che lavorava allora in Herno ad avermi istruito all’arte contemporanea, tanto da farla diventare una delle passioni della mia vita. Aver frequentato quel mondo, aver conosciuto personalmente artisti e critici della mia generazione, mi ha dato modo di sviluppare un mio senso critico tanto da dedicare del tempo - e del budget- ad organizzare eventi e mostre. Colleziono opere di pittura, scultura, video, foto. Il mio filo conduttore è il senso pittorico, che ritrovo ad esempio in artisti come Pae White, Andrea Bowers, Candice Breitz, Cosima von Bonin, Adrian Paci, Nicolas Party, Stefano Arienti ed altri.

“Uno dei motivi più forti che conducono gli uomini all'arte e alla scienza è la fuga dalla vita quotidiana con la sua dolorosa crudezza e la tetra mancanza di speranza, dalla schiavitù dei propri desideri sempre mutevoli”. In questo periodo, particolarmente doloroso, l’arte ha rappresentato per Lei una sorta di rifugio o di via di fuga?

L’arte è parte della mia vita, è la mia scenografia quotidiana, me ne circondo dove posso, in azienda, a casa, e non la percepisco come una fuga; in effetti il periodo storico è drammatico oggi come lo fu per Einstein nel suo di momento topico, e certamente le passioni, quando gli eventi intorno ci consentono comunque di coltivarle, possono essere un rifugio. Personalmente ritengo l’arte una necessità intima che prescinde dagli stati del mio animo.

Ha dichiarato: “Oggi per essere in sintonia con il mercato della moda bisogna essere strabici. Per essere vincenti, bisogna rispettare le esigenze local, perché la gente non può più viaggiare come prima”. Nella storia dell’arte già molti artisti fecero uso dell’anamorfismo, inteso come effetto di illusione ottica per cui un'immagine viene proiettata sul piano in modo distorto, rendendo il soggetto originale riconoscibile solamente se l'immagine viene osservata secondo certe condizioni, ad esempio da un preciso punto di vista o attraverso l'uso di strumenti deformanti. Come Presidente di Herno, secondo Lei quali sono le giuste condizioni per riconoscere l’originalità del Made in Italy?

Bellissimo il suo rimando all’anamorfismo, l’ho sempre trovato un viaggio emozionante e bizzarro quello dell’interazione tra geometria, prospettiva, arte figurativa e psicologia nella percezione visiva. Ecco credo che il Made in Italy, da qualunque visuale lo si osservi ci riservi incredibili viste, i punti di osservazione sono cosi molteplici qui in Italia che il risultato rispetto ai sensi è sempre incredibile e variegato. Insomma sono di parte, lo so, ma credo che sia ben riconoscibile la nostra unicità di italiani, in tutti i settori, da qualunque angolazione e anche con qualunque stato d’animo il nostro lavoro venga osservato. Chiaro che se persistesse la condizione di un sostegno strutturato e stabile da parte delle istituzioni, il capolavoro delle nostre risorse in Italia non necessiterebbe più di eventuali “illusioni ottiche”.

Ha dichiarato: “Quando Herno nasce, nel 1948, come fabbrica di impermeabili, confezionare capi antipioggia non era affatto semplice. Oggi non basta produrre un capospalla “ben fatto” per essere protagonisti sul mercato. Quando ho preso il controllo dell’azienda di famiglia, nel 2005, ho voluto investire il più possibile in ricerca, tecnologia e progetti ecosostenibili, sperimentando nuovi materiali e processi produttivi sempre più rispettosi dell’ambiente.” Nella sua carriera professionale e personale è riuscito a “diventare impermeabile”, facendosi scivolare addosso torti e cattiverie, se subite e sorridere sempre e comunque?

Impermeabili ci si diventa per forza se vuoi fare l’imprenditore, più ricevi secchiate d’acqua più “l’impermeabile” ti serve, e per fortuna quelli di Herno sono tra i migliori in quanto a performance… Penso non sia necessario sorridere sempre e a chiunque, ma se occorre ci si può forzare a farlo! La miglior soddisfazione resta nei “dati di fatto”.

Un augurio per tutti gli stand che saranno presenti al Miart, desiderosi di poter ricevere il Premio Herno?

Che la creatività e le buone idee siano con voi: stupiteci!