Paolo Villaggio vinse il premio Gogol per il suo Fantozzi. Ma come, un premio letterario intitolato ad uno dei mostri sacri della letteratura russa per il ragioniere italiano? E poi, cosa possono capire i russi di questo tipo di comicità così italiana?

In realtà chi conosce la cultura russa in maniera profonda conosce tutti i contatti con la cultura italiana (peraltro amatissima laggiù). E sa che Villaggio non poteva non essere accostato al grande Gogol. Infatti, la motivazione dell’onorificenza russa al nostro autore fu questa: “Ha dato un seguito all'indagine sull'uomo umiliato e offeso avviata dal maestro russo con il racconto Il cappotto".

Il cappotto è il titolo del più celebre fra i Racconti di Pietroburgo di Nikolaj Gogol. Un racconto talmente seminale che fece esclamare al grande Dostoevskij: “Siamo tutti usciti dal Cappotto di Gogol”. È la storia di Akakij Akakievič Bashmakin, un povero impiegato umiliato da tutti i suoi colleghi. Un italiano riconoscerà subito in Akakij Akakievič l’archetipo del ragionier Ugo Fantozzi protagonista prima dei racconti di Villaggio per l’Europeo e poi della fortunatissima saga cinematografica.

Il cappotto che dà il titolo al racconto gogoliano è quello che il funzionario si fa confezionare dal sarto Petrovič dopo mille sacrifici. E quel cappotto pare fargli riguadagnare quel rispetto che lui non ebbe mai dai suoi colleghi. Il finale amaro vede però il protagonista derubato dall’indumento.

Non possiamo, noi italiani, non rivedere le vicende dell’impiegato di Villaggio che, non appena pare conoscere un momento di riscossa, vede i suoi modesti sogni di gloria svanire.

Fantozzi è sicuramente “molto italiano” come personaggio sia letterario che cinematografico. Possiamo anche dire che si tratta dell’ultima vera maschera della Commedia dell’Arte. È il servo sfortunato, lo zanni, che finisce sempre bastonato dai potenti. E nella commedia italiana dell’Ottocento Fantozzi ebbe un antecedente in quel Monsù Travet del commediografo dialettale piemontese Vittorio Bersezio che, prima di Fantozzi, divenne sinonimo di impiegatuccio vessato.

Ma anche il mondo di Gogol è popolato di maschere. Oltre ad Akakij Akakievič abbiamo l’immortale Cicikov protagonista de Le Anime Morte, l’imbroglione che compra servi morti che risultano ancora vivi dai censimenti per farsi un nome da gran signore senza spendere troppi rubli e forse qui noi italiani più che ai personaggi della tragicomica epopea di Fantozzi rivediamo alcuni personaggi di Alberto Sordi, che ha spesso incarnato un tipo di italiano che cerca di “fare il furbo”.

È un mondo, quello gogoliano, popolato di maschere di perdigiorno, burocrati, poveri impiegati “umiliati e offesi”, imbroglioni. Un mondo che ha assonanze incredibili col nostro mondo.

Un’altra cosa che accomuna gli scritti di Gogol a quelli di Villaggio è la descrizione grottesca della burocrazia. La burocrazia russa, sia dell’epoca zarista nella quale vive Gogol ma anche nella successiva età sovietica, è sempre stata qualcosa che rasentava il ridicolo. Esattamente come la burocrazia italiana, di cui molti di noi hanno purtroppo assaggiato l’assurdità che, invece di diminuire, aumenta di anno in anno diventando sempre più cervellotica.

La maschera della commedia, dietro la risata, nasconde sempre un fondo di amarezza. Dietro Pulcinella e Totò sempre affamati si intravede la povertà atavica dei ceti più poveri, che cercano sempre di arrangiarsi per mettere qualcosa sotto i denti. Dietro Fantozzi e Akakij Akakievič vediamo il povero lavoratore sempre umiliato dal padrone, dai megadirettori e dai megapresidenti. Dietro la risata si intravedono le amare lacrime degli umiliati e offesi.