Intendo qui fare un esame esclusivamente psicologico della situazione attuale, di quella che possiamo chiamare ormai guerra e non più crisi, ma che di fatto da parecchio tempo è una vera e propria crisi degli equilibri tra Russia e Ucraina, ma anche oggi tra tutte le potenze che, al momento in cui scrivo, risultano di fatto coinvolte, direttamente o indirettamente.

Non voglio entrare nel merito di questioni politiche, tecniche o strategie socio-economiche, che non conosco e dove non ho competenza. Invece vorrei dire la mia idea sulle questioni puramente psicologiche.

Quando una persona, forse destabilizzata da due anni di isolamento sociale, sente di essere circondata, sente di avere nemici che dall’esterno agiscono contro di lei, la cosa migliore da fare è quella di adottare un’azione che potremmo definire “rassicurante”.

Se poi la realtà, per dati oggettivi e anche per azioni compiute come reazione a precedenti azioni compiute dalla persona stessa, sembra “confermare” tale convinzione psicologica, allora l’azione rassicurante dovrebbe essere portata avanti in una maniera ancora più definita, forte, decisa.

Ora, bisogna dire che siamo tutti destabilizzati, turbati, stanchi e provati dai due anni che abbiamo passato. Gli elementi stressogeni ripetuti, la situazione che si può senza dubbio considerare come traumatica continua, ma soprattutto il depauperamento di tipo sociale, tutti questi ed altri fattori hanno via via accentuato i disequilibri interni, rendendoci tutti, chi più chi meno, estremamente sensibili agli ulteriori stimoli stressogeni.

I politici, i capi di stato, le persone che detengono il potere, che devono prendere decisioni per interi popoli, non sfuggono alla situazione descritta. La destabilizzazione non colpisce in maniera selettiva escludendo i potenti, ma potremmo dire che tende ad incidere maggiormente sulle persone che, per predisposizione individuale e per eventi esterni, reagiscono in maniera più intensa con un disequilibrio che può essere psichico, organico o entrambe le cose.

Allora qui vorrei sottolineare l’importanza di mantenere, nelle relazioni con le persone ma ancor più fra i popoli, una posizione senz’altro ferma ma che sia di chiara apertura, di dialogo, di possibilità di contrattazione, anche compromissoria, pur di mantenere aperte le relazioni e ad un livello migliore possibile gli equilibri.

Per la situazione bellica attuale, risulta a mio avviso estremamente importante che si proceda sulla strada della diplomazia, con un atteggiamento di franca apertura come ho appena descritto.

Inoltre, è molto importante che anche la stampa non inasprisca i toni, non riferisca di ipotetiche interpretazioni, da parte di uno o dell’altro, delle situazioni: l’esempio di comunicazione più negativo, a tale proposito, è la stampa che descrive – non so sulla base di quali elementi o fonti – di reazioni di “stupore” del Presidente russo di fronte alla forza della popolazione ucraina, o al contrario di reazioni di “sicurezza” della Nato circa l’efficacia delle azioni sanzionatorie.

Queste comunicazioni, che di fatto sono interpretazioni – psicologiche forse, probabilmente utili in tempo di pace – si rivelano rischiose in tempo di crisi, in quanto possono accentuare i disequilibri delle parti.

Non dimentichiamo che la comunicazione non è un fattore secondario, è anzi un elemento molto rilevante, non soltanto per l’opinione pubblica, ma anche per chi ha potere decisionale, poiché l’interpretazione dei fatti può risentire di tagli interpretativi sbagliati, o semplicemente inadatti in quel dato momento.