Dentro la questura di Milano, grazie all’iniziativa di Soroptimist International d’Italia, Club Milano Fondatore e Club Milano alla Scala in collaborazione con la Polizia ha preso forma una “stanza per sé”, un luogo di accoglimento e ospitalità per le donne vittime di violenza.

Questa stanza speciale è stata inaugurata alla presenza del prefetto Claudio Sgaraglia, del questore Bruno Megale, della procuratrice aggiunta Letizia Mannella, del comandante provinciale dei carabinieri Pierluigi Solazzo, del Dirigente della Squadra Mobile di Milano, Alfonso Iadevaia, di Adriana Macchi Presidente Soroptimist International d’Italia, di Hafdìs Karlsdòttir, Presidente Soroptimist Europe.

La presenza di tutte queste personalità testimonia la straordinaria importanza di questa iniziativa da un punto di vista sociale ed emotivo.

Sappiamo, ahimè, quanto sia difficile per una donna andare a denunciare i maltrattamenti e le violenze subite, c’è una sorta di pudore, quasi di vergogna come se si vivesse la colpa di una corresponsabilità dell’atto.

La filosofa e psicoanalista Julia Kristeva sostiene che durante la gravidanza, il feto e il bambino durante i primi mesi di vita avendo avuto a disposizione un corpo di donna, può essere motivo del fatto che la principale violenza che si esercita contro le donne abbia come carnefici uomini familiari, che appartengono al loro ambiente intimo, uomini con cui si sono rapportate affettivamente.

Ed è proprio il legame instaurato che diventa vincolo e gabbia che impedisce di guardare la brutalità del reale.

Di solito si tratta di donne di diverse estrazioni sociali, a volte di medio ceto economico e culturale, impegnate nella cura della famiglia, e spesso disoccupate, che vengono maltrattate fisicamente, sessualmente, psicologicamente ed economicamente da uomini che non risultano patologici dal punto di vista clinico, relazioni che appaiono “normali”, ma dove è patologica la natura del rapporto.

Molte vicende di violenza familiare sono il riflesso di storie di infanzie maltrattate, non tanto per abusi, ma per una serie di dissintonie relazionali, per carenze emotive, per vuoti affettivi, per mancanze di rispecchiamenti e riconoscimenti amorevoli.

Si capisce quindi come l’incontro con qualcuno che manifesti attenzione e affetto, che esprima anche gelosia, che controlli, che addirittura sia violento possa creare fraintendimenti affettivi, veicolare attaccamento, come se la violenza passionale possa essere vissuta come testimonianza di un bene assoluto. Diventa, paradossalmente, prova di amore, una conferma di apprezzamento, di suscitare interesse, di sentirsi fortemente volute.

Questo bisogno lacerante di sentirsi pensate e desiderate può giustificare la “scelta” di mantenere a lungo relazioni con compagni abusanti, ricercando sempre giustificazioni e speranza in un cambiamento. Dove di fondo sussiste il fraintendimento tra amore e possesso violento.

Risulta evidente come non sia scontato chiedere aiuto e uscire da questa gabbia narcisistica dove si paga a carissimo prezzo, a volte anche con la vita, il riconoscimento del proprio senso di esistere. Non è senza dolore che si può arrivare alla decisione di denunciare comportamenti lesivi, violenti perché significa anche rinunciare all’illusione di una relazione assoluta, bisogno così irrinunciabile da arrivare a tollerare il male scambiandolo per il bene, fino a sopportare di morire per amore illudendosi di concretizzare il mito della felicità.

Si può capire allora l’importanza della realizzazione di questa “stanza per sé”, e mai attribuzione di un nome è stata così finemente azzeccata, una stanza che sia accogliente, ospitante, compensatoria di tutta la fatica di una vita e dello strazio del dover lacerare anche l’ultimo barlume di speranza di un amore assoluto. Amore che possiamo anche assimilare all’amore materno, a quell’assoluto di bene che vibra fin dalle viscere instaurando il legame più profondo e che sempre nella vita andiamo a ricercare. Ed è per offrire un grembo caldo e confortante, in grado di ospitare tanto dolore e che un po’ compensi la rinuncia del cosiddetto ideale d’amore, che si è pensato alla realizzazione di questo spazio-utero con la speranza di dare vita a chi arriva con la morte nel cuore.

Chiedo a Francesca Tinelli, l’architetto che si è occupata di far prendere vita al progetto concertato da Soroptimist con la collaborazione dei diversi Enti, quali pensieri, quali stati d’animo hanno albergato in lei durante la progettazione di questo sogno condiviso.

Il progetto è stato realizzato da me, Francesca Tinelli socia del club Milano Fondatore e da Donatella Meucci del club Milano alla Scala e con la donazione anche degli arredi interni da parte dei due club.

Puoi darci informazioni su Soroptimist?

Il Soroptimist è un'organizzazione mondiale su base volontaria di donne impegnate in attività professionali e manageriali, che promuove l'avanzamento della condizione femminile, la piena realizzazione delle pari opportunità e i diritti umani. Tra gli obbiettivi, come già detto, dei progetti nazionali del Soroptimist vi è quello del “Contrasto alla violenza e diritti umani”. E tra i progetti sviluppati per questo obbiettivo vi è “Una stanza tutta per sé”.

Il titolo è stupendo ed evocativo del diritto ad esistere.

Il titolo “Una stanza tutta per sé” è tratto dal saggio del 1929 della scrittrice Virginia Wolf in cui l’autrice rivendica, per il genere femminile, la possibilità di essere ammesse ad una cultura che fino a quel momento si era rivelata di esclusivo appannaggio maschile, in una società, quella inglese, di stampo profondamente maschilista.

Puoi raccontare la storia del progetto, da quando nasce al suo prendere vita in progress?

Nel 2015 l’allora Presidente Nazionale Leila Picco, torinese, sigla un Protocollo d’Intesa con l’Arma dei Carabinieri per l’allestimento in tutta Italia, nelle stazioni dei comandi cittadini, di un locale esclusivamente dedicato all’ascolto di donne maltrattate, con lo scopo di sostenere la donna nel delicato momento della denuncia delle violenze subite e nel percorso verso il rispetto e la dignità della sua persona.

Come è sorta questa idea?

Questo poiché le indagini statistiche italiane ed europee evidenziavano una bassissima percentuale di denunce da parte delle vittime di violenza e uno degli obiettivi del progetto del Soroptimist era proprio il far emergere il sommerso incoraggiandole a rivolgersi alle Forze dell'Ordine.

Cosa avete riscontrato nel processo?

Le remore e le difficoltà a denunciare sono molte, come è noto, ma è dimostrato che un luogo protetto e accogliente aiuta la donna a voler raccontare aspetti intimi della sua sofferenza. Questo accogliente locale per le audizioni intende creare, infatti, un ambiente che porti la donna a un incontro meno traumatico con gli investigatori, che la faccia sentire accolta e ascoltata, che le faccia percepire l'attenzione che si ha per i suoi gravi problemi.

Per cui una grande attenzione e cura del vissuto psicologico della donna abusata. Quali sono stati i passi successivi?

Il Protocollo è stato firmato di nuovo nel 2019 e nel 2022, con il Comando Generale dei Carabinieri. Nel 2020 viene siglato il Protocollo d’intesa con il Dipartimento di Sicurezza del Ministero dell’Interno e quindi sono entrate a pieno titolo le Prefetture e le altre Forze dell’Ordine e allargata la base di riferimento. Nel 2023 tutti i Protocolli sono stati nuovamente rinnovati.

E Soroptimist come entra nel progetto?

Parallelamente al numero delle Stanze che è andato via via crescendo, si è sviluppata da parte di Soroptimist una significativa azione di comunicazione e divulgazione. A questo scopo l'Unione Italiana ha predisposto, fin dal 2016, una Mappa delle "Stanze" italiane, dove sono riportate le informazioni riguardanti la localizzazione e la dotazione delle stanze, che sono nel sito web Soroptimist con i link ai siti web dei Carabinieri e della Polizia.

Per cui un lavoro interattivo e condiviso con le forze dell’ordine.

Nei Protocolli d'intesa con l'Arma dei Carabinieri e con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno vi sono le linee guida che indicano come allestire le stanze nel modo più idoneo. Il locale deve essere un ambiente familiare e senza alcun elemento che lo associ al Comando dei Carabinieri (fotografie istituzionali, simboli, scritte).

Come è strutturato lo spazio?

Per il colloquio è previsto un impianto di audio video registrazione, con il quale si evita la tradizionale verbalizzazione a computer creante un diaframma tra la vittima e chi riceve la denuncia . Tale documento, che è stampato da remoto, dopo la firma sarà elemento processuale. Ogni locale che ci si accinge ad allestire ha le sue caratteristiche, dovute alla località e alle specifiche dell’immobile e al suo stato manutentivo, e le progettiste socie dei vari club italiani nel tempo hanno saputo creare dei luoghi non ripetitivi ma sempre diversi ed accoglienti.

Tu che contributo hai dato?

Le ultime due realizzazioni a Milano sono state da me progettate e realizzate con Donatella Meucci socia del club Milano alla Scala. Altre sono in progetto e le realizzeremo a breve. La prima a Pioltello l’anno scorso presso la Stazione dei Carabinieri e quest’ultima per la Polizia presso la Questura di Milano che è la 295esima Stanza realizzata in Italia ed inaugurata il 16 maggio del 2025.

Un lavoro di donne, tra donne, per le donne. Quante emozioni in circolo…

La progettazione condivisa è sempre un tempo emozionante. Cerchiamo di immedesimarci nelle infelici persone che entreranno in questi luoghi e di creare quindi uno spazio accogliente per loro nel momento della denuncia. Un angolo conversazione per il colloquio iniziale con divanetti o poltroncine per poter parlare in modo confidenziale anziché frontalmente ad una scrivania richiamante un ambiente burocratico. Studiamo un angolo gioioso per i bimbi, che spesso accompagnano la mamma e che possono essere stati oggetto anch’essi di violenza o che hanno assistito alle violenze su di lei, uno spazio in cui riescano a distrarsi e a giocare. Nulla nella stanza deve fare accenno alle forze dell’ordine. Il luogo deve essere come un salotto di casa fresco e rilassante e dove il personale che le ascolta è appositamente formato per questo delicato compito. Anche il tavolo a cui sedersi per raccogliere la denuncia formale non deve essere percepito come scrivania burocratica ma come il tavolo di una casa accogliente.

Ci preoccupiamo quindi di scegliere arredi confortevoli . I colori che usiamo per le pareti e per le finiture sono scelti tenendo conto dell’influenza che essi esercitano sulle emozioni delle persone secondo le teorie della psicologia del colore e dei comportamenti umani. Studiamo i colori delle pareti e la grafica idonea da installarvi, fotografie e/o quadri decorativi. I punti luce, opportunamente direzionati, concorrono alla scenografia finale del locale.

Certamente si sente potente la percezione del momento tragico che devono vivere le donne che si accingono a denunciare chi ha usato violenza contro di loro. Si sentono vibrare paura e sensi di colpa, insieme al dolore di un progetto di vita infranto. E si percepisce il vostro desiderio di recare loro conforto. Una stanza che è un abbraccio. Si evidenzia una complessità di interventi per poter realizzare la “stanza per sé” e questo avrà comportato un impegno economico non indifferente.

Il budget messo a disposizione dai club è sempre modesto, tuttavia ogni volta con soddisfazione il risultato finale ci premia. Ma soprattutto di questo lavoro di squadra di noi socie, che con gioia progettiamo e allestiamo, ci gratifica la speranza di poter un pochino lenire le tante sofferenze che verranno raccontate in questa stanza.

Questa messa assieme delle energie fisiche e mentali ha richiesto una notevole dedizione e una fiducia nella realizzazione del progetto che ha la finalità del prendersi cura di una grande sofferenza.

Ecco, è la speranza di poter essere utili, di poter aiutare, la molla che ogni volta ci porta a donare il nostro tempo e la nostra professionalità per progettare ed allestire una nuova stanza tutta per sé. È un’iniziativa che è nelle finalità di Soroptimist, associazione di servizio, nata nel 1921 a Oakland in California che si è diffusa in tutto il mondo. In Italia il primo club nasce nel 1928 a Milano.

Grazie Francesca, ringrazio te a nome di tutte le persone che si sono prodigate nel pensare, progettare, realizzare questo spazio di ospitalità e contenimento di dolori impensabili. Un grazie per avere avuto cura.