Medico specializzato in chirurgia vascolare, sono appassionata alle sfide e ai viaggi. Ho lavorato a Parigi prima di ritornare in Italia. Ho svolto la mia professione in ambito ospedaliero per poi dedicarmi alla medicina specialistica sul territorio. Affascinata dalla medicina cinese mi sono diplomata in agopuntura.

Può fare un autoritratto che racconti di lei? Quando nasce l'idea di diventare medico?

Nonostante divori libri di qualunque genere per il mio percorso di studi ho sempre preferito le discipline scientifiche. Per cui dopo il liceo scientifico mi è venuto istintivo scegliere medicina. Non è stato frutto di calcoli sul tipo di lavoro o sulle possibilità di carriera. La scelta è come se sia venuta da sola. Sentivo che quella era una strada per dare un servizio, una mano, un aiuto concreto alle persone. Ed è quello che tuttora mi spinge a svolgere la mia professione.

La scelta della specialità in chirurgia vascolare non è così comune: dove sorge questa curiosità?

Nel mondo della medicina avevo una propensione naturale verso l’area più pratica, interventistica rispetto alla ricerca e all’analisi. Pertanto, mi sono orientata verso le chirurgie. E quella che “mi ha scelto” è stata la vascolare per le sue caratteristiche di finezza e precisione rispetto alle altre.

Perlustrare e mettere mano là dove scorre il sangue, nei meandri più complessi e tortuosi del corpo, come fa sentire? Sembra di assistere ad un viaggio pieno di misteri e di significati vitali.

L’idea che il sangue che scorre nei vasi sia il nutrimento di tutti gli organi e tessuti del corpo umano è affascinante. E lavorare per rimuovere chirurgicamente un ostacolo, un’occlusione, una lacerazione che impedisce questo nutrimento lo sentivo come intervenire per ridare nutrimento e vita all’organismo.

Può raccontare la sua esperienza di cura per aiutarci ad entrare nel suo mondo terapeutico?

Credo che si debba curare la persona e non la malattia, dove curare significa anche prendersi cura, mettersi al servizio e all'ascolto del paziente per individuare il miglior piano terapeutico. Che in alcuni casi può essere diverso dalle prassi consolidate, dai protocolli e dal sentir comune.

C'è qualche episodio nella sua carriera professionale che l'ha toccata particolarmente e che si sente di raccontare?

Un momento fondamentale è stata l’uscita dopo 12 anni dall’ospedale per andare a fare il medico sul territorio. È significato ripartire ridando una dimensione umana ai pazienti. Contrariamente alle condizioni di lavoro e di cura ospedaliere che, per quantità e ritmi di intervento, rischiano di far perdere di vista questo assioma fondamentale.

Poi c’è stato il Covid. Una enorme crisi che per me è significata anche rivedere ancora di più il mio modo di lavorare, di approcciarmi alle cure, agli studi, alle indicazioni scientifiche. Sempre nella direzione di cura come ricerca di nuovi equilibri che giocoforza non possono che essere individuali e specifici per ogni individuo.

Poi emerge la sua passione per il disegno. È curioso, intrigante questo suo interesse per le immagini, ce ne vuole parlare?

In generale amo il disegno, le immagini, il colore non tanto per rappresentare fedelmente la realtà, né per cercare di sviscerarne alcuni dettagli o sfaccettature. Piuttosto mi diverte dare forma bidimensionale ai miei pensieri o a mie osservazioni della natura o di ciò che accade nel mondo. Sono opere in genere semplici e veloci, proprio per non disperdere l’intuizione che a volte scaturisce guardando un tramonto, leggendo di un fatto di cronaca o dopo aver ascoltato le persone sul tram.

I suoi disegni sono anche vignette satiriche, sono rivelatrici delle contraddizioni, del male sociale. È forse un altro modo di prendersi cura?

La visione del mondo diventa chiara solo quando ci si auto osserva, solo chi si guarda dentro si apre all’esterno. Per questo tutti i miei disegni sono ironici, le mie vignette sono un modo per porre, con molta leggerezza, lo sguardo all’interno di noi. Non certo per indagare noi come singoli, ma per ridere, pensare e riflettere sul noi-collettivo.

E poi la sua apertura all'agopuntura.

Quello stile medico che si basa sulla presa in carico del paziente in base a sintomi che vengono eliminati con farmaci in base a buone-pratiche indifferenziate e consolidate col passare degli anni è dal mio punto di vista superabile. Ho iniziato a guardare oltre, cercando altre visioni della medicina e della salute. Mi sono imbattuta quasi per caso con l’agopuntura che mi ha affascinato. È un approccio totalmente diverso da quello occidentale che ho avuto lo stimolo di studiarlo e praticarlo. Curare le disfunzioni e disequilibri dell’organismo solo con degli aghi può sembrare impossibile. Eppure…

Appare una vita ricca di interessi, passioni, curiosità, voglia di sperimentarsi.

Sì, in genere quando acquisto confidenza con un elemento ho naturalmente lo stimolo di guardarlo da un’altra angolazione per vedere come appare.

Non si stanca mai di "giocare" col nuovo?

Nell’ultimo anno mi sono divertita anche a riscrivere le fiabe classiche rivisitate nel periodo della pandemia, con restrizioni, obblighi e chiusure, in chiave ironica e divertente. Ci ho aggiunto delle illustrazioni ad acquerello, poi ho chiuso tutto in un cassetto ed è rimasto lì. Magari riuscirò a concretizzare e strutturare anche questo progetto, nato come gioco per i miei bambini.

Milano come risponde a tutte queste sue curiosità? Ha trovato complicità o porte chiuse?

Milano e la Lombardia sono le mie terre. Sono ricche di umanità, di diversità, di opportunità. Amo le vie strette di Milano e i sentieri impervi della mia Valsassina, dove sono nata e cresciuta fino agli anni dell’università. È una terra molto competitiva, quello sì, forse a volte troppo: da un lato può significare raggiungere un obiettivo a discapito del mio vicino, dall’altro è anche un miglioramento continuo, una evoluzione personale e collettiva imprescindibile per ogni essere umano.

Ma questo forse sarebbe un altro fumetto...