Tutti abbiamo esperienza del bello; che sia un paesaggio, un oggetto o una persona, ciascuno di noi ha incontrato più volte qualcosa o qualcuno che ha definito ‘bello’. Bello è dunque qualcosa che ha a che vedere con la percezione, ma è anche qualcosa di estremamente ‘culturale’: ciò che risulta essere bello oggi, sarebbe magari stato considerato orribile, in altri tempi ed altri luoghi, e viceversa. Bello è, dunque, un concetto estetico, soggetto a mutazione in ragione del contesto culturale in cui si sviluppa - il quale a sua volta si viene formando in specifici ‘ambienti’ antropologici e sociali.

L’esperienza di ciò che così definiamo non è quindi data una volta e per sempre, ma la sua caratteristica fondamentale permane comunque: definiamo ‘bello’ non semplicemente ciò che ci piace, ma ciò che ci trasmette una sensazione di benessere.

Diversamente, la bellezza è l’idea stessa di ciò che diciamo bello, indipendentemente dalla specifica estetica del soggetto. Bellezza è un concetto che rimane uguale a sé stesso, in ogni tempo ed in ogni luogo, quale che sia la cultura in cui si colloca.

Poiché la percezione di ciò che è bello ci fa stare bene, l’Uomo ha sempre perseguito il tentativo di circondarsi di cose belle. Questo desiderio si è ovviamente declinato secondo l’estetica del momento, ma rispondeva ad una esigenza più generale, quella - appunto - di offrirsi bellezza.

Ma, essendo il bello un prodotto culturale, capita talvolta che si affermi un’estetica ‘ambigua’, che sposta il focus dal senso complessivo del soggetto alla sua apparenza. È caratteristico dei tempi moderni, ad esempio, considerare bello ciò che è ‘spettacolare’ - nelle varie accezioni possibili del termine.

Classicamente, un paesaggio viene considerato bello non semplicemente per una sua ‘armonicità’ visiva, ma per il ‘senso’ che promana dal suo complesso, così come un quadro è bello non meramente in virtù della raffinatezza tecnica della sua esecuzione, ma - ancora una volta - per la ricchezza di senso che racchiude la sua composizione.

Oggi sembra invece prevalere, talvolta, la ‘saturazione’ percettiva come sostituiva del senso. Alla sensazione di benessere, che deriva dalla visione del bello, si sostituisce lo stupore. Il grandioso, lo spettacolare, ciò che ha un forte impatto sulla nostra percezione immediata; conta più che colpisca i sensi, e meno che trasmetta un senso.

Eppure, oggi sappiamo, con cognizione scientifica e non più solo empirica, che godere del bello fa bene alla nostra salute. Come dimostrato, tra l’altro, da un progetto italiano (Magnificat), che ha analizzato gli impatti di un’esperienza del genere sulla salute dei partecipanti, il livello di cortisolo (il cosiddetto ormone dello stress) dopo la visita si era ridotto del 60%.

Una maggior consapevolezza di come interagiscano bellezza e salute, dovrebbe portarci quindi a riconsiderarne la collocazione all’interno della società. Non più mera esperienza estetica e personale, ma questione sociale. E perciò, superare la visione esclusivamente specialistica e curativa di salute (incentrata sulla malattia, e sulla parcellizzazione), per muovere verso una concezione più olistica.

Prenderci cura del nostro benessere, non solo di quello spirituale, può e deve dunque passare anche da una ricostruita connessione tra la nostra mente e la bellezza. Anche attraverso l’educazione della prima, poiché anche se una certa predisposizione a fare esperienza della bellezza può essere innata, come altre caratteristiche della personalità, sono molti gli studi che evidenziano come l’estetica possa essere ‘educata’ a riconoscerla.

Abbiamo bisogno di una educazione alla bellezza, che cominci già dalle scuole, ma senza esaurirvisi e soprattutto senza un approccio meramente didattico, didascalico, ma che sia al contrario estremamente esperienziale.

Più che eliminare la storia dell’arte dalle scuole, bisognerebbe portarne l’educazione nei musei, nelle pinacoteche, nelle gallerie. Fare dell’educazione alla bellezza una materia dell’obbligo, sino alla terza età.