Oggi non abbiamo remora alcuna ad ammettere che non esista un confine ben definito, una linea netta di demarcazione che separi razionalità e follia. Siamo invece propensi ad ammettere che in parte – ma soltanto in parte però – la netta cesura tra le due sia una costruzione “antropologico-culturale”. Tramontata definitivamente la concezione positivistico-ottocentesca di una razionalità pura, ciò che ha assunto sfumature via via più indefinite è proprio il concetto di “ragione”. Per contro il concetto di follia ha oscillato tra due opposte polarità: da una parte la malattia provocata da cause neurofisiologiche e/o genetiche e, dall’altra, il dis-adattamento sociale. Tra gli studiosi, mai come adesso, le opinioni sono state così varie e discordanti riguardo a quest’ultima opzione. Parrebbe inutile quindi occuparsi di qualcosa di cui si intuisce non esserci soluzione; eppure, la follia come problema sociale, oltre che individuale, mantiene tutta la sua urgenza e, se possibile, ora più di prima la esaspera. E così accade perché, molto probabilmente, stiamo vivendo tempi molto superficiali culturalmente, un’epoca in cui i collanti sociali sono completamente sfaldati, lasciando ognuno allo sbando, alla deriva di sé stesso. Questo uno degli argomenti che si affrontano nel romanzo Barbiana: un percorso tra comico, introspezione e rinascita.

Distinguere razionalità e follia è un esercizio intellettuale su cui si sono esercitati se non tutti, quasi. Circoscrivo quindi la questione al libro su citato, e ancor più al tema del rifiuto della realtà che si concretizza nella sovrapposizione ad essa di una “dimensione fittizia”, sovrapposizione che – neppure nella fantasia più sfrenata – arriva mai ad essere completa. Si tratta di una semplificazione, pur tuttavia necessaria per arrivare al punto che reputo qui fondamentale esporre: ognuno vive due realtà (ad esser precisi dovremmo dire: un numero imprecisato di “realtà”): quella dell’immaginazione e quella del mondo “materiale”, la cosiddetta realtà “vera”. Passatemi per buona anche se – propriamente parlando – non lo è, la definizione di “realtà materiale” come “realtà effettiva”, “vera” in quanto opposta alla fantasia.

Ordinariamente si ritiene che, mentre una persona che si sforza di essere (o sembrare) razionale cerca di mediare tra realtà e fantasia, un folle tende sempre a sovrapporre una realtà immaginata a quella rifiutata. Il fatto è che poi, effettivamente, questo gioco delle “tre carte” non riesce mai bene in quanto l’illusione è sempre una coperta di “dimensioni inferiori” rispetto al "dolore dell’esistenza". Sentenzia Barbiana, in uno dei suoi aforismi: “La follia è una coperta corta che fa dormire la razionalità al caldo, ma la lascia sempre coi piedi al freddo”. La differenza tra un “normale” e un “folle” dipende essenzialmente da quanto freddo sente ai piedi cioè, fuor di metafora, quanto bene (o male) si riesca a mediare tra le due opposte realtà, quella “contingente” e quella compensatoria che la mente crea per “tirare avanti”. La mediazione, continuando con l’esempio della coperta troppo corta, è però sempre insufficiente, non porta mai a una completa sovrapposizione dei due piani. Ed è proprio questa mancata completa sovrapposizione a far sì che la follia si acuisca e, dall'altro lato, contemporaneamente, persista ancora un poco di razionalità, di principio di realtà, in grado di accentuare ancor più la situazione di profondo disagio della malattia mentale. La contraddizione creatasi dalla compresenza delle due realtà, quella fantasticata e quella percepita fa sì che la vita sia ancor più dolorosa. Così – nel tentativo di "coprire" la follia con la razionalità o, al contrario, anestetizzare la consapevolezza della tragicità dell'esistenza nei vapori della fantasia – l'anima si contorce e si flagella ancor più. Non a caso Barbiana sentenzia: “La contraddizione è il prezzo che l’anima paga alla follia”.

Se la follia fosse completa, se la mente potesse essere purissima follia anche in un solo individuo, l’umanità tutta sarebbe destinata all’immediata estinzione. È come se fossimo programmati per essere pazzi, ma non completamente. Questo il significato di un altro aforisma tratto sempre da Barbiana: “La mia anima è una zattera che vaga sul mare della follia, se qualcuno ci salisse sopra affonderebbe”. L'unica ancora di salvezza, l'unica zattera che possa impedire all'anima di affogare, cioè la fantasia, non può essere utilizzata perché, se ci si salisse sopra, sarebbe proprio essa, col suo peso, a trascinarci a fondo.