Un gruppo di contadini di un paesino del Gargano vuole convertirsi all'Ebraismo in un pessimo momento, il 1938, anno delle Leggi Razziali: è la trama dell'ultimo romanzo di Marina Collaci, Scialomm Mussolini.

Ippazio, il mago, è partito per la Grande Guerra, sulle sue gambe e semianalfabeta. Torna con una gamba in meno, ma con una saggezza mezza intuitiva, mezza acquisita durante i suoi mesi di convalescenza dove ha letto tutto ciò che gli capitava a tiro, tra di essi il libro più antico del mondo: la Bibbia. Parte da lì la trama di Scialomm Mussolini, che tra preghiere, canti, piatti semplici della tradizione culinaria pugliese, descrizioni molto dettagliate della flora locale, saluti romani di fronte al ritratto di Mussolini (Mussechino, in dialetto) ci porta a percorrere questa storia veritiera ed apparentemente surreale, come lo sono spesso le storie di paese.

I fatti narrati in questo libro sono realmente avvenuti a Sannicandro Garganico negli anni Trenta del secolo scorso. Ippazio, il protagonista si ispira a Donato Manduzio, il profeta che convertì una piccola comunità di contadini all’ebraismo sfidando le leggi razziali. E anche se la storia è drammatica come fu questo periodo in Italia, la prosa leggera e dinamica di Marina Collaci – giornalista, corrispondente della WDR, la radio pubblica tedesca e del mensile di Monaco Adesso – fa leggere questo romanzo tutto di un fiato, con episodi molto spassosi come, per esempio, il problema di matematica che deve risolvere il piccolo Egidio: 4 comunisti perché hanno poca voglia di lavorare, guadagnano lire 8, 4 fascisti guadagnano invece 15 lire al giorno. Quanto guadagnano di più i fascisti in 20 giorni?

Chiediamo a Marina Collaci la fonte d’ispirazione per questo romanzo: “Sono venuta a conoscenza di questa storia per caso, una signora ebrea romana, Stefania Ajò mi ha raccontato di aver conosciuto questi contadini in Israele dove erano emigrati nel 1946; era rimasta colpita dal buffo accento foggiano che storpiava in maniera comica l’ebraico. Io l’ascoltavo, ridevo, piangevo e pensavo: cosa c’è di più bello di una storia che commuove e diverte allo stesso tempo? È una storia paradossale ma allo stesso tempo poetica: un gruppo di contadini che vogliono pensare con la loro testa e che nel mezzo delle leggi razziali decidono di convertirsi all’ebraismo, inconsapevoli di andare contro qualcuno o qualcosa; si sentono nel giusto.

“Io ho ancora avuto la fortuna di conoscere i poeti contadini, anziani signori di campagna che non sono mai andati a scuola ma che sapevano recitare tutto Dante o l’intera Odissea a memoria; musicisti pastori come i cantori di Carpino che pur non avendo mai studiato la musica, erano grandi artisti” aggiunge. “E volevo raccontare questa Atlantide per certi versi oggi scomparsa, la forte vivacità intellettuale che c’era nelle campagne. Ho scoperto inoltre che in ogni piccolo paesino della Puglia erano in molti ad abbracciare mille varianti religiose: c’erano i pentecostali, l’esercito della salvezza, i tremolanti, i protestanti, tutte persone che volevano pensare con la propria testa”.

Queste persone “furono uccise, multate, picchiate, mandate al confino anche se non avevano fatto nulla di male; fatte scomparire solo per dimostrare che l’Italia è una sola, che ha una unica razza, un’unica cultura, una sola religione. E oggi che si parla tanto di italiani e di stranieri, mi sembrava un tema quanto mai attuale”.

All’inizio dici che si tratta di fatti veramente accaduti. Dove finisce la realtà e comincia la finzione?

Io non sono mai andata a Sannicandro, questo il nome del paese reale, attraverso i libri sono venuta a conoscenza dei fatti e dei tanti colpi di scena di questi contadini catapultati nel bel mezzo della storia che vede in azione anche i nazisti tedeschi e la Brigata ebraica sionista. Sui personaggi ci ho ricamato sopra, me li sono immaginati; alcuni li ho inventati di sana pianta come Freddy un emigrato di ritorno vissuto a New York e al soldo dell’OVRA, la polizia fascista, o la ragazza protagonista Lucetta.

Anche se è una storia drammatica: persecuzioni, carcere, confino, la tua prosa è molto leggera, per nulla pesante. È stata una scelta ben precisa?

Sì! Io amo la scrittura comica, autori come il finlandese Aarto Passilinna. Di fronte alla retorica di chi si gonfia il petto e parla di razza e patria mi sembra doveroso sdrammatizzare. Una risata vi seppellirà è il mio motto da sempre.

Ci sono episodi veramente spassosi come il problema di matematica di Egidio? Come mai ti è venuto in mente?

A Roma da pochi anni c’è questa bella abitudine di condividere i libri e spesso mi capita di trovare cassette colme di volumi in mezzo ad una strada. Un giorno ho trovato un libretto che raccoglieva i temi e i problemi scritti a scuola dai bambini durante il fascismo. Lì ho incontrato questo quaderno di matematica con quei problemi e lì ho anche letto che i ragazzi usavano marciare al suono di am-ba-ra-dam perché era più bello dell’un due tre. Un orrore.

Come mai la scelta di alcune frasi in dialetto e alcuni paragrafi interi in yiddish?

Per tre ragioni: la prima perché i contadini non conoscevano l’italiano, si esprimevano in dialetto e quindi giocoforza dovevano parlare così; la seconda puramente sensuale perché dire: “È una fetecchie” piuttosto che “brutto” oppure “cacafurnelle” al posto di ragazza mi sembrava più efficace e bello. La terza è ideologica: il fascistissimo Freddy che sbandiera la sua italianità è cresciuto a New York e parla un italiano stentato; il popolo fascista parla dialetto e non si capisce quindi in cosa consista questa italianità.

Anche perché Sermoneta, il rabbino di Roma, parla romanaccio.

Appunto, il rabbino di Roma, il cosiddetto straniero, parla romanaccio perché la sua famiglia abita a Roma da generazioni, arrivata magari insieme a Tito ai tempi dell’antica Roma; lui è un vero romano. Il rabbino polacco che li va a trovare, parla yiddish che è una forma dialettale del tedesco, un tedesco addolcito. Ebrei e Nazisti parlano la stessa lingua. E io volevo ribadire la bellezza delle identità diverse ma allo stesso tempo un concetto che sembra banalissimo e non lo è: tutto il mondo è paese. L’ebreo polacco pur provenendo da un altrove, in Puglia, nel paesello italiano si sente a casa.

Mi è sembrato di capire che il tuo romanzo è una critica, nemmeno tanto velata ai sovranisti, ai fautori delle “razze” pure. È così?

Sì. Per anni ho pensato che certi concetti fossero scontati che fosse inutile ribadire concetti lapalissiani, ma purtroppo non è così. E questo libro è uno sfogo.

Molto accurata la tua descrizione del paesaggio con profusione di dettagli sui nomi delle piante, delle erbe aromatiche. Sei mai vissuta nella zona del tuo romanzo?

Ho scritto questo libro in tempi di Covid. Mi piaceva pensarmi come Emilio Salgari che descriveva la Malesia di Sandokan comodamente seduto nella sua casa toscana… anche se io immaginavo un paesino a breve distanza.