Alla fiera Condè Nast Travel di Londra vado a studiare il futuro del turismo, le tendenze nel viaggiare, le facce nuove: chissà what’s next, chissà se poi la Calabria ha preso campo nell’immaginario collettivo, o se la gente ci va davvero nello spazio con la Virgin.

La fiera è minuscola, luce sparata e poco gentile come di rigore, e ricorda uno di quei mercatini natalizi nella palestra della parrocchia: in capo a dieci minuti ho visto tutto, tutti e non mi ricordo perché ho deciso di venire. Le due signore che ostruiscono il corridoio ‘bi’ trascinano ognuna un carro di libri da tavolo, brochure, cd, cartelline, biglietti da visita, bottiglie di limoncello. In qualche stand offrono pezzetti di parmigiano e vino rosso in bicchierini di plastica da caffè: per raggiungere questo livello di brutto occorre sfogliare un album di pettinature da sposa.

Le due signore, quelle che trascinano tonnellate di materiale cartaceo con visibile difficoltà, sono abbastanza ubriache di assaggini attorno alle ore undici del mattino: non è un segreto che i “consulenti di viaggio”, un tempo agenti, amino celebrare la bella vita anche fuori dal desktop di un computer. In fin dei conti diventare un buon professionista della vacanza significa anche potere viaggiare e sostare (quasi) gratis in posti magnifici, con la appropriata scusa che tutto quello che si vende ai propri clienti va testato, vissuto, conosciuto.

Dopo un minuto è chiaro che qui alla fiera non c’è niente che spinga noi visitatori a spalancare la bocca, che ci faccia sentire antichi e rinnovabili tutto insieme e di un tratto. Manca un vero esprit (ideologico e) tecnologico persino nell’esposizione dei contenuti multimediali, non traspare la visione del futuro del lusso da questi piccoli filmati con uomini biondi di mascella larga che entrano trionfanti e ben rasi nel jet privato: la realtà è parecchio diversa, il tipo che non può viaggiare su tratte commerciali acquista un aereo per mancanza di tempo ed è spesso pelato e grasso, stanco più che trionfante e ha più probabilità di bere un litro di acqua che un bicchiere di champagne. Il trade è comunque popolato di hostess con il lucidalabbra rosso e la gonnellina appena sopra il ginocchio: probabilmente siamo alla Standa, deve essere circa il 1982, oppure in una sagra del tordo con i menù stampati in Radikal.

Non è la fiera in sé a intonare un cantico antico, seppure un po' sottodimensionata, ma quello che è diventato il mio lavoro, il business del turismo organizzato di alto livello: una congrega di dinosauri confusi che cercano la loro via fuori dalla preistoria con trolley da un quintale - nulla potettero le chiavette usb, keek e i podcast.

Con un pianeta spaccato fra quelli che non possono viaggiare nemmeno da un villaggio all’altro e quelli che mai senza schermo a cristalli liquidi con i cartoni per i bambini, il nostro compito è quello ci farci trovare ‘lì’, dove la soddisfazione più remunerativa a un bisogno secondario e la nostra professionalità possono sposarsi e procreare, efficacemente e impeccabilmente. Non si tratta di portare qualcuno da un punto A a un punto B, ma di trasformare un servizio in una metafora di quello che questi signori sono diventati, da loro punto di vista, agli occhi del mondo. Non è il provvedere una villa abbastanza lussuosa per i loro canoni, o un hotel con suite da vertigine, ma il capire un’aspirazione e tradurla in mura, cose, esperienze, e così via, ognuna adeguata, ognuna consistente.

Conquistare la fiducia del mercato, e in particolare dei nuovi nobili, i ‘ricchi’, non è una missione facile: basta una parola di troppo o un accento fuori posto e si è squalificati a vita. Con una nuance più scura del dovuto si diventa degli appestati presso la crème de la crème e rarissime sono le risalite dalla gora dell’eterno fetore. Il processo suona crudele ed elitario ma non è affatto diverso, oggi, dall’essere un piccolo hotel alla mercè di un visitatore che su Trip Advisor gioca a fare il Gordon Ramsay furioso perché non ha avuto un free upgrade. La differenza fra gli operatori di massa, quelli che guadagnano sui numeri più che sul singolo di grande capacità economica, e noialtri sta solo nelle variabili di quello che può andare storto.

Poi ci sono internet e gli ota (online travel agencies, tipo Expedia o Booking) un’opportunità ‘gratuita’ che è diventata un fraintendimento, prima, e un veleno mortifero a rilascio lento, ma questo è un altro discorso: non è a noi che stavano dando una piattaforma, bensì ai nostri prodotti - per levarceli dalla mano a tempo dovuto. E’ una storia vecchia che si ripete, in realtà, ma l’uomo dimentica, non si svuota e non impara.

Ho nel bagaglio lavorativo storie avvincenti, che adoro condividere con colleghi e amici davanti a un camino - ovviamente senza mai violare la privacy dei miei adorati clienti, che provvedono a sfamarmi e pure a gratificarmi: tregende di tappeti rossi disgraziatamente coperti da aghi di pino, gondole che non arrivano in tempo, elicotteri (dieci) in partenza alle tre del mattino e ospiti famosi da proteggere dai paparazzi (e dal loro stesso alito). Queste storie fanno parte ormai del mio quotidiano e ammetto che questo lavoro mi è entrato sotto pelle: cosa farei di me senza quelle scariche di adrenalina? Dove infilerei tutta questa energia se non nel risolvere missioni tanto avvincenti e vitali quanto inutili se rivisitate a sangue freddo? Il servizio è tutto, certo, è un piacere sottile perché coinvolge due cervelli invece che uno solo.

Con lo spirito di scoprire una scintilla, un nuovo impeto, sono venuta alla fiera di Londra. Mi sono fermata a ogni stand e ascoltato queste storielle di pochi minuti che vogliono convincermi a scegliere e comprare proprio quel prodotto, quel servizio, che celano un buon business plan e, nel più fortunato dei casi, un sogno.

Mi appassiona Filippo di Lenardo, che parte dagli ingredienti locali di alta qualità e non scontati per arrivare al viaggio, che è geografico, culinario e di conseguenza culturale. Mi piace il suo entusiasmo e la pulizia di quello che dice - e pure la sua faccia. Filippo ha creato Elite Retreat Italia, una società dedicata ai viaggiatori gourmand, che non ha paura di investigare l’icona Italia anche negli angoli sperduti in nome di un olio di qualità, una grappa d’eccezione, una marmellata di cipolle. La buona nuova nel nostro campo è che con una buona idea e intenzioni serie, piano piano, si arriva dove si deve. Anche senza scorciatoie è ancora oggi possibile farsi largo e procurarsi quel gruppetto di clienti che si capiscono alla perfezione, per i quali non ci si risparmia in consigli, itinerari e dritte: il contraccambio di questa dedizione è il vivere più vite in una, potersi comprare una casa e addormentarsi soddisfatti - oltre a viaggiare e sostare (quasi) gratis.

Mi piace anche mister Oliver Travel (Oliver in persona), un bel ragazzo che alla domanda “siete nuovi” salta sulle gambe e corre a spiegarmi il suo progetto: è una buona via questa, penso, se sa mescolare un prezzo davvero buono e luoghi di grande interesse con uno stile che lui definisce “quirky”, che io penso sia giusto tradurre in questo caso con “di grande personalità” - che cosa ci posso fare, ho una predilezione per le ville. Le case bianche stile Ibiza replicate all’infinito in ogni Paese mi annoiano a morte, come i casotti espositivi dei mobilifici: perché invece non concedersi una settimana in una di queste case con camini gloriosi, colori sgargianti e una storia alle spalle, alla metà del prezzo di un hotel di pari qualità? Concierge service included, of course.

Certe volte un piccolo sogno non è abbastanza per arrivare: grandi idee con piccoli budget falliscono, persone di grande qualità vengono eliminate o umiliate da squaletti ben addestrati. Eppure what’s next è la domanda che scaturisce da un desiderio antico, che è quello dell’uomo di diventare eroe, salire su nell’olimpo di quelli che non seguono ma sono seguiti, lasciare una orma nella strada del futuro, quella che altri percorreranno quando saremo polvere. La buona notizia è che nessun banchiere spregiudicato, mero compilatore di business plans o riconcliatore di portfoli a commissione ne ha mai lasciata una.